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Chi lavora in smart working ha diritto al buono pasto?

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(@paolo-remer)
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Chi svolge il lavoro agile non deve subire penalizzazioni economiche rispetto ai dipendenti in sede, ma l’erogazione dipende dalla contrattazione di riferimento.

Una domanda frequentissima che si pongono i dipendenti pubblici e privati è questa: chi lavora in smart working ha diritto al buono pasto? Il lavoro in modalità agile, introdotto soltanto nel 2017, si è diffuso molto in Italia durante e dopo la pandemia di Covid 19. Oggi riguarda milioni di persone che svolgono le prestazioni da casa o da altre località, in base a quanto previsto dagli accordi contrattuali e secondo le rispettive tempistiche e fasce di applicabilità alle varie categorie.

Il buono pasto esiste da molto più tempo, e recentemente prevale la forma elettronica rispetto a quella cartacea: è più facilmente spendibile e semplifica anche la gestione della contabilità aziendale. Tuttavia all’inizio “incrociare” lo smart working con i buoni pasto non è stato semplice e sono sorti parecchi dubbi interpretativi: sono entrambi diritti dei lavoratori, seppur riconosciuti soltanto al verificarsi di determinate condizioni, ma per parecchio tempo la spettanza del buono pasto ai dipendenti in modalità agile non era pacifica e talvolta veniva negata.

Adesso, invece, prevale decisamente la tesi secondo cui chi è in smart working non può subire penalizzazioni economiche o di altra natura rispetto a chi lavora fisicamente presso la sede aziendale. Ma attenzione: il diritto a percepire i buoni basto spetta se e quando viene riconosciuto dalle fonti che disciplinano lo smart working, dunque deve essere stabilito nei contratti collettivi, aziendali o individuali. Vediamo come funzionano queste regole.

Buoni pasto: cosa sono e come funzionano

I buoni pasto, noti anche come ticket restaurant, sono dei titoli di pagamento forniti dal datore di lavoro ai propri dipendenti, come servizio sostitutivo della mensa.

I buoni pasto possono essere utilizzati per l’acquisto di prodotti alimentari presso gli esercizi commerciali convenzionati con l’emittente (si tratta di società legittimate dal Mise, Ministero dello Sviluppo Economico). Può trattarsi di ristoranti, bar, supermercati, tavole calde, negozi di alimentari, fast food e, talvolta, di piattaforme che consegnano cibi online.

Esistono due tipi di buoni pasto, e precisamente:

  • i buoni pasto cartacei, che sono simili agli assegni e funzionano come le banconote: il possessore del blocchetto, o carnet, consegna i ticket al negoziante che li incassa, fornendo merce di importo pari al loro controvalore, e rilascia lo scontrino;
  • i buoni pasto elettronici, che sono contenuti in una carta prepagata e dotata di microchip. Il funzionamento è analogo a quello di un bancomat: si esibisce la carta all’esercente e viene addebitato l’importo corrispondente alla spesa effettuata.

Ogni mese il datore di lavoro consegna il blocchetto o effettua la ricarica dell’importo predeterminato spettante al dipendente come indennità sostitutiva della mensa mancante in sede.

Buoni pasto: limiti all’utilizzo e vantaggi fiscali

Esistono dei precisi limiti all’utilizzo dei buoni pasto, fissati dalla legge [1]: i buoni pasto sono nominativi, non sono cedibili ad altri (leggi cosa si rischia a usare buoni pasto altrui) , non sono cumulabili oltre il numero di otto e non sono convertibili in denaro, quindi non è possibile, ad esempio, cambiare il loro valore in contanti alla cassa del negozio.

Inoltre i buoni pasto non possono essere utilizzati oltre la data di scadenza; è comunque possibile chiedere il rimborso di quelli non fruiti durante il periodo di validità, o il rinnovo, così come, se vengono rubati o smarriti, si può chiedere al datore di lavoro la loro sostituzione con altri titoli di pari importo. L’uso indebito dei buoni pasto può avere conseguenze disciplinari ed anche penali se si ravvisa il reato di truffa.

