Allusioni a sfondo sessuale alla collega: c’è licenziamento?
Battute a sfondo sessuale, tentativi di approccio sul lavoro e palpeggiamenti: cosa si rischia?
Non è un caso isolato, quello del tale che, animato dagli istinti virili più comuni, trascende in condotte moralmente riprovevoli, specialmente ad indirizzo delle donne: queste ultime, come noto, sono spesso vittime di azioni violente e/o irriguardose, specie da parte di chi, in un modo o nell’altro, dovrebbe manifestare nei loro confronti amore, rispetto e profonda riconoscenza.
In questo articolo approfondiremo il tema delle allusioni a sfondo sessuale alla collega, le avances sul luogo di lavoro e tutti gli altri atti che possono comportare una molestia; e vedremo se questi comportamenti hanno ripercussione sul contratto di lavoro, se possono cioè comportare il licenziamento.
I teatri principali delle azioni in commento sono, purtroppo, il focolare domestico e l’ambiente lavorativo: è proprio con riferimento a quest’ultimo che s’intende di séguito approfondire le forme di tutela della vittima e, contestualmente, la sanzione più opportuna per il molestatore.
Rapporti tra datore e lavoratore
Quando sottoscriviamo un contratto di lavoro, acquistiamo lo status di dipendenti del soggetto – Pubblica Amministrazione, azienda o privato cittadino – che ci assume: il Codice Civile, all’articolo 2094, definisce invero il lavoratore come colui che, in cambio di una paga, si obbliga a svolgere una determinata prestazione nell’interesse e sotto la direzione di un’altra persona, che prende il nome di «datore».
Tra i due viene a crearsi, pertanto, un vincolo di natura fiduciaria, il quale fa sì non soltanto che il lavoratore debba prestare la sua opera con diligenza ed in modo non pregiudizievole per il datore (ad esempio, non può fargli concorrenza e non può diffondere informazioni, diciam così, «delicate» o riservate circa l’attività aziendale), ma anche che le parti debbono comportarsi in modo corretto e secondo buona fede.
Tra i tanti obblighi cui è soggetto il datore figura anche quello di far sì che vengano assicurate, sul luogo di lavoro, l’incolumità fisica e la personalità morale del dipendente (art. 2087 c.c.): esemplificando, questi dovrà tanto vigilare affinché il prestatore non riporti lesioni – e, soprattutto, non muoia – a causa dell’attività svolta, quanto fare in modo che egli non si veda compromettere il proprio onore e la propria dignità.
Avances sul lavoro: cosa dice la legge?
È, purtroppo, sempre più diffuso il fenomeno degli approcci amorosi con metodi a dir poco inopportuni, in particolar modo sul posto di lavoro: a pagarne le spese sono le persone dall’animo generoso, quelle che si distinguono nel lavoro, le donne, i nuovi arrivati o – cosa ben più grave – i dipendenti che non riescono a celare la propria sensibilità interiore.
Orbene, secondo la Legge, l’autore delle avances insistenti commette reato se:
- spedisce alla vittima messaggi a valanga, ovvero le telefona…praticamente ogni secondo, o – peggio – la segue dovunque (si tratterà di molestia, prevista dall’art. 660 del Codice Penale, se il responsabile si limita a qualche chiamata e/o messaggio, mentre si configurano gli atti persecutori – noti come stalking e regolati dall’art. 612-bis p. – laddove il comportamento generi nella vittima un durevole stato d’ansia o di paura tale da costringerla a cambiare le proprie abitudini di vita);
- mediante azioni minacciose, violente, ovvero abusando della propria posizione gerarchica superiore, costringe la vittima a compiere atti sessuali, tali da intendersi non solo i metodi di consumazione del rapporto, ma anche il contatto con zone erogene contro la volontà della suddetta (il tipico esempio è, per l’appunto, quello del lavoratore che tocca le natiche della collega, sebbene questa non voglia). Tale reato si configura anche quando chi agisce abusa delle condizioni d’inferiorità – fisica o psichica – di chi subisce.
Può essere licenziato chi palpeggia la collega?
Per rispondere con puntualità a tale quesito, occorre prendere le mosse da una decisione abbastanza recente della Corte Suprema di Cassazione [1], la cui Sezione Lavoro ha sottolineato che il licenziamento del prestatore di lavoro che molesta sessualmente la collega, ovvero faccia, nel parlare, chiari riferimenti alla sfera sessuale di quest’ultima, è da ritenersi a tutti gli effetti legittimo.
La decisione degli Ermellini prende le mosse dall’articolo 26 del Codice delle Pari Opportunità tra uomo e donna (D. Lgs. n. 198/2006), il quale considera alla stregua di condotte discriminatorie anche le molestie – anche verbali – di natura sessuale capaci di creare, nell’ambiente lavorativo, un clima «intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo».
Ne consegue, pertanto, che il responsabile di una condotta del genere correrà il serio rischio tanto di esser denunziato quanto di andar soggetto licenziamento per giusta causa (ovverosia, senza preavviso, dunque – utilizzando un’espressione atecnica «in tronco»).
Palpeggiare è violenza sessuale?
Non dimentichiamo infine che, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza, il palpeggiamento delle natiche, del seno, delle cosce integra il reato di violenza sessuale. Non importa se non c’è contatto con gli organi sessuali, né importo se il contatto è avvenuto per pochi secondi, anche solo per scherzo e senza la ricerca di un piacere fisico.
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