Come chiudere i debiti con Agenzia Entrate
Tutte le possibilità di definire le pendenze tributarie abbattendo l’importo da versare al Fisco o dilazionando i termini di pagamento.
Controlli sulle dichiarazioni fiscali, avvisi di accertamento, liquidazioni d’imposta, cartelle di pagamento: quando arriva il postino o apri la casella Pec e vedi che il mittente è l’Agenzia delle Entrate hai ragione ad essere preoccupato. Negli ultimi anni, l’Amministrazione finanziaria, aiutata dalle potenzialità informatiche e dalle numerose banche dati di cui dispone, è diventata molto efficiente nelle attività volte al recupero dei tributi (anche se poi in parecchi casi non riesce a incassare le somme). Perciò, quando arrivano richieste di pagamento, specialmente se sono consistenti e si accumulano nel corso del tempo, diventa importante sapere come chiudere i debiti con l’Agenzia delle Entrate, andando ben al di là della definizione di un singolo atto che, in caso di procedure multiple, sarebbe solo parziale e dunque insufficiente a colmare l’ammontare complessivo.
Tieni presente che l’importo richiesto ai contribuenti che per qualsiasi motivo non riescono a versare il dovuto negli stretti termini intimati cresce sempre più, soprattutto a causa delle sanzioni per ritardato o omesso versamento e degli interessi maturati tra la data di accertamento e quella di pagamento. A quel punto diventa serio il rischio di subire il pignoramento dello stipendio o della pensione, il fermo amministrativo dei veicoli ed anche, se le cifre sono consistenti, l’espropriazione forzata dei beni immobili del debitore.
Al di là delle vie d’uscita straordinarie, concesse con le varie edizioni della “rottamazione” e saldo e stralcio dei debiti fiscali (l’ultima si è chiusa nell’estate 2023), esistono diverse possibilità per fronteggiare queste situazioni: ci sono varie soluzioni vantaggiose che consentono di eliminare l’esposizione debitoria, o almeno di ridurla notevolmente e di diluire i pagamenti residui nel tempo, anche su periodi molto lunghi.
Vediamo dunque come chiudere i debiti con l’Agenzia delle Entrate: nel ventaglio di strumenti che ti indicheremo potrai trovare la soluzione per te più adatta.
Tutti i modi per definire i debiti con Agenzia Entrate
Non sempre è necessario pagare l’intero importo che viene richiesto dall’Agenzia delle Entrate con le comunicazioni di irregolarità, che avvisano in anticipo il contribuente dandogli modo di mettersi in regola, o con gli avvisi di accertamento veri e propri, che arrivano quando la violazione commessa è già stata constatata dagli Uffici che chiedono il recupero dei tributi non versati più sanzioni ed interessi.
Innanzitutto, c’è la possibilità di non dover pagare tutto e subito, ed è la rateizzazione. Questo strumento è stato potenziato e incentivato a seguito della crisi economica derivata dalla pandemia di Covid-19 e ora risulta molto più appetibile rispetto al recente passato.
Poi, ci sono modi che consentono di abbattere l’importo dovuto anche in misura notevole, come la transazione fiscale raggiunta con l’Agenzia delle Entrate ed il saldo e stralcio nei casi di sovraindebitamento.
Esiste anche l’interessante l’accertamento con adesione, che è aperto a tutti ed offre un notevole sconto fiscale poiché il contribuente accetta le contestazioni mosse dall’Ufficio e così ottiene una riduzione delle sanzioni; questa procedura richiede solo di rispettare determinati termini per presentare l’istanza, che ti illustreremo nel prosieguo dell’articolo.
C’è poi la via classica di contestazione del debito richiesto: è quella dell’impugnazione dell’atto di accertamento, proponendo ricorso al giudice tributario. Se ci sono validi motivi per opporsi alla pretesa fiscale conviene senz’altro farlo, in modo da ottenere l’annullamento integrale dell’atto impositivo emanato dall’Agenzia. C’è anche la possibilità di chiedere l’immediata sospensione del provvedimento (che altrimenti sarebbe subito esecutivo, dopo 60 giorni dalla notifica), per evitarne gli effetti pregiudizievoli e attendere con più tranquillità l’arrivo della sentenza.
