Come agire se minacciati di licenziamento per motivi economici?
Scopri come la legge tutela i lavoratori da estorsioni e minacce di licenziamento per motivi economici da parte dei datori di lavoro.
Nel mondo del lavoro, ci sono situazioni in cui i lavoratori possono trovarsi di fronte a richieste ingiuste da parte dei datori di lavoro, come la restituzione (in contanti) di parte dello stipendio già versato sul conto o l’accettazione di condizioni lavorative deteriori rispetto a quanto previsto dal contratto collettivo (ad esempio l’inquadramento con categoria più bassa o l’indicazione in busta paga di un numero di ore lavorate inferiori rispetto a quelle effettive). Dinanzi alle comprensibili contestazioni del lavoratore si riceve spesso un perentorio “aut aut”: «O accetti o ti licenzio!». Ma un comportamento del genere si può contestare? Come agire se minacciati di licenziamento per motivi economici?
Queste pratiche non solo sono eticamente discutibili ma possono anche configurare reati come l’estorsione, punibile severamente dalla legge.
In questo articolo, esploreremo come la giurisprudenza italiana tutela i lavoratori da tali abusi, facendo riferimento alle principali sentenze in materia.
Cosa fare se il datore di lavoro minaccia di licenziarti per estorsione?
Se ti trovi di fronte a una richiesta ingiusta dal tuo datore di lavoro, come la restituzione di parte dello stipendio con la minaccia di licenziamento, è importante sapere che la legge è dalla tua parte. Tale comportamento configura il reato di estorsione e pertanto puoi sporgere querela entro tre mesi da quando si è verificato l’episodio.
L’estorsione nel contesto lavorativo si verifica quando il datore di lavoro cerca di ottenere un vantaggio ingiusto minacciando il dipendente, una pratica punita con la reclusione da 5 a 10 anni secondo il codice penale italiano.
Che fare se vengo licenziato?
Chi desiste dall’agire contro il datore di lavoro perché teme il licenziamento deve sapere che, in tal caso, la risoluzione del rapporto di lavoro sarebbe nulla. Al di là, infatti, delle formali motivazioni indicate nella lettera di licenziamento, sarebbe facilissimo dimostrare che alla base della decisione del datore vi è uno scopo ritorsivo. E il licenziamento effettuato per ripicca (appunto “per ritorsione”), come nel caso di un rifiuto a sottostare a richieste ingiuste o nel caso di chi agisce in tribunale, si considera privo di effetti.
La Cassazione ha stabilito che in tali circostanze il lavoratore ha diritto non solo alla reintegrazione nel posto di lavoro ma anche a un risarcimento.
Quali sono gli esempi di estorsione nel mondo del lavoro?
Diverse sentenze hanno delineato casi in cui il comportamento del datore di lavoro può essere considerato un’estorsione. Ad esempio, la minaccia di licenziamento per non aver sottoscritto cambiali in bianco, o l’obbligo di accettare retribuzioni inferiori minacciando licenziamento, revoca di benefits, trasferimenti, cambio di mansioni. Queste azioni sono state giudicate come tentativi di coartare la volontà dei dipendenti per trarne un profitto ingiusto.
Cosa dice la legge sull’accettazione di condizioni lavorative peggiori?
La prospettazione di condizioni lavorative peggiori, sotto la minaccia di perdere il lavoro, integra non solo il reato di estorsione ma anche un illecito civile. Quindi se anche il dipendente dovesse accettare a lungo tale pratica potrebbe sempre chiedere le differenze retributive, dinanzi al tribunale civile del lavoro, fino a cinque anni dalla data di cessazione del rapporto di lavoro. Tale infatti è il termine di prescrizione previsto dalla legge per i diritti del dipendente.
E per quanto riguarda la prova della restituzione di parte dello stipendio in contanti, la giurisprudenza ammette come prova le registrazioni avvenute sul luogo di lavoro (registrazioni che devono ritenersi sempre lecite quando effettuate per far valere un proprio diritto).
Quando non c’è estorsione del datore di lavoro?
La prospettazione da parte del datore di lavoro dell’alternativa tra rinuncia a parte della retribuzione e perdita dell’opportunità lavorativa non configura il reato di estorsione se questa viene fatta al momento dell’assunzione. Difatti in tali casi, secondo la Cassazione, pur sussistendo un ingiusto profitto per il primo, costituito dal conseguimento di prestazioni d’opera sottopagate, ciò non significa che l’ottenimento di un impiego rechi un danno ai lavoratori rispetto alla preesistente situazione di disoccupazione. Insomma, l’estorsione si può avere solo se il lavoratore è stato già assunto.
La giurisprudenza
L’estorsione del datore di lavoro: casistica.
La minaccia di licenziamento in caso di mancata sottoscrizione della cambiale in bianco fatta dal datore di lavoro ai propri dipendenti integra il reato di estorsione che si interrompe al solo tentativo in caso di esplicito rifiuto delle persone offese. Tale condotta infatti, pur se nella forma tentata, integra la condotta propria del reato volta al tentativo di coartazione della volontà della vittima mediante minaccia di un male ingiusto per trarne profitto.
Tribunale Nola, 27/07/2021, n.929
Integra il delitto di estorsione la condotta del datore di lavoro che, approfittando della situazione del mercato del lavoro a lui favorevole per la prevalenza dell’offerta sulla domanda, costringe i lavoratori, con minacce larvate di licenziamento, ad accettare la corresponsione di trattamenti retributivi deteriori e non adeguati alle prestazioni effettuate.
Cassazione penale sez. II, 13/07/2023, n.34775
Integra estorsione la condotta del datore di lavoro che mediante minaccia di licenziamento, sfratto e conseguente allontanamento dal territorio nazionale, costringa i lavoratori stranieri ad accettare retribuzioni inferiori rispetto a quelle dovute e trattenendo per se la differenza e ad accettare di svolgere le attività in assenza dei dovuti dispositivi di protezione.
Tribunale Gorizia, 10/03/2023, n.201
La minaccia del datore di lavoro che obbliga i dipendenti a avere uno stipendio più basso
Integra la minaccia costitutiva del delitto di estorsione lo prospettazione da parte del datore di lavoro ai dipendenti, in un contesto di grave crisi occupazionale, della perdita del posto di lavoro per il caso in cui non accettino un trattamento economico inferiore a quello risultante dalle buste paga.
Tribunale Lecce sez. I, 24/01/2022, n.2547
Quando non c’è estorsione
Non integra il reato di estorsione la condotta del datore di lavoro che, al momento dell’assunzione, prospetti agli aspiranti dipendenti l’alternativa tra la rinunzia a parte della retribuzione e la perdita dell’opportunità di lavoro, in quanto, pur sussistendo un ingiusto profitto per il primo, costituito dal conseguimento di prestazioni d’opera sottopagate, ciò non significa che l’ottenimento di un impiego rechi un danno ai lavoratori rispetto alla preesistente situazione di disoccupazione.
Cassazione penale sez. VI, 03/12/2021, n.6620 (in senso difforme: Sez. II, 20 febbraio 2019, n. 8477, ivi, n. 275613-01; Sez. II, 20 aprile 2010, n. 16656, ivi, n. 247350-01).
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