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Chi ha diritto alla legge Pinto?

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(@paolo-remer)
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Equa riparazione per eccessiva durata del processo: chi può chiederla e come funziona.

Quando una causa civile, o un processo penale, dura troppo a lungo, sorge il diritto ad una equa riparazione, cioè una sorta di risarcimento forfettizzato del danno derivato dal ritardo. La somma è erogata dallo Stato, che non ha garantito il corretto funzionamento della giustizia in tempi celeri. Lo prevede una legge del 2001, comunemente chiamata legge Pinto, dal nome del parlamentare che la promosse. Ma, in concreto chi ha diritto alla legge Pinto?

Ci sono diverse domande pratiche da porsi per stabilire quando si applica questa normativa, che fornisce un ristoro economico a chi non ha avuto giustizia entro tempi accettabili. Ad esempio, l’indennizzo riguarda tutti coloro che hanno partecipato al giudizio o solo alcuni di essi? E quanto deve essere il ritardo accumulato nello specifico processo, per dare agli interessati la possibilità di avvalersi della legge Pinto? E se la causa civile è stata persa, o in quella penale l’imputato è stato condannato, cosa succede? Spetta ugualmente l’equa riparazione oppure no? Infine, una volta stabilito il diritto alla legge Pinto, come chiedere e ottenere il risarcimento?

Diritto all’equa riparazione: a chi spetta?

Il diritto all’equa riparazione sorge quando viene violato il principio di ragionevole durata del processo, previsto dall’articolo 111 della Costituzione. Essendo un diritto generale, spetta a tutti i cittadini che hanno subito l’eccessiva durata di un qualsiasi tipo di processo: civile, amministrativo, penale, tributario, esecutivo, fallimentare, militare, contabile. È necessario e sufficiente, quindi, essere stati parte di uno di questi processi che sono durati troppo, in qualsiasi ruolo (ad esempio, attore o convenuto nel processo civile, imputato o parte civile costituita nel processo penale, ricorrente o intervenuto nel processo amministrativo).

Anche l’articolo 6 della CEDU (Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali) dispone che ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata e svolta entro un «termine ragionevole». Il problema pratico sorgeva dal fatto che questo termine ragionevole di durata del processo non era mai stato quantificato: la legge Pinto ha provveduto a colmare questa lacuna.

Equa riparazione: quando si può chiedere?

Per chiedere il risarcimento in forma di equa riparazione per l’eccessiva durata del processo, è necessario che siano stati superati i termini previsti dalla legge Pinto. Questa tempistica varia a seconda della tipologia del procedimento e dei gradi del giudizio, come adesso ti illustriamo.

Quando un processo dura troppo ai sensi della legge Pinto?

I termini di durata ragionevole del processo – oltre i quali scatta il diritto all’equa riparazione e all’eventuale risarcimento dei danni ulteriori – sono i seguenti:

  • tre anni in primo grado di giudizio;
  • due anni in secondo grado di giudizio;
  • un anno nel giudizio di legittimità;
  • tre anni per i processi di esecuzione forzata;
  • sei anni per il fallimento e le altre procedure concorsuali.

Nei processi penali il computo del termine inizia a decorrere da quando l’indagato viene a conoscenza del procedimento a suo carico, con atto dell’autorità giudiziaria: ad esempio, con l’avviso di conclusione delle indagini preliminari, o ancor prima se c’è stata l’applicazione di una misura cautelare.

In ogni caso, il termine massimo da rispettare per definire il giudizio in modo irrevocabile non deve superare i sei anni, e questo vale a prescindere dal superamento dei termini delle fasi intermedie. Ad esempio, un processo durato 4 anni in primo grado, ma concluso definitivamente entro i successivi 2 anni, non darà diritto al risarcimento previsto dalla legge Pinto.

Come farsi pagare l’equa riparazione prevista dalla legge Pinto?

L’organo competente a decidere sulle domande di equa riparazione ai sensi della legge Pinto è la Corte d’Appello nel cui distretto territoriale si è svolto il processo che ha avuto durata eccessiva.

Il ricorso – da redigere con la necessaria assistenza di un avvocato – va proposto al ministro della Giustizia per i procedimenti ordinari, al ministro della Difesa per i procedimenti militari e al ministro dell’Economia e Finanze negli altri casi.

Per i provvedimenti giudiziari emessi dal 1° gennaio 2022 la procedura di inserimento è online sui siti dei suddetti Dicasteri; per quelli antecedenti si possono utilizzare i moduli cartacei. Bisogna sempre allegare gli atti giudiziari che documentano il ritardo eccessivo nella durata del processo e quindi il superamento dei termini previsti dalla legge Pinto.

Qual è il termine per fare domanda legge Pinto?

La domanda di riparazione deve essere presentata, a pena di decadenza, entro sei mesi dal momento in cui la decisione che ha concluso il processo è divenuta definitiva. Si applica la sospensione feriale dei termini.

A quanto ammonta il risarcimento legge Pinto?

In caso di accoglimento del ricorso, l’articolo 2 bis della legge Pinto stabilisce che il giudice liquida, a titolo di equa riparazione, una somma di denaro non inferiore a 400 euro e non superiore a 800 euro per ogni anno (o frazione di anno superiore a 6 mesi) che eccede il termine di ragionevole durata del processo. Questa somma può essere incrementata fino al 20% per gli anni di ritardo successivi al terzo, e fino al 40% per quelli successivi al settimo.

L’importo può essere diminuito, fino a un terzo, in caso di rigetto integrale delle richieste formulate dalla parte ricorrente nel procedimento cui la domanda di equa riparazione si riferisce.

È bene evidenziare, nel ricorso, sia i danni patrimoniali sia quelli non patrimoniali subiti a causa dell’eccessiva durata del processo, come ad esempio i danni morali, biologici ed esistenziali.

Qual è l’indennizzo della legge Pinto?

L’importo dell’indennizzo viene determinato dal giudice – nell’ambito della forbice di valori che abbiamo indicato nel paragrafo precedente – secondo equità alla stregua dei criteri dell’articolo 2056 del Codice civile, considerando tutti i fattori specifici della vicenda elencati nell’articolo 2 ter della legge Pinto, tra i quali:

  • l’esito del processo che ha avuto l’eccessiva durata;
  • il comportamento delle parti e dei giudici (ad esempio, l’abuso del processo e la “lite temeraria” precludono l’indennizzo);
  • la natura degli interessi coinvolti (se è stata in gioco la libertà personale, l’indennizzo sarà più alto rispetto a vicende riguardanti solo aspetti patrimoniali);
  • il valore e la rilevanza della causa (da valutare in relazione alle condizioni personali della parte).

In nessun caso la misura dell’indennizzo può essere superiore al valore della causa, o al minore importo del diritto accertato in concreto dal giudice (ad esempio, in una causa di valore di 10mila euro, al termine della quale è stata riconosciuta la spettanza del 50%, l’indennizzo non potrà superare i 5mila euro).

Cosa fare se il ricorso viene respinto?

Se il ricorso presentato ai sensi della legge Pinto viene respinto dalla Corte d’Appello competente, è possibile presentare un ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo, per violazione dell’art. 6 della CEDU e nelle forme stabilite dall’articolo 35 della Convenzione. Il termine per proporre questo ricorso è di 4 mesi decorrenti dalla data della decisione nazionale divenuta definitiva.

Approfondimenti

Per altre informazioni, consulta la nostra guida alla legge Pinto.

 
Pubblicato : 7 Gennaio 2024 09:45