La rateizzazione dei debiti con Agenzia Entrate
Per rateizzare il debito con l’Agenzia delle Entrate non è necessario attendere che venga emanato un avviso di accertamento esecutivo o arrivi una cartella di pagamento: si può chiedere la dilazione sin dal momento in cui perviene la comunicazione di irregolarità emessa dall’Agenzia (detta anche “avviso bonario”).
In questo documento, vengono contestate preliminarmente al contribuente le irregolarità o le incongruenze riscontrate nelle dichiarazioni presentate ai fini delle imposte sui redditi o dell’Iva, in modo da dargli la possibilità anticipata di regolarizzare subito la propria posizione senza ulteriori conseguenze.
Il termine per riscontrare positivamente la comunicazione di irregolarità è di 30 giorni dal ricevimento. Chi aderisce beneficerà delle sanzioni ridotte rispetto all’ordinario 30% sulla maggiore imposta: si paga il 10% per le comunicazioni emesse a seguito di controllo automatico [1] e il 20% per quelle derivanti dal controllo formale [2].
Come rateizzare le somme dovute all’Agenzia Entrate
Le modalità di rateizzazione dipendono dall’importo richiesto dall’Agenzia delle Entrate e precisamente:
- fino a 5.000 euro, si può rateizzare la somma in un massimo di 8 rate trimestrali di pari importo;
- oltre 5.000 euro, la rateizzazione può essere concessa fino ad un massimo di 20 rate trimestrali di pari importo.
Il numero e l’importo delle rate concedibili vengono determinati dall’ufficio; per individuare immediatamente questi dati si può utilizzare la funzione sul sito ufficiale dell’Agenzia delle Entrate presente nell’area “Servizi” e intitolata “Determinazione dei versamenti rateali”, indicando il proprio codice fiscale e la data di ricevimento della comunicazione di irregolarità.
Quando l’Agenzia accoglie la domanda, bisogna versare la prima rata entro 30 giorni dal ricevimento della comunicazione. Si può pagare anche con il modello F24 precompilato già allegato alla comunicazione, o con quello che si può predisporre online sempre sul sito dell’Agenzia. Sulle rate successive alla prima, si applicano gli interessi, attualmente al tasso del 3,5% annuo.
Il ritardo nel pagamento delle rate non comporta la decadenza dalla rateazione concessa, purché sia lieve: è possibile versare la rata scaduta entro il termine di versamento della successiva (o entro 90 giorni se è l’ultima rata), e, in tal caso, l’Agenzia iscriverà a ruolo gli interessi e la sanzione per i soli importi versati in ritardo ed i relativi giorni. Per ulteriori dettagli, leggi l’articolo: “Avviso bonario a rate: come funziona“.
Come rateizzare con Agenzia Entrate Riscossione
Quando il debito è già esecutivo, come nel caso della cartella di pagamento e il contribuente si trova in difficoltà economica a versare il dovuto in un’unica soluzione, è possibile ottenere una rateazione con Agenzia Entrate Riscossione, che è l’articolazione – distinta dall’Agenzia delle Entrate – incaricata del recupero coattivo dei tributi non pagati e già iscritti a ruolo dagli Enti impositori (tra cui la stessa Agenzia delle Entrate per i tributi erariali, come l’Irpef, l’Ires, l’Irap e l’Iva o le imposte di registro e di successione). A breve, comunque, le due strutture verranno unificate.
La richiesta di rateizzazione comporta la dilazione dei pagamenti, che vengono “spalmati” fino a 72 rate mensili di importo costante o variabile (crescente per ciascun anno) e sempre con un limite minimo di 50 euro per ciascuna rata. Si può arrivare fino a 120 rate in caso di «grave e comprovata situazione di difficoltà economica» da documentare producendo l’Isee del nucleo familiare e, se si tratta di impresa o società, allegando i bilanci aziendali.