Buoni pasto: vantaggi fiscali

I buoni pasto offrono interessanti vantaggi fiscali per i lavoratori che ne usufruiscono e per le aziende che li forniscono:

  • non sono considerati come reddito da lavoro dipendente, e godono di esenzione totale, pari a 8 euro al giorno per i buoni elettronici e a 4 euro per quelli cartacei, quindi entro i suddetti limiti di importo non vengono tassati in capo a chi li riceve;
  • per il datore di lavoro sono completamente deducibili e c’è la possibilità di detrarre integralmente l’Iva al 4%;
  • per i liberi professionisti e le partite Iva in forma di ditta individuale, anche se senza dipendenti, sono deducibili al 75%, quindi per 3/4 dell’importo, con Iva detraibile fino al 2% del fatturato.

Maggiori dettagli in “Buoni pasto: come sono tassati?” e “Buoni pasto: sono esentasse?“.

Chi ha diritto ai buoni pasto?

I buoni pasto spettano ai lavoratori dipendenti subordinati, a tempo pieno o parziale, e ai lavoratori parasubordinati (come i co.co.co, collaboratori coordinati e continuativi), che svolgono un turno pari o superiore a 6 ore giornaliere: si tratta, infatti, di un’indennità forfettaria sostitutiva del servizio mensa.

In genere il diritto a ricevere il buono pasto matura quando il dipendente svolge almeno 6 ore lavorative al giorno, ma le condizioni specifiche del loro riconoscimento possono variare a seconda del contratto collettivo nazionale o del contratto di lavoro aziendale e individuale.

Ai lavoratori in smart working spettano i buoni pasto?

Siccome l’accordo individuale tra il lavoratore e il datore è la modalità necessaria per stabilire i periodi in cui il dipendente può svolgere le prestazioni in smart working (solo durante la pandemia di Covid-19, e nel periodo immediatamente successivo, il diritto era stabilito direttamente dalla legge) le condizioni di contrattazione sono essenziali per stabilire se e quando i buoni pasto spettano ai lavoratori agili.

Il diritto a percepire i buoni pasto per i lavoratori in smart working, quindi, non è automatico al verificarsi delle condizioni che abbiamo descritto nel paragrafo precedente (dipendenti subordinati, o parasubordinati, e turno di almeno 6 ore giornaliere), ma dipende da quanto stabilito nella contrattazione collettiva, aziendale e individuale, e dunque anche da ciò che prevede l’accordo per lavorare in modalità agile.

Questo vale non solo per i dipendenti di aziende private, ma anche per i dipendenti pubblici: una recente sentenza del tribunale di Roma [2] ha stabilito che l’erogazione dei buoni pasto dipende dalle determinazioni adottate dalla Pubblica Amministrazione di riferimento ed «è strettamente collegato alle disposizioni della contrattazione collettiva che lo prevedono».

Secondo i giudici capitolini, questa flessibilità, o discrezionalità, non confligge con il principio generale fissato dalla legge sul lavoro agile [3] secondo cui il trattamento economico dei lavoratori in smart working non può essere inferiore a quello dei dipendenti presenti in sede, in quanto – come già aveva affermato la Cassazione [4], il buono pasto non ha natura retributiva, bensì assistenziale, e viene corrisposto, in assenza del servizio mensa, per conciliare le esigenze di servizio e di vita privata del lavoratore.

Pertanto, se nella contrattazione collettiva di riferimento e nell’accordo aziendale, o individuale, di lavoro in smart working non esistono disposizioni specifiche riguardo ai buoni pasto, il datore di lavoro non è tenuto a fornirli.

Buoni pasto a dipendenti in smart working: trattamento fiscale

Quanto alla deducibilità fiscale, l’Agenzia delle Entrate, in una recente risposta ad interpello [5], ha riconosciuto che i buoni pasto non concorrono alla formazione del reddito di lavoro dipendente per i lavoratori agili che li percepiscono entro l’importo di 4 euro giornaliero se cartacei e di 8 euro se elettronici; pertanto, il datore di lavoro non dovrà operare su di essi la ritenuta d’acconto Irpef.

 
Pubblicato : 11 Febbraio 2024 10:45