Che succede se si litiga col capo fuori orario di lavoro
Implicazioni legali di un litigio con il superiore fuori dall’orario di lavoro: cosa dicono la legge e la giurisprudenza?
Nel contesto lavorativo, la relazione tra dipendente e superiore è fondamentale. La legge impone al lavoratore l’obbligo della fedeltà e del rispetto. Ma potrebbe sorgere il dubbio se tali comportamenti siano limitati al solo contesto lavorativo o valgano anche al di fuori. Che succede se si litiga col capo fuori orario di lavoro?
Poniamo il caso di una persona che, durante una pausa caffè o nel weekend, incontrando un superiore, abbia con lui un’animata discussione e lo offenda in modo pesante. Un fatto del genere potrebbe costituire una giusta causa di licenziamento? A chiarire le dinamiche e le conseguenze legali di un alterco con il capo durante fuori dall’orario di lavoro è stata la sentenza n. 11027/17 della Cassazione.
Che cosa comporta litigare col datore di lavoro quando non si è al lavoro?
Litigare con il proprio superiore al di fuori dell’orario di lavoro può sembrare un fatto personale, ma può comunque avere delle gravi implicazioni legali.
Di certo, se la frase è offensiva, si può rispondere di ingiuria. L’ingiuria non è più un reato ma un illecito civile, sicché si può essere citati in tribunale e condannati al pagamento del risarcimento del danno. Con la sentenza, il giudice impone al responsabile di pagare allo Stato una sanzione che va da 200 a 12mila euro.
La punizione dell’ingiuria richiede però una prova del fatto, prova che deve fornire la vittima. E se quest’ultima non ha testimoni che abbiano assistito alla vicenda, difficilmente il giudice potrà disporre la punizione del colpevole. E ciò perché le dichiarazioni delle parti non possono avere ingresso nel processo.
Se la frase è minacciosa (anche se formulata in modo generico), si può rispondere del reato di minaccia. A differenza di quanto abbiamo appena visto per l’ingiuria, nel penale le dichiarazioni della vittima valgono come prova. La punizione per il colpevole è costituita dalla multa fino a 1.032 euro.
L’ultimo punto è il profilo disciplinare. Secondo la Cassazione non si può parlare di insubordinazionequando il diverbio verbale viene consumato fuori dall’orario di lavoro. Sicché, in tali ipotesi, si deve escludere la possibilità di applicare la sanzione disciplinare massima, quella cioè del licenziamento.
Dalle argomentazioni tratte dalla Suprema Corte, però, sembra di intuire che il datore possa tuttavia sanzionare il dipendente maleducato e impertinente con una sanzione disciplinare meno grave rispetto alla risoluzione del rapporto di lavoro, come ad esempio il richiamo scritto.
Litigio con il superiore durante la pausa caffè
La pausa caffè, seppur all’interno dell’orario lavorativo ufficiale, è considerata tempo di riposo per il lavoratore. Pertanto, un litigio in questo momento non è motivo sufficiente per un licenziamento, poiché non esiste un vincolo gerarchico attivo in quel frangente, secondo la sentenza della Cassazione.
La legge, come interpretata dalla Cassazione, esclude che i vincoli gerarchici si estendano al di fuori dell’orario lavorativo. Dunque, anche se si verifica un alterco, questo non può essere automaticamente classificato come insubordinazione se non vi è un rifiuto diretto di un ordine impartito dal superiore.
Il lavoratore quindi non perde il proprio posto di lavoro a meno che non ci sia stata:
- violenza fisica
- minaccia
- ingiuria
Difatti, anche fuori dal rapporto di lavoro, il dipendente – se anche non è tenuto a rispettare gli ordini e le direttive che invece sono vincolanti quando svolge le mansioni – deve avere un atteggiamento rispettoso nei confronti dell’immagine del datore di lavoro.
La commissione di un reato come l’aggressione fisica (con lesioni o semplici percosse) può avere gravi implicazioni sul rapporto di lavoro.
Quando l’offesa al capo non ha alcuna conseguenza
Terminiamo ricordando che, in più occasioni, la Cassazione ha giustificato il forte alterco col superiore gerarchico in situazioni aziendali di forte conflitto. Si pensi ad un’azienda che non paghi da molto tempo gli stipendi o che minacci licenziamenti o che non rispetti le condizioni di tutela del lavoratore. In tali casi è normale che quest’ultimo possa avere uno sfogo verbale, seppure “fuori le righe”.
Conclusioni
La sentenza n. 11027/17 della Cassazione chiarisce un importante aspetto del rapporto lavorativo: i limiti della gerarchia e del rispetto dovuto al superiore non oltrepassano il confine dell’orario lavorativo, ma solo per quanto attiene alla contestazione dell’insubordinazione.
Invece, il rispetto e la fedeltà nei confronti dell’azienda invece possono essere intaccati anche da comportamenti assunti nella vita privata che possono pertanto essere contestati e portare a sanzioni disciplinari gravi. Si pensi al dipendente che offende il proprio lavoro e il contesto in cui opera con un post su un social network.
Questo stabilisce un importante precedente per i lavoratori, ribadendo il concetto che, mentre durante il lavoro è essenziale mantenere un comportamento professionale, i momenti di pausa o al di fuori dell’ambiente lavorativo sono regolati da un contesto più personale e meno formale. Tuttavia, è sempre consigliabile gestire i rapporti interpersonali con rispetto e professionalità, per mantenere un ambiente lavorativo sano e costruttivo.
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