Per i debiti fino a 120mila euro (prima dell’emergenza Covid il limite era di soli 60mila euro) la domanda viene automaticamente accolta, tranne che per le società o ditte già poste in liquidazione, quindi è sufficiente presentare allo sportello, o inviare telematicamente, una semplice richiesta, senza bisogno di indicare i motivi (per le modalità leggi “Come richiedere rateizzazione cartella?“).
La rateazione dei debiti di importo superiore a 120mila euro, invece, viene valutata caso per caso dall’Agenzia in base alla documentazione prodotta per dimostrare l’oggettiva situazione di difficoltà economica e tenendo conto dell’eventuale presenza di debiti pregressi e non ancora saldati; quindi l’accoglimento non è automatico.
Decadenza dalla rateazione e ripresa del piano
Attualmente la decadenza dalla rateizzazione con Agenzia Entrate Riscossione si verifica con 8 rate non pagate, anche non consecutive (in passato, fino al 2022, il limite era di sole 5 rate, mentre durante la pandemia era stato aumentato a 10). Bisogna stare attenti, quindi, a non superare mai questo limite, altrimenti si perdono automaticamente tutti i benefici del piano di dilazione concesso e l’Agenzia potrà intraprendere, o proseguire se già avviate in passato, le procedure di recupero coattivo del credito, cioè potrà eseguire pignoramenti e fermi amministrativi sui beni del debitore.
Invece una rata pagata in ritardo non compromette i benefici ed è possibile rimediare regolarizzando i versamenti non eseguiti entro la scadenza; se si supera il limite di 8 rate non pagate entro i termini, però, è necessario, per evitare le procedure di riscossione coattiva, saldare in unica soluzione tutte le rate già scadute ed, eventualmente, chiedere una nuova rateizzazione per il debito residuo. Per tutti gli approfondimenti leggi l’articolo “Come pagare rate scadute Agenzia Entrate“.
Accertamento con adesione: come funziona
Ogni avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle Entrate – che dal 2010 è anche un atto direttamente esecutivo, cioè non richiede l’emanazione della successiva cartella esattoriale – deve essere compiutamente motivato, cioè indicare con precisione e chiarezza le ragioni per le quali l’Amministrazione finanziaria ha calcolato una maggiore base imponibile che intende recuperare a tassazione ed ha determinato le conseguenti maggiori imposte e sanzioni.
Grazie a questa esposizione, il contribuente può verificare la fondatezza della pretesa tributaria azionata nei suoi confronti. Se esaminando l’atto si riconosce che il Fisco ha, almeno parzialmente, ragione, si può “scendere a patti” e realizzare l’accertamento con adesione: è un concordato che si raggiunge con l’Agenzia delle Entrate, dove il contribuente rinuncia ad instaurare un contenzioso ed in cambio, accettando i rilievi mossi dall’Ufficio, ottiene la riduzione delle sanzioni fino a un terzo del minimo edittale e, nei casi di evasione fiscale più gravi, che realizzano un reato tributario, beneficia di particolari attenuanti.
L’istanza può essere proposta dal contribuente anche prima dell’arrivo dell’avviso di accertamento, se c’è stato un controllo o una verifica fiscale da parte dei funzionari dell’Agenzia o dalla Guardia di Finanza; in questo caso, la base da cui partire per avviare le trattative con l’Amministrazione finanziaria è il processo verbale di constatazione, in breve pvc, redatto dagli ispettori (leggi “Accertamento con adesione: come accordarsi con il Fisco“).
Presentata la domanda, si riceverà un invito a comparire davanti ai funzionari dell’Agenzia; nell’incontro – in cui il contribuente può farsi rappresentare ed assistere dal suo commercialista o avvocato – si potrà discutere, esponendo le proprie ragioni, e raggiungere un’intesa. In tal caso l’accordo raggiunto con l’Agenzia Entrate verrà formalizzato in un atto di adesione, che indicherà i termini di pagamento della somma concordata.
