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Come dimostrare il demansionamento?

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(@carlos-arija-garcia)
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Chi vuole contestare una retrocessione al lavoro e chiedere il risarcimento deve mostrare al giudice delle prove. Quali? Ed entro quando deve agire?

Il direttore del personale ti ha chiamato nel suo ufficio e ti ha detto che, a causa di una ristrutturazione aziendale per motivi economici, dovrai lasciare il tuo attuale incarico e assumerti una mansione inferiore. Hai chiesto che ti venisse detto tutto per iscritto ma non solo non hai ricevuto la comunicazione: da quel momento in poi tutto è cambiato come se tu avessi accettato esplicitamente. Ti sei sentito demansionato e hai pensato di rivolgerti ad un avvocato per capire se è il caso di agire in tribunale o per presentare le dimissioni per giusta causa, come prevede la legge. Il problema è che la legge prevede anche di provare tutto ciò. E come dimostrare il demansionamento, se non c’è stato alcun documento scritto in cui si dice che sei stato retrocesso? Ci vogliono per forza le testimonianze dei colleghi?

Bisogna considerare, innanzitutto, che non sempre il demansionamento è una mossa illecita del datore di lavoro: ci sono dei casi in cui può essere attuato. Altri, invece, in cui la presunta crisi aziendale è il solito paravento per ridurre il costo del personale e aumentare i guadagni. Vediamo.

Il demansionamento è legale?

La regola generale dice che il dipendente deve svolgere le mansioni concordate nel contratto di lavoro. Per la precisione, «il lavoratore deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti all’inquadramento superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni riconducibili allo stesso livello e categoria legale di inquadramento delle ultime effettivamente svolte» [1].

Il demansionamento consiste proprio nel costringere il dipendente a svolgere delle mansioni inferiori rispetto a quelle per cui è stato assunto o che ha acquisito successivamente. E questo è vietato dalla legge perché ritenuto lesivo della dignità del dipendente e in grado di diminuire la sua capacità professionale. Il che, ovviamente, crea non solo uno stato di frustrazione ma anche un danno economico. In qualche caso risarcibile.

È nullo il cambiamento di mansioni basato su atteggiamenti ritorsivi o discriminatori tenuti dal datore di lavoro. Spetterà a quest’ultimo dimostrare che il mutamento dele mansioni risponde a criteri leciti.

Ci sono, comunque, delle eccezioni. Il datore di lavoro può assegnare al dipendente dele mansioni inferiori in caso di:

  • rischio di riduzione del personale: al lavoratore vengono affidati nuovi compiti, anche inferiori, per evitare che perda il posto;
  • gravidanza: alla dipendente che svolge dei lavori a rischio possono essere assegnate delle mansioni inferiori per tutelare il suo stato di salute e quello del nascituro;
  • acquisizione di nuove professionalità;
  • conciliazione tra vita privata e lavoro;
  • sopraggiunta inidoneità fisica del dipendente alle mansioni assegnate.

In tutti questi casi, e sulla base di specifici accordi tra le parti, possono essere previste delle revisioni retributive al ribasso ma solo se ciò comporta un miglioramento delle condizioni del lavoratore. In altre parole, il dipendente può accettare una mansione inferiore con uno stipendio più basso se ritiene che, comunque, la sua qualità di vita ha un miglioramento.

Ad ogni modo, il datore di lavoro ha il dovere di comunicare al lavoratore l’assegnazione a mansioni inferiori in forma scritta a pena di nullità. Nell’esempio fatto all’inizio, dunque, la modifica delle mansioni sarebbe nulla perché l’azienda non ha dato alcuna comunicazione per iscritto nonostante sia stata sollecitata dal dipendente a farlo.

Inoltre, il dipendente ha il diritto a conservare il livello di inquadramento e il trattamento retributivo riconosciuto prima del demansionamento. Va fatta eccezione, però, per gli elementi retributivi legati a particolari modalità di esecuzione della prestazione precedente, che possono essere rimossi dalla busta paga.

