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Come affrontare una cartella esattoriale

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(@paolo-remer)
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Cosa controllare nel contenuto di una cartella di pagamento dell’Agenzia Entrate Riscossione e sulla sua notifica; quando non bisogna pagare l’importo richiesto; in quali casi conviene rateizzare.

Quando arriva la sgradita raccomandata, o Pec, che contiene una richiesta di pagamento dell’Agenzia delle Entrate Riscossione ci si domanda: come affrontare una cartella esattoriale? È sbagliato concentrarsi solo sulla cifra che viene chiesta in pagamento. Bisogna andare ben oltre. In questo articolo ti forniremo i consigli utili per fronteggiare queste situazioni e reagire ove è possibile. Altrimenti, se non è possibile pagare tutto insieme, si può sempre rateizzare il debito, a condizioni particolarmente favorevoli.

Cartella esattoriale: il modello standard

La cartella esattoriale deve seguire un modello standard, approvato dal ministero delle Finanze. Esso contiene una serie di informazioni indispensabili ed utili al contribuente, che non possono mai mancare, altrimenti la cartella è viziata e può essere annullata. Eccole in sintesi:

  • l’emittente e gli Enti creditori per conto dei quali l’Agente di riscossione opera: ad esempio, Agenzia Entrate Riscossione su incarico del Comune di Milano, dell’Inps, della Regione Lombardia, ecc.; questo perché la cartella di pagamento è il documento finale di una procedura iniziata con la richiesta delle somme da parte degli Enti creditori e della conseguente iscrizione a ruolo di tali debiti affidati all’Agente di riscossione per quel contribuente, che ha diritto di verificare il corretto svolgimento della procedura;
  • il nominativo del funzionario responsabile del procedimento di iscrizione a ruolo ed i suoi recapiti d’ufficio per ottenere chiarimenti;
  • la causale del debito, distinta per ciascun Ente creditore (la stessa cartella può contenerne diversi insieme, come quando viene emanata sia per tributi, statali o locali, che per contributi previdenziali e/o per sanzioni amministrative di vario genere): un apposito prospetto intitolato «dettaglio delle somme» serve a specificare ciascuna di queste voci per titolo, data e importo;
  • termini e modalità di pagamento: la cartella deve dire precisamente dove e come ed entro quando pagare quanto richiesto (i termini utili per farlo iniziano a decorrere dalla data di avvenuta notifica);
  • ulteriori informazioni sulle modalità di sospensione della cartella e di rateizzazione del debito, spiegando come e a chi può essere chiesta;
  • esposizione delle conseguenze in caso di mancato pagamento e di presentazione del ricorso entro i termini (ad esempio, fermo amministrativo dei veicoli, pignoramento di beni mobili ed immobili, di stipendi, pensioni, conti correnti e depositi bancari, quote di Tfr, ecc.);
  • indicazione dell’organo giurisdizionale al quale proporre ricorso e dei relativi termini per farlo (ad esempio, impugnazione entro 60 giorni dinanzi alla Corte di Giustizia Tributaria di primo grado, cioè l’ex Commissione tributaria provinciale, che dal 2022 ha cambiato denominazione);
  • spazio riservato alla notifica della cartella, specificando se è avvenuta a mani proprie del destinatario, oppure consegnandola ai familiari, al portiere, a un addetto alla casa, a un incaricato dell’azienda, studio o ufficio, o depositandola in Comune o all’Ufficio postale rilasciando l’avviso di giacenza; il tutto con la firma del notificante (messo incaricato dell’Agenzia di riscossione o postino in caso di notifica a mezzo del servizio postale).

Cartella esattoriale: cosa controllare

Oggi sono rarissimi i casi in cui l’Agente di riscossione non si attiene a questi contenuti minimi prestabiliti dalla legge, ma possono verificarsi ipotesi in cui il rispetto è soltanto formale ed invece nella sostanza i requisiti informativi che la cartella dovrebbe contenere mancano. Ti indichiamo alcune situazioni frequenti:

  • mancanza di alcune pagine: verifica la numerazione progressiva (compare in basso a destra su ogni foglio, ad esempio 7/13 indica la pagina n. 7 di una cartella composta da 13 pagine;
  • omessa indicazione degli atti presupposti: una tabella nel frontespizio della cartella deve contenere il riferimento chiaro agli estremi degli atti pregressi: ad esempio, avvisi di accertamento dell’Agenzia delle Entrate per i tributi statali, o della Regione e del Comune per bolli auto, Imu e Tari, avvisi di liquidazione dei contributi da parte dell’Inps, multe per violazioni al codice della strada, ecc., indicando anche la loro data di avvenuta notifica; lo Statuto del Contribuente dice che gli atti presupposti alla cartella devono essere allegati alla stessa, a meno che non siano già conosciuti dal contribuente (perché già notificati o in quanto pubblici);
  • indicazione incompleta dell’ammontare dovuto per ciascuna voce, distinto per capitale, interessi, sanzioni, aggi di riscossione e spese di notifica: non basta il totale, serve l’indicazione analitica di ciascuno di questi importi, in modo che l’interessato abbia chiaro cosa deve pagare e perchè, cioè per quale titolo specifico; ad esempio, se manca l’indicazione dei criteri di calcolo degli interessi maturati, il contribuente può ricorrere;
  • se la notifica riportata nella cartella in realtà non è avvenuta, il contribuente può impugnare la cartella, con ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria territorialmente competente, ed insieme ad essa anche l’atto presupposto, in quanto mai notificato, in modo da ottenerne l’annullamento;
  • la data di riferimento del tributo (ad esempio, Irpef anno 2022, Iva 2021, ecc.) e la data di avvenuta iscrizione a ruolo, per verificare se è trascorso troppo tempo e dunque il debito è prescritto o se l’Amministrazione è incorsa in decadenze. I tributi erariali si prescrivono in 10 anni, quelli locali in 5, il bollo auto in 3. Le dichiarazioni dei redditi possono essere controllate entro i 5 anni successivi (se la presentazione è omessa, il termine a disposizione dell’Agenzia delle Entrate arriva a 7 anni). Se questi termini vengono violati, si può ricorrere al giudice impugnando la cartella, e non si dovrà pagare quanto richiesto.

Cartella per debiti del defunto

Se si riceve una cartella per debiti del defunto, la prima cosa da fare è verificare se si è diventati effettivamente suoi eredi: fino a quando l’eredità non viene accettata (ma ciò può avvenire anche tacitamente, disponendo dei beni ereditari di cui si è in possesso) si è dei semplici chiamati all’eredità, cioè eredi potenziali, nonostante il legame di stretta parentela (ad esempio, i figli di un genitore deceduto). E si può sempre rinunciare all’eredità, davanti al notaio o con un atto depositato nella cancelleria del tribunale del luogo di cui si è aperta la successione.

La seconda cosa da sapere è che le sanzioni e multe di qualsiasi tipo – amministrative, tributarie e penali – non si trasmettono agli eredi: quindi non vanno pagate, e, se la cartella le riporta, bisogna fare un’istanza di sgravio e annullamento di tali voci all’Agenzia Entrate Riscossione ed agli Enti impositori titolari del credito, allegando il certificato di morte. Rimangono dovute, invece, le altre somme: ad esempio, per un’irregolare dichiarazione dei redditi la sanzione (fissa o proporzionale che sia) verrà cancellata, ma l’Irpef va comunque pagata.

Cartella via Pec: cosa controllare?

Se la cartella arriva via Pec, come nel caso di imprenditori, commercianti e professionisti (o dei contribuenti non soggetti Iva che hanno comunicato preventivamente di volerle ricevere in tale modalità, anziché al proprio indirizzo fisico), bisogna fare attenzione all’indirizzo del mittente: alcune Commissioni tributarie hanno ritenuto la nullità delle cartelle provenienti da indirizzi non contenuti nell’apposito registro Ini-Pec, e dunque considerati non ufficiali. Ma la Corte di Cassazione ha smentito questa tesi: se il contribuente propone ricorso, in sostanza ammette di aver ricevuto la cartella, e di averne appreso il contenuto: quindi lo scopo della notifica si ritiene raggiunto, e il diritto di difesa non è stato violato.

La notifica della cartella avvenuta su una casella di destinazione piena si considera valida: tocca al destinatario mantenerla funzionante e in grado di ricevere i messaggi di posta elettronica certificata. Quindi lo stratagemma di rendere inattiva la casella, ad esempio non svuotandola periodicamente o non rinnovando l’abbonamento annuale con il gestore, non funziona. I messaggi si considerano consegnati nel momento in cui vengono depositati in essa, come comprovato dalla Rac (ricevuta di avvenuta consegna) che viene generata dal sistema e restituita al mittente della Pec come prova del recapito, al pari dell’avviso di ricevimento di una raccomandata tradizionale.

 
Pubblicato : 18 Giugno 2023 07:15