Accertamento con adesione e versamenti rateali
Anche per l’accertamento con adesione sono consentiti i versamenti rateali con le seguenti modalità:
- fino a un massimo di 8 rate trimestrali per le somme complessive dovute entro i 50mila euro;
- fino a 16 rate trimestrali per le somme che superano i 50mila euro.
La prima rata va versata entro 20 giorni dalla data dell’atto di accertamento di adesione. I pagamenti sono compensabili con gli eventuali crediti d’imposta spettanti al contribuente.
Ricorso al giudice tributario: come fare
Quando il contribuente riceve un avviso di accertamento dall’Agenzia delle Entrate, può proporre ricorso alla Corte di Giustizia tributaria di primo grado territorialmente competente (è l’ex Commissione tributaria provinciale, che dal 2022 ha cambiato denominazione) contro l’atto impositivo emanato nei suoi confronti per chiederne l’annullamento: se si ottiene questo risultato, il tributo da pagare non sarà più dovuto e il debito fiscale richiesto in pagamento dall’Amministrazione finanziaria verrà cancellato.
Il ricorso va presentato, a pena di decadenza, entro 60 giorni dalla notifica al contribuente dell’atto. La proposizione dell’istanza di accertamento con adesione, proprio per dare tempo alle parti di trovare un accordo, comporta comunque un allungamento dei termini utili per presentare ricorso: vengono sospesi per 90 giorni (decorrenti dalla data di presentazione dell’istanza), che si aggiungono ai normali 60 giorni decorrenti dalla data di notifica dell’atto da impugnare.
Chiaramente, per opporsi alla pretesa fiscale ed instaurare un processo tributario occorre avere validi motivi, che dovranno essere esposti nel ricorso, e il giudice tributario esaminerà la loro fondatezza. In caso positivo, la Commissione tributaria accoglierà la domanda ed annullerà, interamente o parzialmente, l’atto impugnato; nel caso di annullamento parziale, la somma richiesta dall’Agenzia delle Entrate per tributi o sanzioni sarà ridotta nella misura determinata dal giudice.
I ricorsi per controversie fino a 50mila euro di valore devono essere preceduti da una procedura di mediazione tributaria con cui si richiede all’Agenzia di rivedere l’atto emanato o di ridurre la sua pretesa iniziale. Nel giudizio tributario, ci si può difendere da soli, cioè senza la necessaria assistenza tecnica di un difensore abilitato, per le cause di valore inferiore a 3mila euro.
Sospensione dell’esecutività dell’atto impugnato
Nel ricorso presentato al giudice tributario si può chiedere anche, con un’apposita istanza, la sospensione dell’esecutività dell’atto impugnato. Questo serve per evitare gli effetti pregiudizievoli che potrebbero derivare dalla riscossione delle somme, che altrimenti verrebbe intrapresa dall’Amministrazione finanziaria anche durante la pendenza del giudizio tributario, senza attenderne l’esito.
Per ottenere la sospensione cautelare occorre che il ricorso appaia fondato e che vi sia la possibilità di un «danno grave e irreparabile» [4] derivante dall’esecuzione forzata sui beni del contribuente.
Transazione fiscale: cos’è e chi riguarda
Un’ulteriore possibilità di definizione dei debiti maturati verso l’Agenzia delle Entrate è la transazione fiscale, che riguarda le imprese fallibili in stato di crisi economica e finanziaria, con uno stato di insolvenza conclamato nell’apertura di una procedura prefallimentare di concordato preventivo o di un accordo di ristrutturazione dei debiti, che possono essere di natura fiscale e non solo, come quelli di vario genere maturati verso privati (banche, fornitori, società finanziarie, lavoratori dipendenti).
Non possono, perciò, accedere alla transazione fiscale i soggetti privati coloro che non esercitano attività imprenditoriale o comunque non sono soggetti alle norme sul fallimento, come i piccoli imprenditori, commercianti, liberi professionisti e artigiani: la transazione fiscale è un’alternativa alla prospettiva di messa in liquidazione e chiusura dell’impresa a causa dei debiti, ma può riguardare e comprendere tutti i tributi di competenza dell’Agenzia delle Entrate, compresa, a partire dal 2017, l’Iva.
