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Cambia il mantenimento se il lavoro del figlio è precario?

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(@raffaella-mari)
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Un lavoro precario può influire sul mantenimento dei figli e quali sentenze ne determinano le conseguenze?

In un contesto sociale in continua evoluzione, dove il mercato occupazione e l’avvio alle carriere rende sempre più difficile l’ingresso dei giovani al lavoro, sorge spesso una domanda: cambia il mantenimento se il lavoro del figlio è precario? Potrebbe, ad esempio, un padre negare gli alimenti al figlio solo perché questi ha ottenuto un dottorato presso l’università? Quali sono gli effetti di un contratto a termine sull’assegno mensile versato dal genitore?

La Cassazione ha più volte chiarito tale tematica mettendo comunque in guardia i giudici dal fissare principi generali e sempre validi: ogni caso è a è stante e va valutato sulla base delle condizioni economiche delle parti, della carriera lavorativa prescelta dal giovane, dell’impegno da questi profuso nella sua formazione o nella ricerca di un lavoro e, soprattutto, sulla sua età (è soprattutto quest’ultima infatti che può decretare o meno il permanere del diritto al mantenimento).

Il mantenimento può essere ridotto per un lavoro precario?

Il diritto del figlio maggiorenne ad essere mantenuto dai genitori si giustifica finché questi intraprende un percorso formativo, nel rispetto delle sue capacità ed aspirazioni, oppure, in mancanza, se dà prova di cercare un’occupazione.

Ciò comporta che l’obbligo di corrispondere un assegno di mantenimento per i figli cessa qualora venga dimostrato l’avvenuto l’ingresso dei figli nel mondo del lavoro, seppure con lavori saltuari ed a tempo determinato.

Più volte la giurisprudenza ha escluso il diritto all’assegno per il figlio o la figlia maggiorenni che hanno un lavoro a tempo determinato se l’arco di tempo di tale attività non è particolarmente breve (come potrebbe essere il caso di un lavoro stagionale).

Leggi sul punto Mantenimento e contratto a tempo determinato: cosa prevede la legge?

Come anticipato sopra, il giudice deve tenere conto anche dell’età del giovane che, tanto più si avvicina ai 30 anni, tanto minore gli consente di mantenere l’assegno di mantenimento. Superata tale soglia, infatti, secondo la giurisprudenza, lo stato di eventuale disoccupazione deve ritenersi conseguenza di un comportamento colpevole per non aver saputo cogliere le occasioni lavorative, anche se non in linea con le ambizioni del ragazzo. Quest’ultimo infatti deve anche sapersi accontentare di ciò che offre il mercato per non gravare sempre sul padre e sulla madre.

Come chiarito dal Tribunale di S.M. Capua Vetere (sent. n. 3841/2022), in materia di mantenimento del figlio maggiorenne ad opera del genitore non convivente, l’esercizio di un’attività lavorativa retribuita, benché effettuata in esecuzione di contratto di lavoro a tempo determinato, può costituire un elemento rappresentativo della capacità di questi di avere un’adeguata fonte di reddito e, quindi, del raggiungimento dell’autosufficienza economica. Tuttavia, precisa il giudice, non tutte le attività lavorative a termine sono utili a provare il raggiungimento di tale autosufficienza economica: non lo sono quelle di breve durata del rapporto o con una retribuzione bassa.

La necessità di tenere conto della situazione di maggiore flessibilità del mercato del lavoro ha portato all’affermazione del principio secondo cui l’indipendenza economica del figlio maggiorenne, ai fini della cessazione dell’obbligo di mantenimento da parte dei genitori, deve essere parametrata in base al criterio di relatività e al percorso scolastico della prole. Di conseguenza, anche un contratto a tempo determinato e un contratto di apprendistato possono condurre all’indipendenza economica: il primo solo se il compenso è adeguato e l’orizzonte temporale non troppo ristretto, il secondo in quanto sia finalizzato all’occupazione e all’inserimento con carattere di stabilità nel mercato del lavoro (così: Trib. Monza, sent. n. 466/2022).

La Cassazione sul mantenimento del figlio precario

Non poteva mancare la Cassazione a ribadire i suddetti principi: secondo la Corte, lo svolgimento di un’attività retribuita, anche prestata in forma di precariato ossia con un contratto di lavoro a tempo determinato, può considerarsi un’adeguata fonte di reddito e quindi indice della raggiunta autosufficienza economica. Ciò determinata la definitiva cessazione del diritto al mantenimento anche in caso di successiva perdita del lavoro (sebbene dopo poco tempo). Resta fermo che non ogni attività lavorativa a tempo determinato è idonea a dimostrare il raggiungimento della menzionata autosufficienza economica: la stessa può essere esclusa dalla breve durata del rapporto o dalla ridotta misura della retribuzione (Cass. sent. n. 40282/2021)

Con un dottorato si perde il diritto al mantenimento?

È interessante il principio formulato dalla Cassazione con sent. n. 11467/17. La vicenda è quella di un uomo separato e padre di due figli che si opponeva alla decisione della Corte di Appello. La contestazione principale riguardava l’importo del mantenimento fissato per il figlio maggiore, il quale aveva conseguito un dottorato di ricerca presso una prestigiosa università, percependo un assegno mensile compreso tra 1.600 e 2.000 euro.

Il padre ha presentato ricorso alla Cassazione dopo che la Corte di appello aveva ridotto l’assegno di mantenimento a 450 euro mensili. Il motivo principale del suo disaccordo era la mancanza di un’adeguata valutazione da parte dei giudici di secondo grado sulla reale capacità di autosostentamento del figlio, nonostante la sua carriera universitaria e l’assegno di dottorato percepito.

La Cassazione, accogliendo il ricorso dell’uomo, ha evidenziato come la Corte di appello non abbia fornito un’adeguata motivazione nella sua decisione, trascurando di valutare se l’assegno universitario fosse sufficiente a garantire l’autosostentamento del figlio. Inoltre, la Corte ha criticato il giudice di appello per non aver considerato adeguatamente le prospettive lavorative future del figlio.

Questa sentenza stabilisce un importante precedente: la percezione di un assegno di dottorato e la carriera universitaria, anche se in una situazione di precarietà lavorativa, possono influenzare notevolmente l’entità del contributo di mantenimento. Inoltre, la decisione sottolinea la necessità di una valutazione approfondita e individualizzata di ogni caso, considerando le reali capacità economiche e le prospettive lavorative del figlio.

 
Pubblicato : 9 Gennaio 2024 15:15