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Allontanamento dalla casa familiare: quando scatta

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(@carlos-arija-garcia)
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Le ipotesi in cui il giudice può imporre a chi commette violenza in famiglia di lasciare l’abitazione e di non avvicinarsi alle persone offese.

Quando si verificano continui episodi di violenza domestica nei confronti del coniuge o di altra persona convivente, il giudice può disporre delle misure coercitive diverse dalla reclusione per prevenire la reiterazione di questi episodi e tutelare la vittima o le vittime. Una di queste è l’allontanamento dalla casa familiare: quando scatta e come funziona?

Occorre distinguere questa misura coercitiva da un’altra che il tribunale può adottare a tutela delle persone vittime di comportamenti violenti, come ad esempio l’ordine di protezione: mentre per quest’ultimo non viene richiesto alcun onere probatorio ai fini della sua emissione, per l’allontanamento dalla casa familiare è necessario che ci siano dei gravi indizi di colpevolezza. Questo provvedimento, inoltre, pur non essendo detentivo, può essere deciso dal giudice quando si procede per delitti per cui la legge stabilisce la pena dell’ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a tre anni.

Se invece si procede per reati sanzionati con una pena detentiva non inferiore nel massimo a cinque anni (maltrattamenti in famiglia, atti persecutori e abuso di correzione e disciplina a cui consegue la morte della persona offesa), è possibile applicare le misure cautelari più gravi previste dal codice di procedura penale, compresa la custodia in carcere.

In che cosa consiste l’allontanamento dalla casa familiare?

Nelle ipotesi citate, il giudice può prescrivere all’imputato uno dei seguenti ordini:

  • lasciare immediatamente la casa familiare;
  • non fare rientro nella casa familiare (ad esempio quando già si trova in un altro luogo diverso dal domicilio domestico);
  • non accedere alla casa senza l’autorizzazione del giudice, ad esempio, a recuperare effetti personali o per tentare di ricostruire relazioni all’interno della famiglia in caso di attenuazione delle esigenze cautelari.

Congiuntamente, il giudice può prescrivere che l’imputato non si avvicini a determinati luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa.

Per disporre l’allontanamento non è necessario che la convivenza fra i coniugi sia attuale: basta che nella relazione familiare ci siano delle condotte in grado di minacciare l’integrità fisica e psichica della persona senza bisogno che l’episodio si verifichi necessariamente all’interno della casa coniugale.

Il giudice, su richiesta del pubblico ministero, può anche disporre il pagamento di un assegno periodico a favore delle persone conviventi che, per effetto della misura cautelare disposta, rimangano prive di mezzi adeguati. L’importo dell’assegno terrà conto delle circostanze e dei redditi dell’obbligato. Verranno anche stabiliti le modalità e i termini del versamento. L’ordine di pagamento ha efficacia di titolo esecutivo. Tale misura, comunque, non è alternativa ma accessoria a quella dell’allontanamento dalla casa familiare.

Quando scatta l’allontanamento d’urgenza?

Al fine di tutelare ulteriormente la vittima o le vittime di violenza in famiglia, è possibile su iniziativa della polizia giudiziaria, l’allontanamento di urgenza dalla casa familiare. È una misura precautelare che deve essere autorizzata dal pubblico ministero e che scatta quando ci sono dei fondati motivi per ritenere che le condotte illecite possano essere reiterate mettendo in grave e attuale pericolo la vita o l’integrità fisica o psichica della persona offesa.

L’allontanamento urgente può comportare anche il divieto di avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dalla vittima, di chi viene colto in flagranza dei seguenti reati:

  • violazione degli obblighi di assistenza familiare;
  • abuso dei mezzi di correzione o di disciplina;
  • maltrattamenti contro familiari e conviventi;
  • lesioni personali, limitatamente alle ipotesi procedibili d’ufficio o comunque aggravate;
  • riduzione o mantenimento in schiavitù o servitù;
  • prostituzione minorile;
  • pornografia minorile;
  • pornografia virtuale;
  • delitti contro la personalità individuale, anche se attenuati e commessi in danno di minori;
  • istigazione a pratiche di pedofilia e di pedopornografia commessi in danno di minori;
  • tratta di persone;
  • acquisto e alienazione di schiavi;
  • violenza sessuale;
  • violenza sessuale aggravata;
  • atti sessuali con minore;
  • corruzione di minore;
  • violenza sessuale di gruppo;
  • minaccia commesso in danno dei prossimi congiunti o del convivente;
  • atti persecutori commessi in danno dei prossimi congiunti o del convivente.

La polizia giudiziaria è tenuta a fornire alla vittima tutte le informazioni che riguardano i centri antiviolenza presenti sul territorio e, in particolare, nella sua zona di residenza. Se c’è una espressa richiesta, le forze dell’ordine, i presidi sanitari e le istituzioni pubbliche mettono in contatto la vittima con queste strutture.

 
Pubblicato : 21 Luglio 2023 17:15