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Chi è considerato erede apparente?

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(@paolo-remer)
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Qual è la condizione di chi sembra essere erede e qual è la differenza rispetto all’erede vero; cosa succede se si stipula un contratto in perfetta buona fede.

Una domanda che sembra teorica, e invece ha molti risvolti pratici, è: chi è considerato erede apparente?

L’apparenza non è realtà, ma a volte può diventarla, e i suoi effetti sono validi. Spieghiamoci meglio. Bisogna distinguere due casi: c’è chi si comporta come erede a parole e chi, invece, agisce con i fatti.

L’erede apparente diventa “pericoloso” per chi entra in contatto con lui soprattutto nel secondo caso, che si verifica quando egli possiede i beni ereditari e ne dispone, ad esempio vendendoli ad altri.

È evidente – o può risultarlo a posteriori – che l’erede apparente ha venduto beni che non gli appartenevano; ma l’acquirente era ignaro di ciò, ed era convinto di trattare con chi aveva effettivamente il potere di disporne.

Quindi nella complessa vicenda giuridica che ne deriva non sono coinvolti soltanto gli eredi veri, che in quanto tali reclamano la loro porzione di diritti, ma anche gli acquirenti che hanno comprato dall’erede apparente, il quale non aveva titolo per venderli o per disporne altrimenti.

Ti sembrerà strano, ma la legge in certi casi fa salvi gli atti dispositivi compiuti dagli eredi apparenti, per salvaguardare la certezza della circolazione dei beni e la buona fede di chi non era consapevole del fatto di trovarsi di fronte a un erede apparente.

Ma i veri eredi non rimangono con un cerino in mano: possono ancora agire contro l’erede apparente per essere, almeno, rimborsati. In altri casi, invece, hanno una tutela più forte, e possono addirittura riprendersi i beni da chi li aveva acquistati. Esaminiamo queste diverse situazioni.

Erede apparente: chi è?

L’erede apparente è la persona designata per ricevere un’eredità in base alle norme sulla successione legittima o alle disposizioni testamentarie. Questa nozione formale, però, ci dice molto poco: a livello pratico possiamo definire erede apparente come colui che, pur non essendo (o non essendo ancora) erede, si comporta come se già l’eredita gli fosse stata devoluta ed egli la avesse accettata.

Quindi l’erede apparente è colui che compie azioni tali da ingenerare in altri – erroneamente, ma ragionevolmente – la convinzione di trovarsi di fronte un vero erede.

In concreto, la qualifica di erede apparente assume risalto quando viene spesa dal preteso titolare per impossessarsi dei beni ereditari e magari per disporne a sua volta, cedendoli ad altri. Vediamo cosa succede in queste delicate situazioni.

La petizione ereditaria

Quando un erede vero ha accettato l’eredità, può chiedere il riconoscimento della sua qualifica contro chiunque possiede senza titolo i beni ereditari, in tutto o in parte.

Evidentemente lo farà allo scopo di chiederne la legittima restituzione, e a tal fine deve esercitare un’azione legale che si chiama petizione ereditaria, disciplinata dall’articolo 533 del Codice civile.

Questa azione è imprescrittibile, salvi gli effetti che l’usucapione può aver avuto su singoli beni.

Se però il convenuto, citato in giudizio, sostenesse di essere proprietario dei beni rivendicati, allora l’erede che agisce dovrà dimostrare anche la qualità di proprietario del de cuius, cioè di colui dal quale egli ha ereditato; e dovrà farlo mediante un’altra azione, chiamata di rivendicazione.

Beni alienati dall’erede apparente: cosa succede?

Una peculiarità importante dell’azione di petizione ereditaria è il suo carattere reale: può essere esercitata nei confronti di tutti, compresi anche gli aventi causa da chi possiede a titolo di erede o senza alcun titolo.

Vale a dire che se, nel frattempo, l’erede apparente ha alienato alcuni beni dell’eredità a terzi (ciò può avvenire sia a titolo oneroso, quindi vendendoli, sia a titolo gratuito, donandoli), chi agisce in petizione ereditaria può “inseguire” quei beni anche nei confronti degli acquirenti, domandando loro la restituzione.

Ma qui si apre uno scenario delicato: l’acquirente potrebbe sostenere di essere stato in buona fede al momento della stipulazione del contratto di compravendita, e allora, se riesce a provare questa circostanza, i suoi diritti sono salvi. Lo dispone espressamente l’articolo 534, comma 2, del Codice civile, eloquentemente intitolato «diritti dei terzi». Questa norma parla soltanto di contratti a titolo oneroso, quindi la donazione è esclusa.

Ad esempio, il terzo acquirente potrebbe aver ignorato, senza sua colpa, l’esistenza di un testamento, e dunque era convinto di aver trattato con la persona che sarebbe stata designata erede in base alle norme sulla successione legittima. Oppure potrebbe aver fatto affidamento proprio su un testamento esistente, senza però sapere che era invalido o che era stato revocato.

Acquisto di immobili dall’erede apparente

Se si tratta di beni immobili, o di beni mobili iscritti in pubblici registri (come le autovetture e le imbarcazioni) si applica un altro principio: l’acquisto compiuto dal terzo in buona fede è fatto salvo solo se è stato trascritto in tali registri prima che l’erede vero abbia trascritto il proprio titolo di acquisto e la domanda giudiziale contro l’erede apparente.

In tali situazioni, all’erede vero non resterà che rivolgersi contro l’erede apparente, lasciando indenne il terzo acquirente. L’erede apparente dovrà riversare il prezzo o il corrispettivo ricevuto, mentre il bene sarà ormai diventato di proprietà del terzo e non potrà più essere rivendicato. Inoltre, se l’erede apparente era in malafede, dovrà anche risarcire i danni procurati agli eredi veri.

Secondo la Corte di Cassazione [1] ai frutti indebitamente percepiti dall’erede apparente (si pensi ai canoni di locazione incassati per un immobile affittato) si applicano le norme del Codice civile sul possesso, che può essere di buona fede – e allora dovranno essere restituiti solo quelli maturati dopo la presentazione della domanda giudiziale da parte dell’erede vero – o in mala fede, nel qual caso dovranno essere interamente rimborsati.

Conclusioni

In estrema sintesi, le norme che abbiamo esaminato disciplinano il cosiddetto principio dell’apparenza, volto a tutelare i terzi che sono in grado di provare di aver trattato e contrattato in perfetta buona fede con l’erede apparente che in quel momento possedeva i beni ereditari: se forniscono tale dimostrazione, il loro acquisto è salvo dalle pretese degli eredi veri.

Ma se si tratta di beni immobili, o di beni mobili registrati, prevale il principio formale della priorità delle trascrizioni: così vince, immancabilmente, chi ha trascritto prima il proprio titolo nei pubblici registri.

 
Pubblicato : 8 Settembre 2024 06:00