Per sapere chi può accedere alla procedura e come funziona il meccanismo, che porta all’omologazione dell’accordo o del concordato con un piano personalizzato di riduzione e dilazione del carico debitorio, leggi l’articolo “Transazione fiscale: come si fa“.
Saldo e stralcio per i sovraindebitati
Anche il saldo e stralcio dei debiti fiscali realizza, sostanzialmente, una transazione con l’Agenzia delle Entrate. Va evidenziato che questo istituto non è soltanto emergenziale, come quello, omonimo, che ha costituito una delle forme di definizione delle cartelle esattoriali prevista dalle norme sulla pace fiscale: si tratta invece di una soluzione permanente, prevista dal nuovo “Codice della crisi e dell’insolvenza” entrato in vigore nel 2022, che ha riformato e potenziato notevolmente la vecchia legge “salvasuicidi” del 2012.
Adesso questa via d’uscita per risolvere le pendenze tributarie è molto più estesa rispetto al passato, in quanto comprende la maggior parte delle categorie di soggetti esposti al Fisco: imprenditori, lavoratori autonomi, contribuenti con lavoro dipendente o autonomo e disoccupati (tutti considerati non isolatamente, bensì insieme alle loro famiglie), se si trovano in difficoltà economica.
La differenza di questo saldo e stralcio dei debiti fiscali rispetto alla transazione fiscale è che esso riguarda in generale tutti i contribuenti che risultano sovraindebitati, cioè in grave difficoltà economica e finanziaria che gli preclude la possibilità di saldare le pendenze tributarie accumulate ed anche di rimborsare i creditori privati, come le banche o altri istituti che hanno concesso finanziamenti e prestiti.
Infatti anche i debiti fiscali rientrano nel cumulo dell’esposizione debitoria accumulata, che viene trattata in maniera unitaria e complessiva: così i debitori incapienti – cioè coloro che non hanno e, verosimilmente, non avranno neppure in futuro alcuna possibilità di pagare perché non dispongono di redditi o patrimoni oltre il limite di sussistenza necessario al loro mantenimento personale – possono, a determinate condizioni e con provvedimento del tribunale, ottenere l’esdebitazione totale, cioè la cancellazione integrale del debito, senza dover pagare nulla, a meno che nei successivi quattro anni non sopraggiungano utilità economiche tali da consentire di soddisfare le pretese dei creditori per almeno il 10%.
Negli altri casi, quando cioè il patrimonio disponibile ed i redditi periodici sono sufficienti a soddisfare il Fisco almeno parzialmente, l’ammontare dei debiti fiscali sarà proporzionalmente ridotto dal giudice, e sarà ammesso il pagamento dilazionato, con un piano di rimborso personalizzato.
Si può accedere al saldo e stralcio anche senza il consenso dell’Agenzia delle Entrate: l’ufficio parteciperà alla procedura e verrà interpellato, ma il giudice potrà omologare l’accordo nonostante il suo voto contrario all’approvazione del piano, anche quando l’adesione dell’Agenzia sarebbe stata decisiva per formare la maggioranza del 60% del consenso dei creditori.
Il saldo e stralcio dei debiti si richiede attraverso un’apposita procedura, che si svolge con la necessaria assistenza di un Occ (organismo di composizione della crisi). Questo organo esamina tutti i debiti e si esprime sulle possibilità di definizione alla stregua dello stato, attuale e presumibile nel prossimo futuro, di “salute finanziaria” del debitore. Al termine di questa fase il piano del consumatore, o l’accordo di composizione della crisi, viene sottoposto al tribunale e, se il giudizio è favorevole, verrà omologato: da quel momento, assumerà efficacia e diventerà vincolante alle condizioni stabilite. Per saperne di più, leggi l’articolo “Sovraindebitamento: come uscire dalla crisi“.
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