Come contestare un’accusa penale
Come sapere se è stata sporta una denuncia? Come difendersi durante la fase delle indagini preliminari? In cosa consistono le investigazioni difensive?
La denuncia è la segnalazione di reato fatta pervenire alle autorità competenti, cioè alle forze dell’ordine oppure direttamente alla Procura della Repubblica. La denuncia segna l’iscrizione dell’indagato all’interno del registro delle notizie di reato e l’avvio delle indagini preliminari. Al termine delle investigazioni, se il pm riterrà fondata la responsabilità penale del soggetto, chiederà il suo rinvio a giudizio. Con questo articolo vedremo come contestare un’accusa penale.
Come sapere se una persona è stata denunciata?
La persona che sospetta di essere stata denunciata alle autorità può fare istanza direttamente in Procura affinché gli sia detto se ci sono delle indagini a proprio carico.
Si tratta della famosa “istanza ex art. 335 c.p.p.”, che consente a una persona di sapere se è stata denunciata per aver commesso qualche reato.
La richiesta può essere presentata autonomamente, senza l’assistenza necessaria di un avvocato: tutti, infatti, hanno il diritto di sapere se il proprio nominativo è presente nel registro degli indagati.
L’istanza per sapere se si è indagati serve ogni volta in cui la persona ha il sospetto di essere stata denunciata ma, non avendo avuto nessuna comunicazione formale dalle autorità, non ne ha la certezza.
Si badi bene: l’istanza ex art. 335 c.p.c. permette soltanto di sapere per quale reato si è indagati e qual è il pm che sta svolgendo le investigazioni: non sarà quindi possibile né leggere il contenuto della denuncia né prendere visione di eventuali indagini già svolte.
Come contestare una denuncia?
La persona denunciata può contestare l’accusa mossa nei suoi riguardi depositando memorie difensive direttamente in Procura, precisamente presso l’ufficio del pubblico ministero che sta seguendo le indagini.
Le memorie servono per illustrare le proprie ragioni e contestare la denuncia, magari indicando al pm eventuali investigazioni da compiere, come ad esempio testimoni da sentire e documenti da acquisire.
L’indagato può anche chiedere alla polizia di rilasciare dichiarazioni spontanee [1]. Non si tratta di un interrogatorio né di un esame, quando della narrazione di circostanze a sé favorevoli che l’indagato di propria iniziativa decide di rendere alle autorità per convincerle della propria innocenza.
Cosa sono le investigazioni difensive?
Uno strumento molto utile (ma raramente utilizzato) per contestare un’accusa penale già durante la fase delle indagini preliminari è quello delle investigazioni difensive.
La legge [2] dice che l’avvocato, munito di regolare mandato difensivo, può svolgere indagini per conto del proprio assistito, esattamente come fa il pm sul fronte opposto.
L’avvocato può quindi raccogliere testimonianze, acquisire documenti e accedere a luoghi (anche privati) per effettuare gli opportuni rilievi.
Le investigazioni difensive possono svolgersi in concomitanza con quelle della Procura e, addirittura, possono effettuarsi anche in via preventiva, cioè in vista di un procedimento penale non ancora esistente. Si pensi a chi voglia mettersi al sicura da calunnie, raccogliendo sin da subito prove a proprio vantaggio.
L’avviso di conclusione delle indagini preliminari
Una svolta difensiva può avvenire nel momento in cui all’indagato viene notificato l’avviso di conclusione delle indagini [3], cioè l’atto con cui la Procura avverte che le investigazioni sono concluse e che, se non verranno offerti nuovi spunti in grado di far desistere il pm, questi procederà con il rinvio a giudizio.
Ricevuto l’avviso, l’indagato potrà finalmente prendere visione ed estrarre copia di tutte le indagini svolte dal pubblico ministero; entro il termine di venti giorni, inoltre, potrà:
- presentare memorie;
- produrre documenti;
- depositare le investigazioni difensive compiute dall’avvocato;
- chiedere al pm di compiere ulteriori atti d’indagine (cosiddette “investigazioni suppletive”);
- presentarsi per rilasciare spontanee dichiarazioni;
- chiedere di essere sottoposto a interrogatorio.
A quest’ultima richiesta il pm non può sottrarsi: personalmente, oppure delegando la polizia giudiziaria, l’indagato dovrà essere sottoposto a interrogatorio, con la necessaria assistenza dell’avvocato difensore.
Come contestare un’accusa in giudizio?
Il giudizio è il luogo perfetto per contestare un’accusa penale: è in tale sede, infatti, che l’imputato può esplicare appieno il proprio diritto di difesa, presentando testimoni e consulenti tecnici, nonché depositando ogni tipo di documentazione.
È solo in giudizio che le prove si formano: il giudice, infatti, non ha conoscenza del fascicolo delle indagini del pm. Tutto ciò che verrà sottoposto al giudice, pertanto, potrà essere contestato dall’avvocato difensore.
Pertanto, mentre durante le indagini preliminari il pm svolge praticamente da solo le investigazioni, con l’indagato che può limitarsi essenzialmente a depositare memorie e a chiedere di essere sentito, durante il processo vero e proprio tutto deve avvenire nel contraddittorio tra accusa e difesa.
Diritto fondamentale dell’imputato è quello di poter sentire la persona che lo accusa al fine di potergli sottoporre delle domande.
In pratica, chi ha sporto denuncia deve presentarsi in udienza per rispondere alle domande dell’avvocato, il quale quindi tenterà di contestare l’accusa dimostrando l’inattendibilità del teste.
Come contestare una sentenza di condanna?
Ogni imputato ha diritto di impugnare la sentenza che lo condanna. È quindi possibile proporre appello e, infine, ricorso per Cassazione contro la conferma della condanna.
Va però precisato che, di norma, negli ulteriori gradi di giudizio non sono ammessi nuovi mezzi di prova; ciò significa che in appello non sarà possibile portare nuova documentazione oppure far sentire altri testimoni.
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