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A quanto ammonta il risarcimento per demansionamento

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(@angelo-greco)
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Regole ed eccezioni sul demansionamento: cosa spetta al lavoratore adibito a mansioni inferiori e come si quantifica il risarcimento.

Il demansionamento, ovvero l’adibizione a mansioni inferiori rispetto a quelle per le quali si è stati assunti, è un tema delicato nel diritto del lavoro che suscita numerosi interrogativi: quando è legittimo assegnare il lavoratore a compiti diversi e più degradanti? A quanto ammonta il risarcimento per demansionamento?

Il fenomeno è molto più frequente di quanto non si possa credere. Spesso, dietro di esso, si nasconde un atto di mobbing, altre volte invece il tentativo di coprire dei posti rimasti vacanti senza procedere all’assunzione di nuovo personale.

Di fatto, secondo la Cassazione, esistono dei casi in cui il demansionamento è legittimo ed altri invece in cui non lo è.

Ma procediamo con ordine.

Perché il demansionamento è illegittimo?

Il demansionamento è vietato in quanto lesivo della professionalità acquisita dal lavoratore, salvo nel caso in cui il datore provveda a modificare gli assetti organizzativi aziendali o quando previsto dai contratti collettivi. In questi casi, le nuove mansioni possono appartenere al livello di inquadramento immediatamente inferiore, ma devono rientrare nella medesima categoria legale.

Quando il demansionamento è considerato legittimo?

Il demansionamento è legittimo in diverse situazioni, tra cui:

  • assegnazione a mansioni inferiori che rimangono nell’ambito di competenza del lavoratore;
  • riclassamento del personale a seguito di un nuovo Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL);
  • Assegnazione a mansioni diverse dopo un rifiuto del lavoratore di accettare posizioni lavorative offerte dalla società;
  • adibizione temporanea a mansioni di scarsa tecnicità che non compromettano la professionalità del lavoratore.

In tali ipotesi, il datore di lavoro deve comunicare al lavoratore l’assegnazione a mansioni inferiori in forma scritta, a pena di nullità della comunicazione.

Quali diritti ha il lavoratore in caso di demansionamento legittimo?

In caso di demansionamento legittimo, il lavoratore mantiene il livello di inquadramento e il trattamento retributivo precedentemente riconosciuto, esclusi gli elementi retributivi legati a particolari modalità di esecuzione del lavoro svolto in precedenza.

Quando il demansionamento è considerato illegittimo?

Il demansionamento è considerato illegittimo se il datore di lavoro assegna al lavoratore mansioni inferiori in assenza dei casi sopra indicati. In tali ipotesi, il lavoratore può chiedere il riconoscimento della qualifica corretta e, in casi gravi, dimettersi per giusta causa. Le dimissioni per giusta causa danno diritto a:

  • ultime retribuzioni maturate e TFR;
  • ratei di tredicesima e quattordicesima;
  • indennità di mancato preavviso;
  • risarcimento del danno;
  • Naspi (assegno di disoccupazione).

È legittimo il rifiuto del lavoratore di svolgere nuove mansioni?

Il rifiuto del lavoratore di svolgere nuove mansioni è legittimo solo se proporzionato e conforme a buona fede. Il lavoratore non può rifiutarsi di eseguire la prestazione richiesta senza avallo giudiziario, se il datore di lavoro adempie gli altri obblighi contrattuali. La valutazione della proporzionalità del rifiuto spetta al giudice.

La buona fede nel rifiuto della prestazione lavorativa si valuta in base alla ragionevolezza e logica del comportamento del lavoratore, che deve essere proporzionato all’inadempimento del datore di lavoro e rispettoso dei principi di correttezza e lealtà. La valutazione spetta al giudice in caso di controversia.

A quanto ammonta il risarcimento per demansionamento

Nell’ipotesi in cui il dipendente venga demansionato e recrimini il ripristino delle mansioni iniziali, è dovuto il risarcimento del danno secondo la quantificazione effettuata dalla Cassazione.

Secondo la Suprema Corte, al danno al lavoratore demansionato spetta innanzitutto il risarcimento del danno patrimoniale, quello cioè per l’impoverimento della professionalità con connessa “perdita di chances”. Questo ammonta al 25% della retribuzione mensile per i mesi per i quali è stato demansionato.

Tale risarcimento è tassato secondo la normale aliquota Irpef a cui è soggetto il lavoratore.

Per esempio, se il lavoratore prende 2.000 euro al mese, il 25% saranno 500 euro che andranno moltiplicati per i mesi durante i quali è stato demansionato.

È poi dovuto il risarcimento del danno biologico (Cass. sent. n. 8615/2023) purché medicalmente accertabile, esistenziale, morale o collegato al pregiudizio all’immagine.

Tale risarcimento del danno non patrimoniale non è invece tassato.

 
Pubblicato : 11 Dicembre 2023 17:30