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Come funziona il mantenimento dei figli?

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(@angelo-greco)
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Cosa comprende il mantenimento e come si calcola l’importo che il padre deve versare in favore dei figli?

La determinazione dell’assegno di mantenimento ai figli, all’indomani della separazione dei genitori, genera sempre molte discussioni e controversie. Come si quantificano l’importo da versare al genitore collocatario? Cosa è compreso in tale somma? Quali sono le “spese straordinarie” da pagare a parte? Fino a che età bisogna contribuire al sostentamento dei figli e cosa succede non appena questi diventano economicamente autonomi? Per stabilire come funziona il mantenimento dei figli bisogna rifarsi soprattutto alle decisioni della suprema Corte di Cassazione. È da qui che sono partite le principali istruzioni in merito alla determinazione degli alimenti alla prole.

Cerchiamo dunque di fare il punto della situazione delle più importanti sentenze che hanno affrontato e definito questo argomento.

Chi deve pagare il mantenimento dei figli?

Sia che la coppia fosse sposata che convivente, il genitore con cui i figli vanno a vivere ha diritto a ottenere dall’altro un assegno mensile per il mantenimento dei figli finché questi ultimi non diventano economicamente autosufficienti. Quindi l’obbligo si protrae ben oltre la maggiore età.

Tale contributo non deve coprire integralmente tutte le spese per i figli: queste infatti gravano non solo su un singolo genitore ma su entrambi – quindi anche quello collocatario – in proporzione alle rispettive capacità economiche.

Dall’altro lato, il mantenimento non si limita a garantire le spese essenziali per la sopravvivenza dei figli (vitto e alloggio, salute e istruzione) ma riguarda anche tutte quelle necessarie alla vita di relazione, allo svago, allo sport, gite, locomozione, ecc.

A determinare l’assegno di mantenimento può essere l’accordo delle parti. In mancanza di accordo, sarà il giudice a decidere: giudice a cui uno dei due genitori può sempre rivolgersi per ottenere la condanna dell’altro se inadempiente in tutto o in parte.

L’obbligo di contribuire al mantenimento dei figli scatta a partire dalla nascita degli stessi e non già dalla sentenza del tribunale.

Ricordiamo infine che la decisione sull’assegno di mantenimento può sempre essere oggetto di successiva revisione, ad istanza del genitore collocatario (quello cioè con cui i figli vivono) se mutano le esigenze della prole. E di norma queste crescono col crescere dell’età. Quindi anche l’eventuale accordo stretto dai genitori quando ancora i figli erano piccoli non ha alcun carattere di definitività. Tuttavia, per modificare l’assegno di mantenimento è necessario un ulteriore ricorso al giudice.

Come viene calcolato il mantenimento per i figli?

L’ammontare del mantenimento viene parametrato alle capacità economiche di entrambi i genitori (Cass. ord. n. 17903/2023). Perché – dice la legge – anche dopo la separazione bisogna garantire loro lo stesso tenore di vita che avevano quando la famiglia era unita.

Questo significa, in buona sostanza, che tanto più la coppia viveva in condizioni agiate, tanto maggiore deve essere l’assegno. Non si può tenere in ristrettezze i figli solo per “fortificarli nello spirito” e abituarli alle rinunce, con scopo educativo.

Non esistono, al di là di ciò, ulteriori elementi per calcolare gli alimenti. In ogni caso il giudice deve sempre motivare in modo adeguato la propria decisione.

Il tribunale quindi parte dalla verifica delle rispettive condizioni economiche dei genitori. Non rientrano tra le risorse economiche da considerare ai fini dell’assegno di mantenimento gli aiuti che i familiari forniscono a un coniuge durante o dopo il divorzio.

A chi va pagato l’assegno di mantenimento?

L’assegno di mantenimento per i figli minorenni deve essere versato nelle mani (o meglio, sul conto corrente) del genitore con cui questi vivono, a cui peraltro va anche la casa coniugale (come conseguenza dell’esigenza di garantire alla prole lo stesso habitat domestico).

Il genitore è legittimato a chiedere l’assegno di mantenimento a condizione quindi che coabiti con il figlio maggiorenne. Si può parlare di convivenza con il genitore in caso di stabile dimora del figlio maggiorenne presso l’abitazione familiare, sia pure con eventuali sporadici allontanamenti per brevi periodi e, quindi, con esclusione dell’ipotesi di rari ritorni, ancorché regolari, configurandosi in tal caso un rapporto di mera ospitalità. Se però il figlio si trasferisce stabilmente in un’altra città, il genitore non più convivente perde la legittimazione a richiedere l’assegno per il mantenimento del figlio.

