Assunzione in prova: quando si ha diritto ad essere assunti
Il patto di prova deve prevedere mansioni specifiche che il dipendente non ha mai svolto in precedenza. È nullo se i compiti sono generici.
È diritto del datore di lavoro proporre al dipendente un’assunzione in prova per poi procedere all’assunzione definitiva se la verifica dovesse sortire esito positivo. Tuttavia il giudizio sul corretto espletamento della prova spetta insindacabilmente al datore che non è neanche tenuto a motivare le ragioni per cui, a suo parere, il periodo di prova non è stato soddisfacente. Neanche il giudice, in caso di ricorso del dipendente, potrebbe entrare nel merito della decisione assunta dall’azienda.
Proprio per evitare abusi da parte del datore, la legge prevede alcune condizioni da rispettate obbligatoriamente per la validità del patto di prova. In caso contrario, il patto è nullo e il dipendente matura il diritto all’automatica assunzione a tempo indeterminato.
In questo articolo ci occuperemo proprio di questo tema: vedremo quando, in caso di assunzione in prova, si ha diritto ad essere assunti e quali sono i diritti del lavatore che effettui il periodo di test. Lo faremo peraltro alla luce di una recente e interessante sentenza della Corte di Appello di Milano che, rifacendosi all’indirizzo ormai consolidato della Cassazione, ha fornito alcuni importanti chiarimenti. Ma procediamo con ordine.
Condizioni per l’ammissibilità del patto di prova
Per stabilire quando il patto di prova è nullo bisogna conoscere i requisiti imposti dalla legge per la sua validità:
- accordo scritto: il patto di prova deve essere messo per iscritto nel contratto di lavoro, con una clausola specifica. Ad esempio, può essere scritto “Il dipendente sarà assunto con un periodo di prova di 3 mesi”.
- retribuzione: il lavoratore riceve uno stipendio durante il periodo di prova, in base ai contratti collettivi nazionali o a condizioni migliori stabilite nel contratto individuale. Per esempio, il lavoratore potrebbe percepire l’80% del salario normale durante il periodo di prova;
- obblighi reciproci: sia il datore di lavoro che il dipendente devono consentire e svolgere il periodo di prova. Ad esempio, il datore di lavoro deve fornire al dipendente le risorse e le opportunità necessarie per dimostrare le proprie abilità. Il periodo di prova serve infatti non solo al datore per saggiare le competenze del lavoratore ma anche a quest’ultimo per verificare la propria compatibilità con l’ambiente di lavoro;
- recesso: durante il periodo di prova, entrambe le parti possono interrompere il contratto senza preavviso, indennità o motivazione. Tuttavia il patto di prova può prevedere un periodo minimo della durata della prova stessa che in tal caso entrambe le parti devono obbligatoriamente rispettare a pena di risarcimento del danno. La durata è normalmente di 6 mesi, ma il contratto collettivo nazionale può prevedere termini diversi. Ad esempio, se il periodo di prova è di 2 mesi, il datore di lavoro o il dipendente possono terminare il rapporto in qualsiasi momento senza fornire alcuna giustificazione.
- assunzione definitiva: se il periodo di prova viene completato con successo e il datore non comunica il licenziamento, il lavoratore ha diritto a essere assunto definitivamente secondo le condizioni del contratto di lavoro e il tempo trascorso in prova viene conteggiato nell’anzianità di servizio. Ad esempio, se un dipendente completa con successo un periodo di prova di 3 mesi, verrà assunto definitivamente e avrà un’anzianità di servizio di 3 mesi;
- attività: l’attività da svolgere deve essere chiaramente e specificamente definita nel contratto di lavoro. Non può essere generica: diversamente la verifica della prova non avrebbe alcun valore e il dipendente si troverebbe a poter essere licenziato senza alcuna apparente ragione. Inoltre l’attività che il dipendente svolge effettivamente deve essere quella indicata nel contratto di lavoro e non diversa: in caso contrario, infatti, la valutazione del datore potrebbe essere facilmente falsata e il dipendente non potrebbe essere valutato per le sue capacità;
- assenza di precedenti prove: il datore può assumere in prova il dipendente a patto che non ne conosca le abilità per le mansioni per le quali detta prova viene disposta. Se il dipendente ha già svolto mansioni dello stesso tipo, la prova è nulla.
Violazione del periodo di prova e contestazione del licenziamento
In tutti i casi che abbiamo appena elencato, il mancato rispetto delle regole indicate dalla legge determina la nullità dell’assunzione in prova. Con la conseguenza che il dipendente matura il diritto all’assunzione obbligatoria a tempo indeterminato e full time.
Naturalmente, affinché ciò avvenga, il dipendente deve impugnare il licenziamento e promuovere un giudizio contro il datore di lavoro. Sarà a quel punto il giudice a determinare se il patto di prova era conforme a legge ed, eventualmente, a commutare l’assunzione in una a tempo indeterminato. Essendo il licenziamento viziato da nullità, il lavoratore ha infatti diritto alla reintegrazione sul posto e al risarcimento del danno pari a tutte le retribuzioni non percepite dal recesso fino alla ripresa del lavoro.
Diritto all’assunzione e genericità delle mansioni
Uno dei motivi più frequenti per cui il patto di prova è nullo è costituito dalla genericità delle mansioni indicate nel contratto di lavoro. Al contrario la descrizione delle mansioni deve essere chiara e specifica.
Secondo il costante orientamento della Cassazione, il patto di prova deve contenere la specifica indicazione delle mansioni che ne costituiscono l’oggetto.
Il patto può genericamente risicare al contratto collettivo nazionale di lavoro (CCNL) ma solo se il richiamo sia sufficientemente specifico [2]. Con la conseguenza che se nel CCNL ci sono diversi profili per lo stesso livello, bisogna indicare con precisione a quale si fa riferimento.
Questa indicazione specifica, prosegue la sentenza, è un presupposto indispensabile affinché il datore di lavoro possa esprimere validamente la propria insindacabile valutazione in merito all’esito della prova. Quindi, se una categoria prevista dal contratto collettivo accorpa più di un livello professionale, è necessario fare riferimento, nel patto di prova, al singolo e specifico profilo, onde evitare di cadere nel vizio di genericità.
Nel caso rimesso alla valutazione della Corte la categoria di «capo area» assegnata al lavoratore non era neanche prevista nel livello contrattuale assegnato allo stesso e, in ogni caso, a quel livello corrispondevano ben 17 differenti profili professionali. Una situazione che, ad avviso della Corte, ha determinato la nullità del patto di prova sin dall’inizio con conseguente conversione del rapporto in prova in un ordinario rapporto a tempo indeterminato.
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