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Canone locazione simulato: conseguenze

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(@paolo-remer)
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Cosa succede se nel contratto registrato si indica un importo inferiore a quello realmente stabilito: l’inquilino è tenuto a pagare tutto o solo la parte ufficiale?

È un fenomeno abbastanza diffuso: le parti si mettono d’accordo per stipulare un contratto di locazione indicando un canone per una cifra inferiore a quella realmente pattuita. Questo documento “ufficiale” viene registrato all’Agenzia delle Entrate, ma intanto il locatore, per cautelarsi, ha fatto firmare all’inquilino una scrittura privata, nella quale è riportato il canone effettivo. Questo secondo documento viene tenuto nascosto e non sarà mai esibito al Fisco.

All’atto pratico, il locatore risparmia sulle imposte da pagare e anche l’inquilino, talvolta, ottiene uno sconto dal proprietario per il vantaggio accordato con questo “favore”. Apparentemente conviene, ma in realtà non è così. Indicare un canone di locazione simulato può avere pesanti conseguenze, che riguardano sia l’aspetto civilistico, cioè la validità delle condizioni contrattuali, sia i profili fiscali, per le imposte dovute sulle somme percepite dal proprietario in nero.

Questo fenomeno – che come avrai capito è illegale – è stato tollerato per decenni, ma ultimamente c’è stato un giro di vite. Adesso la legge disciplina in maniera severa questi aspetti, e anche la Cassazione ha assunto un atteggiamento estremamente rigoroso. Spesso succedere, infatti, che l’accordo “segreto” tra le parti venga richiamato davanti al giudice al quale il proprietario, o l’inquilino, si siano rivolti per ricevere tutela dal mancato rispetto delle pattuizioni non ufficiali. Si tratta quindi di stabilire se esse siano valide ed efficaci oppure no.

Cosa succede, ad esempio, se l’inquilino vuole pagare soltanto l’importo del canone riportato sul contratto “di facciata” e si rifiuta di versare l’ulteriore quota in nero? Il proprietario può pretendere l’intera somma, e può sfrattare per morosità se non gli viene data tutta, oppure no? Vediamo.

Contratto di affitto simulato: è valido?

Il contratto di affitto deve essere registrato presso l’Agenzia delle Entrate, entro 30 giorni dalla stipula, per poter produrre i suoi effetti. In caso di mancata registrazione, nessuna delle due parti – proprietario ed inquilino – potrebbe ottenere tutela in giudizio, nel caso in cui la controparte non rispettasse gli accordi.

Quando il contratto è simulato, però, c’è questa importante variante: le parti provvedono a registrarlo ma convengono che tra loro abbia efficacia quello ulteriore, che viene tenuto nascosto,  ed è stipulato verbalmente o, come di solito accade, con una separata scrittura privata. Ad esempio: nel contratto registrato si riporta un canone annuo di 3.600 euro (300 euro al mese) mentre in realtà viene pattuito un canone di 6.000 euro (500 euro mensili).

Ecco cosa succede in questi casi: il contratto dissimulato – cioè quello reale – è considerato nullo per legge [1]: «è nulla ogni pattuizione volta a determinare un importo del canone di locazione superiore a quello risultante dal contratto scritto e registrato».

Registrazione tardiva del contratto di locazione

Questa situazione non è definitiva. È comunque possibile effettuare (previo pagamento delle imposte e sanzioni dovute) la registrazione tardiva del vero contratto di affitto, che sana le nullità con effetto retroattivo, in modo che il contratto venga considerato valido e produttivo di tutti i suoi effetti fin dalla data della stipula. Si tratta, in sostanza, di una regolarizzazione.

Così, nell’esempio fatto sopra, se dopo due anni il proprietario esce allo scoperto e registra il contratto di locazione contenuto nella scrittura privata ove si stabilisce che il canone mensile è di 500 euro, questo importo sarà considerato dovuto anche nel periodo anteriore alla registrazione. Insomma, a fronte della registrazione tardiva l’inquilino è tenuto a pagare il canone intero sin dall’inizio.

Canone di affitto parzialmente in nero: cosa succede?

Cosa succede, invece, quando il contratto di affitto “ufficiale” è l’unico documento esistente ed è stato registrato riportando un canone simulato, cioè un importo più basso rispetto a quello realmente stabilito tra le parti?

In questi casi, la sola quota di canone contenuta nel contratto registrato è valida, insieme alle altre condizioni contrattuali, mentre la nullità travolge proprio ed esclusivamente la parte di canone di affitto in nero. Nell’esempio fatto sopra, l’inquilino dovrà pagare solo 300 euro al mese, non 500.