Resta ferma, in ogni caso, la facoltà per il lavoratore di aderire o meno alla proposta del datore di lavoro. Senza un accordo, il demansionamento è illegittimo.

L’accordo deve essere stipulato, alternativamente:

  • in una sede «protetta»;
  • oppure davanti ad una commissione di certificazione.

Il lavoratore può farsi assistere da un rappresentante sindacale, da un avvocato o da un consulente del lavoro.

Il lavoratore può rifiutarsi di svolgere mansioni inferiori?

Attenzione a come si reagisce in caso di demansionamento. Secondo la Cassazione, il lavoratore può rifiutarsi di svolgere le mansioni inferiori che gli vengono assegnate solo se dimostra di reagire in buona fede [2]. Ma non può rifiutarsi a priori, e senza l’avallo giudiziario, se il datore rispetta gli altri fondamentali obblighi che derivano dal contratto.

Per essere più espliciti, il rifiuto del dipendente viene considerato in buona fede solo se tale comportamento non è in contrasto con i princìpi generali della correttezza e lealtà e risulta oggettivamente ragionevole e logico. Il giudice, in sede di controversia, deciderà se c’è un equilibrio nel comportamento del dipendente per le prestazioni non svolte (le mansioni per le quali era stato assunto) e quelle rifiutate (le mansioni inferiori che gli sono state assegnate).

Per ottenere il reintegro immediato nelle mansioni precedenti, bisogna innanzitutto scrivere una lettera raccomandata a/r all’azienda e tentare di risolvere in via pacifica il problema. Nel caso in cui la richiesta non venisse accolta, allora occorrerebbe rivolgersi al giudice del lavoro affinché stabilisca se il demansionamento attuato dall’azienda è legittimo oppure no. In quest’ultimo caso, il datore dovrà reintegrare il lavoratore nelle mansioni precedenti e riconoscergli un risarcimento del danno subìto dalla perdita di professionalità e dalla lesione alla sua dignità e alle sue aspettative. Spetterà al lavoratore provare l’entità del danno.

Come si può dimostrare un demansionamento?

Il problema di chi vuole denunciare al giudice del lavoro un demansionamento, lo dicevamo all’inizio, è dimostrarlo. Secondo la giurisprudenza, infatti, non bastano indizi generici ma dovrà fornire prove testimoniali di colleghi o documentali. Ad esempio, il fatto di non avere ricevuto alcuna comunicazione scritta sul mutamento delle mansioni, le buste paga da cui risulta che, da un certo momento in poi, la retribuzione e il livello di inquadramento sono diminuiti, l‘eventuale comunicazione scritta con cui il dipendente ha contestato la decisione dell’azienda e richiesto delle spiegazioni scritte mai arrivate, ecc.

Sarà poi il giudice a verificare le attività svolte dal lavoratore prima del demansionamento, a individuare il tipo di contratto applicato e a prendere una decisione.

Se, poi, chiederà il risarcimento anche del danno non patrimoniale, dovrà allegare un certificato medico che attesti la lesione psicofisica subita dal demansionamento.

Il lavoratore, infine, dovrà provare il nesso causale tra la dequalificazione e la sofferenza fisica, psichica o emotiva accusata.

Entro quando si può fare causa per demansionamento?

Chi ha tutti gli elementi per dimostrare il demansionamento può agire in tribunale in qualsiasi momento da quando il declassamento è stato messo in atto. Il datore non può difendersi dicendo che il dipendente ha svolto nel tempo le mansioni inferiori che gli sono state assegnate senza protestare formalmente: secondo la Cassazione, infatti [3], il lavoratore avrebbe potuto scegliere di non protestare per la paura di perdere il posto di lavoro senza avere un’alternativa altrove e di rimandare l’avvio della causa.

Finito il demansionamento o al momento del recesso dal contratto, il lavoratore ha cinque anni di tempo per agire.

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Pubblicato : 4 Febbraio 2023 10:30