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Body shaming: è reato?

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(@raffaella-mari)
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Prendere in giro una persona per il suo aspetto fisico su un social network costituisce diffamazione?

Sentiamo spesso parlare di body shaming. Sappiamo però realmente cosa significhi e cosa comporti esserne autori o vittime? Vediamolo insieme.

Prendere in giro, fare commenti negativi o criticare l’aspetto fisico di una persona è quel che si chiama body shaming. Gli atti di bullismo nelle scuole, post o commenti denigratori sui social rendono il fenomeno sempre più frequente e dannoso per l’impatto significativo che provoca sull’autostima e sull’immagine del corpo della persona che lo subisce.

Chiediamoci allora se, e in caso come, è regolamentato il body shaming nel nostro ordinamento.

Innanzitutto, non esistono norme che puniscano il body shaming. Bisogna perciò verificare se un tale comportamento rientri in una delle fattispecie previste dalle leggi penali.

Prendere in giro una persona potrebbe integrare l’illecito civile di ingiuria o il reato di diffamazione. Come noto l’ingiuria richiede la presenza della vittima al momento dell’offesa, la diffamazione invece ne presuppone l’assenza.

Ne segue che beffeggiare una persona e farlo in faccia a questa costituisce ingiuria; pertanto la vittima non potrà querelare il reo ma solo chiedergli il risarcimento del danno e, se non lo ottiene con le buone, dovrà agire contro di lui attraverso un processo civile. Viceversa, l’offesa alle spalle integrerà la diffamazione e consentirà alla vittima di sporgere querela.

Ciò detto, come dobbiamo allora qualificare il post offensivo su Facebook di body shaming dal momento che la vittima è in grado di leggerlo? È ingiuria o diffamazione? Lo ribadiamo: nel primo caso non si può querelare il colpevole, nel secondo sì. Bene, a chiarirci le idee ci ha pensato la Cassazione [1]: secondo la Corte, nel momento in cui una persona pubblica un post o un commento denigratorio sull’altrui aspetto fisico ci troviamo in presenza del reato di diffamazione, per giunta aggravato per via dell’uso del mezzo di pubblicità. Pertanto la vittima, entro 3 mesi da quando viene a conoscenza del contenuto offensivo (e non quindi dalla sua pubblicazione), può sporgere querela alla polizia o ai carabinieri o alla Procura della Repubblica presentando uno screenshot della frase offensiva o, se già cancellata, una testimonianza di chi l’abbia letta.

Attenzione però! La diffamazione dev’essere conclamata. Deve trattarsi di un vero e proprio dileggio. Scrivere di aver notato un’attrice ingrassata non è certo diffamazione.

La Suprema Corte chiarisce che deve trattarsi di “un’aggressione alla reputazione di quella persona”. Comunicare con più persone per metterne alla berlina una per alcune sue caratteristiche fisiche, ad esempio un deficit visivo, configura senz’altro un’aggressione del genere. In particolare, nel caso oggetto di pronuncia della Corte, è stato rilevante ai fini della diffamazione anche l’aver l’autore del post su Facebook sottolineato il difetto fisico della persona con non solo il suo scritto ma anche alcune “emoticon” simboleggianti grasse risate dirette chiaramente a deridere la vittima. Pertanto, l’offesa alla dignità e alla reputazione della persona nonché la sua impossibilità a rispondere al post contestualmente alla sua pubblicazione hanno indotto i giudici a ritenere presenti nel caso gli estremi della diffamazione.

Prima quindi di deridere una persona per il suo aspetto fisico è bene fare molta attenzione se non si vuole rischiare una condanna penale. La gentilezza e il rispetto per il prossimo pagano sempre di più!

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Pubblicato : 6 Febbraio 2023 09:45