Chi è ubriaco è incapace di intendere e volere?
Incapacità di intendere e volere: ecco quando lo stato di ebbrezza è una giustificazione e non comporta punizione per i reati commessi.
La questione riguardante la capacità di intendere e volere per chi è in stato di ebbrezza è un tema che genera dibattiti e controversie in diversi contesti, soprattutto quando si tratta di determinare la responsabilità di un individuo che ha commesso un reato in stato di ubriachezza. Può tale circostanza costituire una giustificazione oppure anche chi ha bevuto è colpevole al pari di chi è sobrio?
Non solo: c’è anche da chiedersi se la sanzione applicabile sia quella a titolo di dolo (condizione di chi è in malafede, ossia consapevole delle proprie azioni) o di colpa (che invece scatta quando si assume un comportamento imprudente, negligente o imperito, che tuttavia esclude la volontà di commettere uno specifico reato).
Qui di seguito chiariremo se chi è ubriaco è incapace di intendere e volere oppure se può essere ugualmente punito per i reati commessi. Vedremo quindi quali sono le norme del codice penale e quali gli orientamenti della giurisprudenza in merito. Ma procediamo con ordine.
Ubriachezza e alterazione delle funzioni cognitive
Innanzitutto, è importante considerare come l’assunzione di alcol possa influire sulle funzioni cognitive e comportamentali di un individuo. Quando una persona consuma alcol, il suo sistema nervoso centrale viene depresso, portando a una diminuzione della capacità di ragionamento, della percezione e del controllo delle emozioni. Questo può portare a una riduzione dell’autocoscienza e della capacità di valutare le conseguenze delle proprie azioni.
Ma quand’è che lo stato di ubriachezza compromette le capacità dell’individuo e questi può ritenersi non più capace di comprendere ciò che sta facendo o quantomeno di dominare le proprie azioni? La legge non lo dice. Tuttavia possiamo prendere a riferimento le norme del codice della strada che sanzionano la guida in stato di ebbrezza: a partire da una soglia di 0,51 grammi di alcol per litro di sangue e fino a 0,8 gr/l si applicano sanzioni amministrative mentre, al di sopra di 0,8 gr/l, scattano le sanzioni penali.
Se ne evince che, fino a 0,5 gr/l l’assunzione di alcolici non è considerata rilevante.
Si tenga poi conto che la legge punisce con una sanzione amministrativa lo stato di ebbrezza in luogo pubblico o aperto al pubblico, senza specificare, neanche in questo caso, a quanto debba ammontare il livello di alcol nel sangue. Tutto quindi è rimesso alla discrezionalità degli agenti di pubblica sicurezza e, in caso di contestazione, al giudice.
La responsabilità legale in caso di ebbrezza
In molti ordinamenti giuridici, l’ubriachezza volontaria non costituisce una giustificazione per la commissione di un reato. Tuttavia, esistono situazioni in cui l’incapacità di intendere e volere causata dall’ebbrezza può essere considerata un’attenuante o, in alcuni casi, una circostanza esimente.
Vediamo cosa dice la legge italiana.
Il nostro codice penale dedica allo stato di ebbrezza quattro norme: gli articoli 91, 92, 94 e 95. In particolare, tali disposizioni prevedono tre diverse situazioni.
Quando l’ubriachezza è volontaria, colpevole o preordinata, allora il soggetto è responsabile penalmente. Si pensi al caso di chi si ubriaca perché vuol farlo ed è consapevole che, bevendo, perderà il controllo delle proprie azioni (“ubriachezza volontaria”). Si pensi al caso di chi ha un grave sofferenza fisica o morale e, per superarla, si mette a bere: in tal caso lo scopo non è quello di rendersi ubriaco ma di alleviare il dolore; oppure si pensi a chi beve perché indotto da altre persone a farlo (“ubriachezza colpevole”). Si pensi infine a chi si ubriaca allo specifico scopo di vincere le proprie inibizioni e commettere un reato: in tal caso, l’assunzione di alcolici è premeditata proprio al fine di violare la legge e magari trovarsi una facile giustificazione (“ubriachezza preordinata”).
