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Assegnazione della casa e revoca del mantenimento al figlio

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(@angelo-greco)
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Un contratto di lavoro a tempo determinato fa perdere il mantenimento al figlio e fa cessare l’assegnazione della casa coniugale. 

In una recente sentenza, il tribunale di Patti offre una serie di importanti chiarimenti in materia di assegnazione della casa all’ex coniuge e revoca del mantenimento al figlio maggiorenne. 

Sono numerosi i temi affrontati nella pronuncia, avendo il giudice risposto a una serie di domande che, di norma, si pongono al momento in cui avviene la separazione della coppia, sia questa spostata o di conviventi. Difatti, come noto, il provvedimento di assegnazione della casa coniugale non richiede necessariamente l’esistenza di un rapporto coniugale, potendo essere preso anche in presenza di una coppia di fatto, a patto però che vi sia da decidere il collocamento di figli minorenni, maggiorenni non ancora autosufficienti o portatori di un grave handicap. 

Ecco dunque le risposte contenente nella sentenza in questione [1].

Quando viene assegnata la casa familiare?

Nelle cause di separazione (per le coppie sposate) o in quelle relative all’affidamento dei figli (per le coppie di fatto), l’assegnazione della casa familiare è un provvedimento che viene emesso a favore del genitore collocatario del figlio (ossia quello ove quest’ultimo va a vivere stabilmente). 

La previsione di un diritto di abitazione in quella che prima era la dimora principale della famiglia (ciò che esclude l’assegnazione di una seconda casa o della dimora delle vacanze) è dettata dall’esclusivo interesse della prole e risponde all’esigenza di consentire ai figli minorenni, portatori di un grave handicap o maggiorenni non ancora autonomi dal punto di vista economico di continuare a vivere nel medesimo habitat domestico, inteso come centro degli affetti, degli interessi e delle consuetudini in cui si esprime la vita familiare. 

Dunque l’assegnazione della casa non è una forma di contribuito economico prestato all’ex partner, anche se può influire sulla misura dell’assegno di mantenimento a quest’ultimo dovuto, riducendo il carico di spese (in particolare, quelle di un eventuale affitto) su quest’ultimo incombenti.

Quando si perde l’assegnazione della casa familiare?

Se è vero che l’assegnazione della casa è collegata alla tutela dei figli, essa torna al proprietario quando tale esigenza non sussiste più. E ciò succede, ad esempio, quando i figli vanno a vivere da soli, quando diventano autonomi economicamente o comunque quando perdono il mantenimento. 

La perdita del mantenimento non dipende necessariamente dall’acquisizione di un lavoro stabile. Ad esempio, di recente la Cassazione ha detto che: 

  • il figlio che non intende completare il proprio percorso di studi deve darsi da fare per cercare un lavoro; diversamente, anche se appena maggiorenne, perde il mantenimento;
  • il figlio che ha terminato il ciclo scolastico e la formazione universitaria non può rimanere a lungo disoccupato dovendo comunque ridimensionare le proprie ambizioni se non riesce a trovare lavoro. Egli non può restare a carico dei genitori per sempre. Ragion per cui, raggiunti i 30 anni, egli perde definitivamente il mantenimento. Si presume infatti che il suo stato di disoccupazione sia dovuto a inerzia e non già ad assenza di occasioni;
  • il figlio che abbia raggiunto l’indipendenza economica ma poi la perda, anche se dopo poco (si pensi a un licenziamento improvviso) non ha più diritto al mantenimento. E questo perché, una volta reciso il legame coi genitori, questo non rivive più. 

Con un contratto a tempo determinato si perde il mantenimento?

In tema di contributo al mantenimento del figlio maggiorenne da parte del genitore separato non convivente, lo svolgimento di un’attività retribuita, anche se prestata in esecuzione di contratto di lavoro a tempo determinato, può rappresentare un indice della capacità del figlio di procurarsi un’adeguata fonte di reddito, e quindi della raggiunta autosufficienza economica.

In verità non ogni attività lavorativa a tempo determinato è idonea a dimostrare il raggiungimento della menzionata autosufficienza economica: questa può essere esclusa dalla breve durata del rapporto di lavoro o dalla ridotta misura della retribuzione.

Pertanto quando il contratto di impiego a tempo determinato prevede una apprezzabile durata, e per il quale la retribuzione è adeguata, consentendo al figlio una piena indipendenza economica, un’esistenza libera e dignitosa alla cui realizzazione ogni giovane adulto deve aspirare, oltre a permettergli un importante ingresso nel mondo del lavoro, si hanno due effetti:

  • il figlio perde il mantenimento;
  • il genitore collocatario perde l’assegnazione della casa coniugale. 

E dunque, se il solo fatto che il figlio abbia stipulato un contratto a termine non determina in modo automatico il venir meno dell’obbligo, è anche vero che una paga adeguata e un orizzonte temporale non esiguo non possono che interrompere l’obbligo da parte del genitore di mantenere il figlio maggiorenne, che va considerato ormai autonomo economicamente.

Mantenimento al figlio studente e mantenimento del diritto di abitazione nella casa

Va invece confermato l’assegno di mantenimento per il figlio ancora studente universitario, non indipendente a livello economico. Ma ciò solo a condizione che prosegua gli studi con profitto. Il che non significa necessariamente avere una media alta. Basta però non restare fuori corso per lungo tempo e non avere voti molto bassi.

Nuova relazione, convivenza e perdita casa familiare

L’instaurazione di una nuova relazione da parte del coniuge collocatario della prole, anche se basata su una convivenza stabile, non fa perdere l’assegnazione della casa familiare. E ciò per la semplice ragione che il diritto di abitazione è un provvedimento dettato a favore della prole e non dell’ex coniuge/partner. Quindi non importa se il nuovo/a compagno/a si trasferisce nell’ex casa coniugale insieme ai figli. 

Tuttavia l’esistenza di un nuovo legame stabile basato sulla convivenza more uxorio, ossia una convivenza duratura e continuativa, tipica della famiglia, fa venir meno il diritto all’assegno di mantenimento all’ex coniuge.

Il diritto a percepire l’assegno di divorzio sussiste anche quando lei ha una relazione sentimentale con un altro: in assenza di una vera famiglia di fatto l’obbligo del contributo resta.

Ad avviso degli Ermellini, l’instaurazione da parte dell’ex coniuge di una stabile convivenza di fatto, giudizialmente accertata, incide sul diritto al riconoscimento di un assegno di divorzio o alla sua revisione, nonché sulla quantificazione del suo ammontare, in virtù del progetto di vita intrapreso con il terzo e dei reciproci doveri di assistenza morale e materiale che ne derivano, ma non determina, necessariamente, la perdita automatica ed integrale del diritto all’assegno, in relazione alla sua componente compensativa.

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Pubblicato : 9 Novembre 2022 10:00