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Come funziona il repêchage nel licenziamento per motivi economici?

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(@angelo-greco)
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Scopri le nuove norme sulla verifica del repêchage nel licenziamento per motivi economici e la loro applicazione pratica.

Recentemente, la Cassazione ha fornito chiarimenti importanti riguardo al cosiddetto repêchage nel contesto del “licenziamento per motivi economici”, meglio detto “licenziamento per giustificato motivo oggettivo”. Il rispetto del repêchage, da parte del datore di lavoro, è condizione per la validità del licenziamento stesso. In caso contrario, infatti, il dipendente può presentare un’opposizione entro 60 giorni e, ricorrendo al giudice, chiedere la reintegra sul posto di lavoro.

Questo articolo spiegherà come funziona il repêchage nel licenziamento per motivi economici. Chiarirà quali sono le nuove interpretazioni da parte della Cassazione e le loro implicazioni pratiche, offrendo una guida utile sia per i datori di lavoro sia per i dipendenti. Spiegheremo ad esempio quando si può contestare un licenziamento per soppressione della mansione o per ristrutturazione aziendale. Ma procediamo con ordine.

Che cos’è il repêchage?

Il repêchage – parola francese che significa “ripescaggio” – è un onere che ricade sul datore di lavoro nel momento in cui decide di eseguire un licenziamento individuale per motivi economici, produttivi o organizzativi. Egli, prima ancora di risolvere il contratto di lavoro, deve cercare alternative al licenziamento stesso, deve cioè valutare tutte le opzioni per ricollocare il dipendente all’interno dell’azienda, anche in posizioni di livello inferiore, purché compatibili con le sue capacità e formazione.

In pratica, se un’azienda intende licenziare un dipendente a causa dell’eliminazione del suo posto di lavoro, deve prima esaminare se ci sono altre mansioni che il dipendente possa ricoprire, anche con una retribuzione minore. Questo può comportare l’assegnazione a ruoli diversi, ad esempio, passando da un incarico amministrativo a uno operativo, a condizione che il lavoratore abbia o possa acquisire le competenze necessarie.

Tuttavia, il datore di lavoro non è obbligato a modificare completamente l’organigramma aziendale per evitare il licenziamento, né a trasferire altri lavoratori dalle loro posizioni attuali.

La finalità del repêchage è proteggere i lavoratori dalla perdita del lavoro e incoraggiare le aziende a esplorare alternative al licenziamento. Questo concetto mira a bilanciare la necessità di flessibilità e riorganizzazione aziendale con i diritti dei lavoratori.

È importante sottolineare che l’obbligo di repêchage non è assoluto: se non ci sono posizioni adatte o il lavoratore non possiede le competenze necessarie, il licenziamento può avvenire regolarmente. Il datore di lavoro deve però dimostrare di aver valutato adeguatamente le possibilità di ricollocazione prima di procedere al licenziamento, e la responsabilità di tale valutazione spetta al datore di lavoro, non al dipendente.

Un’azienda intende licenziare Mario, un impiegato amministrativo, a causa di una riorganizzazione. Prima di licenziarlo, l’azienda esplora le opzioni interne e trova una posizione disponibile nel reparto logistico, che Mario può ricoprire con una breve formazione. L’azienda propone a Mario questo nuovo ruolo, che comporta un leggero calo di stipendio, ma gli permette di mantenere il posto di lavoro. Mario accetta, evitando così il licenziamento. Questa azione dell’azienda rappresenta un’applicazione del principio di repêchage.

Repêchage e successive assunzioni

La Cassazione, con l’ordinanza 31561/2023, ha chiarito che nel contesto di un licenziamento per giustificato motivo oggettivo, non è sufficiente valutare il repêchage in termini generici. È necessario considerare anche il livello di inquadramento del dipendente e delle nuove assunzioni effettuate dall’azienda nel periodo immediatamente successivo al licenziamento. Se ci sono posti vacanti dello stesso livello, il datore di lavoro deve dimostrare con elementi oggettivi perché il dipendente licenziato non poteva essere ricollocato in queste posizioni.

Ai fini quindi della verifica sul repêchage del lavoratore nel contesto di un licenziamento per soppressione del posto di lavoro le nuove assunzioni non devono essere per forza riconducibili allo stesso livello in cui era inquadrato il dipendente licenziato. Al contrario, la circostanza che le nuove assunzioni si collochino nello stesso livello di classificazione contrattuale inasprisce e rende più penetrante la prova del datore di lavoro circa l’indisponibilità di funzioni alternative idonee a evitare la perdita del posto di lavoro.

Al datore di lavoro è richiesto di dimostrare in concreto, sulla base di elementi oggettivi verificabili, le ragioni per cui il licenziato non poteva essere ricollocato neppure in mansioni di pari livello assegnate ai lavoratori assunti successivamente.