In tutti questi casi, a norma dell’articolo 92 del codice penale, il soggetto è responsabile e risponde quindi della sua condotta. Egli cioè può essere condannato per il reato commesso. È vero: nel momento della commissione del reato, il soggetto è incapace di comprendere, ma la legge fa risalire la sua capacità a un momento anteriore: quello dell’assunzione degli alcolici. È lì che il cittadino deve rendersi conto – secondo un principio di “auto-responsabilità” – del rischio a cui va incontro e delle conseguenze che uno stato di incapacità di intendere e volere può determinare (ad esempio se deciderà di inveire contro un pubblico ufficiale o se si metterà alla guida di un’auto o se picchierà un’altra persona).
Dunque, in caso di stato di ebbrezza volontaria, colpevole o premeditata si risponde sempre dei reati commessi.
Quando l’ubriachezza è abituale si applica addirittura una aggravante. In altri termini la pena viene aumentata. Questo rigore è un retaggio dell’epoca in cui la norma è stata adottata, il 1930, quando il legislatore vedeva con forte disvalore l’assunzione di alcolici. Ecco perché oggi c’è chi contesta fortemente tale previsione evidenziando come lo stato di dipendenza dagli alcolici, quello patologico di chi magari è soggetto a una terapia di disintossicazione, possa costituire una condizione per ridurre – e non già per aggravare – la pena.
Quando chi è ubriaco non è responsabile dei reati commessi
In due casi il soggetto ubriaco non è responsabile dei reati commessi ed è equiparato al soggetto incapace di intendere e volere: quando l’intossicazione è cronica e quando lo stato di ebbrezza è involontario.
La cronica intossicazione da alcol o sostanze stupefacenti si manifesta quando un soggetto si trova in uno stato irreversibile di intossicazione, in cui gli effetti tossici persistono anche dopo l’eliminazione delle sostanze ingerite. In questo stato, la capacità di intendere e volere dell’individuo può essere compromessa in modo permanente o significativamente ridotta, con conseguenti implicazioni sull’imputabilità penale.
La Corte Costituzionale [1] ha chiarito che l’intossicazione cronica è una vera patologia, e come tale, se provoca un’alterazione delle facoltà mentali, può incidere sull’imputabilità penale del soggetto. Tra le malattie associate all’abuso di alcol, possiamo citare il delirium tremens, la psicosi alcoolica di Korsakoff e la paranoia alcoolica.
La Corte di Cassazione [2], inoltre, ha sottolineato che il motivo per cui si riconosce una diminuzione di pena nel caso in cui la condotta sia stata commessa in stato di cronica intossicazione da alcol o sostanze stupefacenti risiede nella presenza di uno stato patologico cronico che incide sulla capacità di intendere e volere al momento del fatto. Pertanto, è fondamentale valutare la gravità della malattia e il suo impatto nella genesi del comportamento illecito.
La graduazione della riduzione della pena in caso di cronica intossicazione da alcol o droghe dipende dalla severità della patologia e dalla sua influenza sulla condotta criminosa. In altre parole, la misura della diminuzione della pena è direttamente proporzionale all’entità dell’effetto che la malattia ha avuto sulla capacità di intendere e volere dell’individuo al momento del reato.
Il secondo caso in cui la legge esclude la responsabilità per il soggetto ubriaco è quando lo stato di ebbrezza è incolpevole, ossia accidentale, in quanto determinata da “caso fortuito” o “forza maggiore”. L’esempio tipico riportato sui libri universitari è quello di chi lavora in una distilleria che, per colpa di un guasto all’impianto di depurazione, inali senza colpa i vapori all’interno della struttura.
Soggetto ubriaco: si può punire a titolo di dolo?
La Cassazione ha più volte detto che lo stato di ebbrezza non esclude la punibilità neanche nei reati punibili a titolo di dolo purché si risalga alla condizione psicologica nel momento in cui è stato assunto l’alcol. Insomma, chi è ubriaco non deve essere trattato con minor rigore, ossia come chi viene punito solo a titolo di colpa.
Conclusioni
Ricapitolando, la questione relativa all’incapacità di intendere e volere in stato di ebbrezza solleva diverse problematiche che meritano un’attenta riflessione e un ampio dibattito. Alcuni punti chiave da considerare nel dibattito includono:
- la valutazione del grado di ebbrezza e del suo impatto sulle funzioni cognitive e comportamentali degli individui;
- la distinzione tra ebbrezza volontaria e involontaria, e come questa possa influenzare la valutazione della responsabilità legale;
- l’importanza dell’educazione e della prevenzione nell’affrontare la problematica dell’abuso di alcol e delle sue conseguenze.
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