Cessione ramo d’azienda: il lavoratore può chiedere risarcimento?
Come tutelarsi quanto il trasferimento è illegittimo e comporta un demansionamento, la perdita di retribuzione o il licenziamento.
Un escamotage molto utilizzato dai datori di lavoro che non vogliono chiudere l’attività ma intendono “alleggerirla”, trasferendo ad altri il personale, gli impianti e le attrezzature produttive, è la cessione del ramo di azienda. Il lavoratore può chiedere il risarcimento dei danni causati da questo comportamento?
A determinate condizioni sì, ma bisogna dimostrare che la condotta del datore di lavoro è stata illecita, e si è risolta in un trucco per liberarsi dei dipendenti senza licenziarli. A volte succede che il nuovo datore di lavoro non è disposto a riconoscere l’anzianità maturata dai dipendenti e le retribuzioni loro dovute, oppure gli attribuisce mansioni e livelli di inquadramento inferiori a quelli riconosciuti in precedenza. Anche in questi casi è prevista la tutela risarcitoria.
Che cos’è una cessione di ramo d’azienda?
La cessione di ramo d’azienda è la vendita a titolo oneroso (cioè con il pagamento di un corrispettivo) di una porzione dell’azienda. Questa “fetta” dell’azienda trasferita, per potersi qualificare come ramo d’azienda – e non come semplice gruppo di macchinari, capannoni o impianti – deve essere autonomo per struttura ed organizzazione produttiva, in modo da risultare funzionalmente idoneo all’esercizio dell’attività d’impresa per quel settore.
Ad esempio, un’impresa che produce materiali per l’edilizia decide di cedere il ramo che produce conglomerati cementizi; un’azienda alimentare trasferisce il ramo di confezionamento dei prodotti gelati e surgelati; una società automobilistica vende il ramo che produce veicoli industriali, o trattori, riservandosi di continuare a produrre solo autovetture. Viceversa, non è cessione di ramo d’azienda l’esternalizzazione del servizio paghe e contabilità, o del magazzino, perché tali settori non sono funzionalmente autonomi e da soli non potrebbero esercitare l’attività dell’impresa.
Cessione ramo d’azienda: cosa succede ai rapporti di lavoro?
Il personale addetto al settore produttivo coinvolto nel trasferimento segue le sorti del ramo d’azienda ceduto, quindi anche i contratti di lavoro dipendente passano in carico alla società cessionaria, che diventa il nuovo datore di lavoro, a meno che la vecchia azienda non intenda trattenere alcuni di quei dipendenti per continuare a farli lavorare presso di sé, impiegandoli negli altri rami non ceduti.
A tal proposito molti si chiedono se, in caso di cessione di ramo d’azienda, i rapporti di lavoro instaurati con l’azienda cedente proseguono anche con l’azienda cessionaria, oppure si interrompono. La risposta giusta è la prima: ai sensi dell’articolo 2112 del Codice civile, sia in caso di trasferimento dell’intera azienda sia in caso di cessione di un suo ramo, il rapporto di lavoro continua con la nuova azienda che rileva l’attività, e deve proseguire alle medesime condizioni già stabilite con il precedente datore di lavoro.
Questo significa che il lavoratore conserva tutti i diritti derivanti dal contratto in essere al momento della cessione (retribuzione, ferie maturate, anzianità di servizio, quote del Tfr, ecc.). Quindi il lavoratore ceduto insieme al ramo d’azienda in cui operava non può subire una diminuzione del salario o dello stipendio, o un abbassamento del livello di inquadramento. Se queste condizioni non sono rispettate – come avviene soprattutto in caso di demansionamento o di licenziamento – il lavoratore ha diritto al risarcimento dei danni.
Inoltre il cedente ed il cessionario sono obbligati «in solido tra loro» – cioè insieme, congiuntamente – per tutti i crediti che il lavoratore aveva al tempo del trasferimento: ad esempio, alcune mensilità di retribuzione non pagate. Il dipendente, quindi, per ottenere le sue spettanze può rivolgersi sia alla vecchia sia alla nuova azienda. Gli eventuali accordi limitativi della responsabilità dell’azienda cedente devono passare attraverso la vigilanza dell’Ispettorato del lavoro.
