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Aborto al pronto soccorso: cosa dice la legge?

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(@carlos-arija-garcia)
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È possibile presentarsi in reparto pretendendo l’interruzione della gravidanza? Qual è la procedura da seguire? Si può fare tre mesi dopo il concepimento?

L’interruzione volontaria della gravidanza è regolamentata in Italia dalla legge 194 [1], che stabilisce tempi e modalità per poterla portare a termine. Il Servizio sanitario nazionale si fa carico di questa scelta a certe condizioni dettate, appunto, dalla normativa. Ma sull’aborto al pronto soccorso, cosa dice la legge? È possibile recarsi in questo reparto ospedaliero per abortire?

In realtà, prima di procedere ad un aborto volontario ci sono:

  • dei tempi da rispettare;
  • delle visite da fare;
  • dei colloqui da sostenere.

In altre parole, e secondo la legge 194, una donna non può recarsi al pronto soccorso dicendo: «Sono rimasta incinta, vorrei abortire». Il medico del reparto non è autorizzato a farlo.

Quando una donna decide di abortire entro i primi 90 giorni dal concepimento deve, innanzitutto, fare una visita ginecologica per accertare la gravidanza ed ottenere il relativo certificato.

Fatto questo, è necessario fare un colloquio con un medico o recarsi presso un consultorio familiare per valutare i motivi per cui si vuole interrompere la gravidanza. Infatti, la legge cita il ruolo del consultorio allo scopo di:

  • informare la donna sui suoi diritti riguardo la normativa statale e regionale e sui servizi sociali, sanitari ed assistenziali offerti dalle strutture che operano nel territorio;
  • informare la donna sulle modalità per essere tutelata da tali normative;
  • attuare direttamente o proponendo ai Comuni o alle strutture sociali competenti degli interventi particolari se fossero necessari;
  • contribuire a superare le problematiche che portano a decidere di interrompere la gravidanza, aiutando la donna durante un’eventuale maternità difficile dopo la nascita.

Se secondo il medico del consultorio o della struttura socio-sanitaria, o il medico di fiducia, ci sono delle condizioni tali da rendere urgente l’intervento, la donna riceve immediatamente il certificato che attesta l’urgenza. Con tale certificato la donna stessa può presentarsi in una delle sedi autorizzate a praticare la interruzione della gravidanza. In caso contrario, la invita a riflettere per sette giorni. Trascorso questo periodo, la donna può presentarsi in un centro sanitario autorizzato affinché venga avviata la procedura per l’aborto.

Quando la donna si presenta in ospedale o nella clinica convenzionata per l’interruzione della gravidanza, viene stabilita la data dell’intervento. Dovrà sottoporsi alle visite ed agli esami preliminari (il cosiddetto pre-ricovero). Il tutto nel più scrupoloso rispetto della privacy.

L’intervento è gratuito: la donna dovrà sostenere solo i costi di eventuali medicinali da prendere dopo aver abortito.

Si può abortire dopo i 90 giorni dal concepimento?

È possibile praticare l’interruzione della gravidanza anche dopo i primi 90 giorni dal concepimento solo in casi eccezionali. In particolare, l’aborto può essere praticato:

  • se la gravidanza o il parto comportano un grave pericolo per la vita della donna;
  • se viene accertato un determinato processo patologico, come un’anomalia o una malformazione del nascituro che comporti un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna.

Questi processi patologici devono essere accertati da un medico del servizio ostetrico-ginecologico dell’ente ospedaliero in cui si vuole praticare l’aborto. Il medico deve fornire la documentazione e comunicare la sua certificazione al direttore sanitario dell’ospedale per fare un intervento immediato.

Si può abortire al pronto soccorso?

Come abbiamo visto, la legge prevede una precisa procedura per interrompere una gravidanza. Se ne deduce che l’aborto al pronto soccorso è vietato.

A scanso di equivoci, la normativa precisa che, nei primi 90 giorni dal concepimento, l’interruzione della gravidanza è praticata da un medico del servizio ostetrico-ginecologico presso:

  • un ospedale generale;
  • gli ospedali pubblici specializzati;
  • gli istituti ed enti indicati dalla legge [2];
  • case di cura autorizzate dalla Regione, fornite di requisiti igienico-sanitari e di adeguati servizi ostetrico-ginecologici.

Il ministro della Sanità può limitare la facoltà delle case di cura autorizzate a praticare l’aborto, stabilendo:

  • la percentuale degli interventi che potranno avere luogo, in rapporto al totale degli interventi chirurgici eseguiti nell’anno precedente presso la stessa casa di cura;
  • la percentuale dei giorni di degenza consentiti per gli interventi di interruzione della gravidanza, rispetto al totale dei giorni di degenza che nell’anno precedente si sono avuti in relazione alle convenzioni con la regione.

Tali soglie dovranno essere non inferiori al 20% e uguali per tutte le case di cura.

Nei primi 90 giorni, inoltre, l’aborto può essere praticato, dopo la costituzione delle unità socio-sanitarie locali, presso poliambulatori pubblici adeguatamente attrezzati, funzionalmente collegati agli ospedali ed autorizzati dalla Regione.

Nulla è detto, quindi, a proposito del pronto soccorso. Significa, come detto all’inizio, che una donna non può presentarsi in quel reparto pretendendo che le venga praticato l’aborto per il solo desiderio di interrompere una gravidanza, ma dovrà seguire la procedura che abbiamo spiegato e che ha stabilito la legge.

 
Pubblicato : 6 Marzo 2023 17:45