Clausola penale nel contratto: è soggetta a tassazione separata?
Contrasto tra l’Agenzia delle Entrate e la Cassazione: secondo la giurisprudenza il fisco non può chiedere un ulteriore pagamento per la registrazione del contratto con penale.
Nell’ambito contrattuale, la clausola penale rappresenta spesso una garanzia per le parti ma, sotto un profilo fiscale, è fonte di incertezza per la sua possibile doppia tassazione. Il dibattito storico tra contribuenti e Fisco ha trovato un punto di svolta con la sentenza n. 30983 del 7 novembre 2023 della Cassazione. La Suprema Corte ha finalmente spiegato se la clausola penale nel contratto è soggetta a tassazione separata, fornendo un’interpretazione che dovrebbe sopire tutti i contrasti giurisprudenziali sino ad oggi registrati.
Questo articolo offre una disamina approfondita della decisione e delle sue implicazioni, fornendo agli utenti e ai professionisti una guida per navigare le acque spesso torbide della tassazione contrattuale. Ma procediamo con ordine.
Come si integra la clausola penale nel contratto?
La clausola penale è una condizione contrattuale con cui si prestabilisce una somma in denaro dovuta in caso di inadempimento. Si tratta di una forfettizzazione del risarcimento che evita, alla parte danneggiata, di dover fornire prove in merito al pregiudizio da questa subito a causa del mancato rispetto del contratto.
Come tutte le clausole, anche la penale non è un elemento distaccato, ma un parte integrante del contratto principale, con la funzione di garantire il rispetto degli accordi presi dalle parti o quantomeno di esonerare dall’onere della prova del danno la parte che subisce l’altrui inadempimento.
Qual è il trattamento fiscale della clausola penale?
Fino alla recente sentenza, esisteva un’area grigia riguardo alla necessità di tassare separatamente la clausola penale come disposizione autonoma all’interno del contratto. L’Agenzia delle Entrate sosteneva [1] che la clausola penale, in quanto elemento accessorio e non necessario al contratto, peraltro dotata di un contenuto “patrimoniale”, andasse tassata separatamente al momento della registrazione del contratto stesso, con l’imposta di registro in misura fissa. Quindi il contribuente doveva versare una seconda imposta.
La giurisprudenza di merito ha oscillato tra poche decisioni che hanno accolto l’opinione dell’agenzia delle Entrate e molte decisioni che l’hanno contrastata.
Cosa dice la Cassazione sulla tassazione della clausola penale?
La sentenza n. 30983/2023 della Cassazione stabilisce che la clausola penale non deve essere soggetta a una tassazione autonoma. Dunque l’imposta di registro pagata sul contratto principale è considerata assorbente anche per le penali in esso incluse. Questo per la sua natura accessoria e non indipendente rispetto al contratto principale. Insomma per la penale non è dovuto un secondo prelievo fiscale. In pratica, si evita una doppia imposizione che avrebbe gravato ingiustamente sul contribuente.
Tale interpretazione si fonda sul secondo comma dell’articolo 21 del Dpr 131/1986 (il Testo unico dell’imposta di registro) a norma del quale la pluralità delle disposizioni contenute in un atto genera una sola tassazione (che è quella afferente alla disposizione dalla quale deriva l’imposta più elevata) quando dette disposizioni «derivano necessariamente, per loro intrinseca natura, le une dalle altre».
Esempi pratici di applicazione della sentenza
Immaginiamo di avere un contratto di locazione con una penale per ritardo nel pagamento del canone. Prima della sentenza, ci sarebbe stato il rischio di dover calcolare un’imposta di registro aggiuntiva per quella clausola penale. Ora, grazie alla decisione della Cassazione, la tassazione sarà univoca e comprensiva, eliminando tale rischio.
Conclusione
La sentenza n. 30983 del 7 novembre 2023 della Corte di Cassazione rappresenta un punto di svolta nella gestione fiscale delle clausole penali all’interno dei contratti. Tuttavia è possibile – come spesso succede – che l’Agenzia delle Entrate continui a sostenere la propria posizione nonostante il diverso orientamento della giurisprudenza. Ciò non poche volte crea contenziosi che, per essere definiti in modo certo, devono per forza approdare in Cassazione. Il contribuente quindi deve mettere in conto della possibilità di tre gradi di giudizio per poter ottenere ragione.
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