Cessione ramo d’azienda e licenziamenti
Nonostante le garanzie in favore dei lavoratori che abbiamo poc’anzi esaminato, c’è un grave problema: la cessione dell’azienda o di un suo ramo riguarda e comprende i soli rapporti di lavoro in essere al momento del trasferimento, non quelli già cessati prima dell’operazione di trasferimento. Così accade spesso che il datore di lavoro, prima di procedere alla cessione di un ramo d’azienda, cerca di fare licenziamenti collettivi, per esuberi e/o crisi economiche, in modo da abbattere drasticamente la forza lavoro e così riuscire a vendere un’azienda light, con meno personale, e dunque economicamente più appetibile per chi la acquista.
Però i licenziamenti collettivi devono seguire una particolare procedura: nelle aziende con più di 15 dipendenti serve una comunicazione preventiva (con almeno 25 giorni di anticipo) ai sindacati e bisogna indicare con precisione i criteri di scelta selettivi, in base ai quali viene stabilito chi licenziare, in modo oggettivo e senza discriminazioni. Di solito si fa riferimento a una griglia di valutazione, con dei punteggi predeterminati che tengono conto dell’anzianità di servizio maturata dai dipendenti, delle loro specializzazioni e degli eventuali carichi di famiglia.
Se questa procedura sindacale non viene rispettata, i lavoratori ingiustamente licenziati hanno diritto alla reintegra o, comunque, a un’indennità risarcitoria, commisurata a un determinato numero di mensilità perdute. Dunque, quando il licenziamento collettivo è illegittimo sorge il diritto al risarcimento per i lavoratori colpiti e scatta la «tutela reale», cioè il ripristino del rapporto di lavoro con la precedente azienda. Lo ha affermato a più riprese la Corte di Cassazione [1]. Così la cessione del ramo d’azienda non può costituire una facile occasione per sbarazzarsi dei dipendenti, in quanto essi conservano tutti i loro diritti e possono farli valere sia nei confronti del precedente datore di lavoro sia verso quello attuale.
In ogni caso, il lavoratore non può essere licenziato a causa della cessione d’azienda o di un suo ramo, ferme restando le ipotesi ordinarie che legittimano i licenziamenti individuali, come nel caso di “giusta causa” per infrazioni particolarmente gravi (ad esempio, il furto di beni aziendali) o di “giustificato motivo soggettivo”, se l’ipotesi è prevista dal contratto collettivo nazionale di lavoro applicabile (come nei casi di assenze reiterate o ritardi ingiustificati). Per maggiori dettagli leggi “Quali sono i motivi per cui un lavoratore può essere licenziato“.
Rimangono invece sempre possibili le dimissioni volontarie, ma in nessun caso il lavoratore è tenuto a dimettersi a causa della cessione dell’azienda o del suo ramo.
Cessione ramo d’azienda e danni risarcibili
Tra il momento della cessione del ramo d’azienda e quello della pronuncia del giudice del lavoro, al quale il dipendente ha proposto ricorso, può passare molto tempo, e questo comporta, evidentemente, un aumento dei danni risarcibili e dell’importo che sarà liquidato dal giudice in base alla dimostrazione della loro entità (la prova essere fornita dal lavoratore), oppure in via equitativa, quando non è possibile quantificarne con precisione l’ammontare.
A tal proposito , una recente sentenza della Cassazione [2] ha stabilito che, quando il giudice del lavoro dichiara l’illegittimità della cessione del ramo d’azienda, il lavoratore ceduto – oltre ad ottenere il ripristino del rapporto di lavoro con l’azienda cedente – ha diritto al risarcimento del danno subito per il periodo antecedente, ma solo a partire dal momento in cui aveva provveduto a “costituire in mora” il datore di lavoro, offrendogli la propria prestazione lavorativa, con una comunicazione formale e per iscritto. Questo, dunque, è un accorgimento necessario per non perdere in tutto o in gran parte il risarcimento dei danni spettanti. È bene affidarsi ad un avvocato esperto di diritto del lavoro per redigere e inviare questa missiva all’azienda.
Approfondimenti
Leggi anche “Trasferimento d’azienda o di ramo d’azienda: diritti dei dipendenti” e “Trasferimento d’azienda: le garanzie per i lavoratori“.
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