Questo perché tutte le pattuizioni che non risultano riportate nel contratto registrato sono considerate invalide senza alcuna eccezione (compresi, quindi, anche i termini di preavviso e la disdetta), come abbiamo visto. Il canone apparente, invece, cioè quello ufficiale, è sempre dovuto e può essere azionato dal locatore in caso di morosità dell’affittuario.

Quando l’inquilino paga solo il canone ufficiale

La conseguenza maggiore di tutto ciò è che l’inquilino può evitare di pagare questa somma aggiuntiva senza rischiare lo sfratto (il proprietario potrà liberare i locali, ma con la più lenta procedura ordinaria, quindi impiegherà più tempo per ottenere il rilascio).

Se invece l’inquilino nel corso del tempo aveva pagato anche la parte in nero, quando si arriva al termine del contratto, potrebbe richiedere la restituzione dell’eccedenza (la domanda va proposta entro 6 mesi dalla data di riconsegna delle chiavi dell’immobile).

Il principio che fa prevalere il contratto simulato ed apparente, cioè quello registrato, su quello reale e tenuto “nascosto” è stato ritenuto valido dalla Cassazione non solo per le locazioni di immobili ad uso abitativo ma anche per quelle commerciali [2].

A tal proposito, la Suprema Corte ha chiarito che il contratto dissimulato è nullo non solo perché è stato violato l’obbligo di registrazione, ma anche perché è finalizzato all’evasione fiscale e dunque è contrario a «norme imperative» [3]. Questo tipo di vizio è insanabile e non consente neppure la registrazione tardiva [4].

Come si prova qual è il vero canone?

Ovviamente, la prova del pagamento della parte di canone in nero è difficoltosa se la consegna della somma è avvenuta in contanti, proprio per non lasciare traccia dell’operazione, ma è comunque possibile fornirla con documenti come quietanze, email o messaggi che dimostrano tale circostanza, ed anche attraverso testimonianze.

In un recente caso deciso dalla Cassazione [5], un inquilino ha vinto contro il proprietario che lo aveva sfrattato: l’affittuario aveva eccepito un controcredito derivante dai maggiori canoni pagati rispetto a quelli indicati nel contratto simulato, che erano la metà. In sostanza, applicando i criteri che abbiamo descritto, risultava che aveva pagato di più del dovuto.

La Cassazione ha stabilito che per provare la simulazione non erano sufficienti le ricevute esibite dal proprietario e che riportavano il “vero” canone pagato (il doppio dell’importo ufficiale) per alcuni periodi. Tali documenti infatti non bastano a provare che questo maggior canone effettivo fosse stato «certamente concordato fra le parti».

In altre parole, il proprietario non è riuscito a provare in modo convincente il suo maggior credito – quello del canone in nero – neanche in presenza di ricevute che documentavano pagamenti periodici avvenuti nel corso del tempo. La Suprema Corte ha rilevato che il contratto di locazione era stato redatto per iscritto e perciò, per provare circostanze diverse da quelle riportate nell’atto registrato e contrastanti con esse – in questo caso il maggior canone preteso dal proprietario – non erano sufficienti le semplici ricevute di pagamento.

Sarebbe servita, piuttosto, una specifica controdichiarazione [6] proveniente dalla parte contro cui la domanda era diretta, cioè il conduttore dei locali, per poter affermare l’esistenza del patto intercorso circa il pagamento di un maggior canone; una dichiarazione che, ovviamente, l’inquilino non ha rilasciato, perché sarebbe andata a suo sfavore: non era certo tenuto a dimostrare di dover pagare di più di quanto risultava nel contratto di affitto registrato.

Omesso pagamento imposta registro: effetti sul contratto

Ultimamente la Corte di Cassazione ha precisato che anche il contratto di affitto che era stato registrato solo inizialmente, ma non alle successive scadenze, mentre la locazione era proseguita, è valido, in quanto la nullità che abbiamo esaminato è riferita solo alla registrazione originaria, o a quelle seguenti che abbiano modificato l’importo del canone.

Quindi, se al momento del rinnovo automatico le condizioni contrattuali stabilite all’inizio erano rimaste immutate, la locazione è valida anche se è stato omesso il versamento dell’imposta di registro (il 2% del canone annuo, con un minimo di 67 euro) per le annualità successive alla prima.

Approfondimenti

Per altre informazioni leggi gli articoli “Affitto registrato con canone simulato” e “Affitto in nero: quando il contratto è valido“.

 
Pubblicato : 25 Agosto 2023 18:26