Una volta divenuto maggiorenne, il figlio può chiedere al genitore tenuto al pagamento di versare l’assegno direttamente a sé medesimo. In mancanza di tale richiesta, l’importo deve essere sempre bonificato al genitore collocatario.

Cosa comprende l’assegno di mantenimento?

Il contributo che il genitore non collocatario è tenuto a versare è di due tipi:

  • mantenimento ordinario: si tratta di una somma da versare periodicamente (fissata su base annua ma, per comodità, pagata mensilmente, quindi anche per i mesi in cui il figlio va a stare con l’altro genitore) volta a coprire tutte le spese per i bisogni quotidiani della prole;
  • spese straordinarie che ricomprendono invece le esigenze occasionali, imprevedibili e imponderabili (quindi non calcolabili in anticipo), di norma di rilevante valore economico. Queste ultime sono ripartite tra i due genitori, di norma al 50% ciascuno (salvo diversa determinazione del giudice).

Le spese straordinarie sono di due tipi:

  • spese necessarie (ad esempio una visita medica): non richiedono una previa concertazione tra i genitori: sicché il genitore collocatario può anche sostenerle senza dover chiedere l’autorizzazione all’ex, per poi farsi rimborsare con l’esibizione della fattura o dello scontrino;
  • spese voluttuarie (ad esempio un viaggio vacanza): è necessario l’accordo preventivo dei genitori per poter ottenere il rimborso.

Per quanto riguarda le spese necessarie, spetta poi al giudice valutare la corrispondenza delle stesse all’interesse dei minori, commisurandone l’entità rispetto alla loro utilità e alla sostenibilità da parte dei genitori (Cassazione, ord. n. 14564/2023). Le spese straordinarie hanno infatti la funzione di assicurare la provvista per quelle specifiche esigenze dei figli che sono state ritenute proporzionate al loro interesse e quantificate con l’analisi puntuale delle capacità economiche e reddituali di entrambi i genitori (Cass. ord. n. 15215/2023).

Fino a quando si deve pagare il mantenimento dei figli?

I genitori sono obbligati a contribuire alle spese dei figli, inclusi quelli maggiorenni, fino a quando questi non raggiungono l’autonomia economica. Anche se il figlio è maggiorenne, se non può trovare un lavoro che lo renda autosufficiente, l’obbligo di mantenimento persiste comunque, ma non in eterno: secondo infatti la Cassazione, raggiungi i 30/35 anni (a seconda del percorso di studi intrapreso), si può presumere che il perdurare dello stato di disoccupazione sia dovuto a inerzia. E, in tal caso, cessa l’obbligo di mantenimento. Perché il figlio che non studia e non lavora non ha diritto ad alcun mantenimento.

È onere del figlio ormai maggiorenne di provare di essersi impegnato effettivamente per rendersi economicamente autonomo e trovare un’occupazione in base alle opportunità offerte dal mercato del lavoro, anche ridimensionando le proprie aspirazioni, senza indugiare nell’attesa di un’opportunità consona alle proprie ambizioni (Cass. 14 agosto 2020 n. 17183).

La stessa regola si applica ai figli con patologie, come la depressione, tale da rendere difficile l’inserimento lavorativo ma non da implicare un grave handicap, che invece impone ai genitori il mantenimento del figlio come per quello minorenne, vita natural durante (Cass. ord. n. 23133/2023).

Una volta che il figlio ha raggiunto l’autonomia, il mantenimento cessa per sempre e non rivive neanche se quest’ultimo, dopo poco tempo, dovesse tornare in condizioni di difficoltà economiche. Si pensi al giovane che, assunto da un’azienda, viene licenziato dopo pochi mesi.

Come chiedere la revoca del mantenimento?

Quando il figlio che riceve l’assegno raggiunge l’autonomia, è necessario richiedere la revoca del contributo: non si può cioè interrompere, di propria iniziativa, il pagamento senza previa autorizzazione del giudice.

La Cassazione ha stabilito che la revoca diventa efficace dal momento in cui è stata depositata in tribunale la domanda giudiziale per la revoca del mantenimento, quindi prima della sentenza di revoca ma dopo la situazione sostanziale che ha determinato la modifica della situazione economica. Pertanto è importante formalizzare la richiesta al giudice in modo tempestivo, chiedendo nel corso del giudizio un immediato provvedimento di sospensione temporanea.

Cosa succede in caso di riduzione del mantenimento?

Se il contributo per il mantenimento dei figli viene ridotto in base a una diversa valutazione dei fatti passati, non è prevista la restituzione degli importi già versati. La Cassazione (ord. n. 10974/2023) ha chiarito questa regola, sottolineando che la riduzione dell’assegno non comporta la restituzione delle somme pagate in precedenza.

 
Pubblicato : 11 Settembre 2023 10:30