La riforma dell’articolo 2103 del Codice Civile ha modificato il concetto di equivalenza delle mansioni. Ora, il datore di lavoro può assegnare ai lavoratori tutte le mansioni che rientrano nello stesso livello di inquadramento. In presenza di cambiamenti organizzativi, può anche assegnare mansioni di livello inferiore. Questo rende più rigorosa la prova dell’impossibilità di ricollocare il lavoratore in caso di licenziamento.

Le nuove interpretazioni della Cassazione hanno importanti implicazioni pratiche. Se un datore di lavoro procede con un licenziamento mentre ci sono posti vacanti di pari livello, deve fornire giustificazioni oggettive per dimostrare l’impossibilità di ricollocare il dipendente. In assenza di queste giustificazioni, il licenziamento potrebbe non essere ritenuto giustificato.

Onere della prova

Non spetta al lavoratore identificare i posti disponibili nell’azienda per il repêchage; questa responsabilità è a carico del datore di lavoro. Tuttavia, se dopo un’analisi approfondita (anche basata su presunzioni serie e concordanti) si stabilisce l’impossibilità di ricollocare il lavoratore, l’assenza di segnalazioni da parte del dipendente su posti di lavoro disponibili può confermare la legittimità della decisione del datore di lavoro.

In caso di non rispetto del repêchage, il dipendente può contestare il licenziamento entro 60 giornidalla ricezione della lettera di licenziamento, inviando una contestazione formale all’azienda. Successivamente, entro i successivi 180 giorni, il dipendente deve presentare un ricorso in tribunale. In alternativa, può procedere direttamente con il ricorso in tribunale.

Secondo la sentenza n. 35496/2022 della Cassazione, se il datore di lavoro omette la verifica del repêchage, il dipendente ha diritto alla reintegrazione sul posto di lavoro.

Un’azienda licenzia Carla, una tecnica informatica, senza offrirle altre posizioni disponibili in azienda. Carla contesta il licenziamento entro 60 giorni, sostenendo che l’azienda non ha rispettato l’onere del repêchage. Dopo ulteriori indagini, si scopre che c’erano posizioni adatte che Carla avrebbe potuto ricoprire. A seguito di questo, Carla presenta un ricorso in tribunale e ottiene la reintegrazione nel suo posto di lavoro, in conformità con la sentenza della Cassazione.

Soppressione della mansione e repêchage

L’ordinanza n. 31561/2023 della Cassazione ha gettato nuova luce sull’importanza dell’analisi approfondita delle competenze dei lavoratori in caso di licenziamenti per riorganizzazione aziendale. In questo scenario, il datore di lavoro è chiamato a valutare con precisione le capacità e l’esperienza del dipendente per stabilire se sia possibile adattarlo a nuove mansioni, prima di procedere al licenziamento.

Prendiamo ad esempio il caso di una cassiera di un bar nel centro di Roma. Nonostante la soppressione del suo ruolo, esisteva la possibilità di riassegnarla come cameriera. La Cassazione ha giudicato il licenziamento illegittimo, in quanto non era stata effettuata un’analisi dettagliata delle capacità della lavoratrice per occupare altre posizioni disponibili nell’azienda, nonostante il suo ruolo fosse equiparabile a quello di altri impiegati.

Non basta la semplice soppressione di un ruolo lavorativo per giustificare un licenziamento. È necessario effettuare una valutazione specifica, anche nel caso di nuove assunzioni con profili diversi. La Cassazione sottolinea l’importanza di una valutazione olistica che consideri le potenzialità del lavoratore e le esigenze aziendali.

La sentenza n. 31409/2023 della Cassazione ha evidenziato che la chiusura di un punto vendita non è motivo sufficiente per un licenziamento, se esiste la possibilità di impiegare il lavoratore in un’altra sede. La decisione presuppone una visione complessiva dell’organizzazione aziendale e delle sue molteplici sedi.

La Cassazione ha chiarito che la valutazione del repêchage deve includere non solo le posizioni vacanti al momento del licenziamento, ma anche quelle che potrebbero rendersi disponibili nel futuro prossimo. Per esempio, se il datore di lavoro sa che un dipendente sta per andare in pensione o che presto si aprirà una nuova sede, deve considerare queste prospettive future nella sua valutazione del repêchage.

Immaginiamo il caso di Anna, impiegata in un’azienda che sta per chiudere un reparto a causa di ristrutturazioni. Invece di procedere direttamente al licenziamento, il datore di lavoro, seguendo i principi delineati dalla Cassazione, esamina le altre posizioni disponibili nell’azienda. Scopre che nel dipartimento di marketing ci sarà presto una vacanza per pensionamento. Anna possiede competenze trasferibili e mostra interesse nell’apprendere nuove abilità. Di conseguenza, anziché licenziarla, l’azienda decide di offrirle una formazione per prepararla al nuovo ruolo nel marketing, dimostrando un approccio proattivo e conforme ai principi del repêchage.

 
Pubblicato : 20 Novembre 2023 07:45