Tajani si gioca la sopravvivenza politica alle europee (e deve temere le ambizioni di Meloni)
La sopravvivenza politica a volte prevale su ogni altra considerazione. Se poi il partito che si guida è ammaccato e non gode di grande salute, allora il leader deve guardarsi da tutti. Nel caso di Antonio Tajani, i nemici sono tanti, compresi gli alleati del centrodestra. Orfano di Silvio Berlusconi e appeso ancora al finanziamento di Piersilvio e Marina, Forza Italia è la preda predestinata di Matteo Renzi e Carlo Calenda, i centristi divisi che guardano a quell’area politica. Ma il ministro degli Esteri deve guardarsi pure da Giorgia Meloni, che alle elezioni europee vuole espandere il ventisei per cento ottenuto alle politiche 2022. Punta dritta al trenta per cento per mettere a tacere le velleità della sinistra, tarpare le ali a Elly Schelin, consolidare il suo potere e presentarsi al gran ballo di Bruxelles in grande spolvero. Un risultato elettorale tondo che faccia pure abbassare la cresta a Matteo Salvini e all’ultradestra che vuole portarsi dietro al Parlamento europeo.
L’obiettivo di Meloni è fare di Fratelli d’Italia il primo partito in Europa o tra i più votati. Magari contendendo il primato a Rassemblement National per poi chiedere a Marine Le Pen di partecipare a una maggioranza parlamentare che faccia blocco su questioni come l’immigrazione e la transizione ambientale. Ma allo stesso tempo di lasciarla lavorare nella Commissione europea con un commissario italiano. Un’acrobazia, come abbiamo scritto nei giorni scorsi, che nella testa di Meloni si basa anche sulla (malaugurata) previsione che Madame Le Pen possa essere la prossima inquilina dell’Eliseo al posto di Emanuel Macron. Per qualunque acrobazia o tentativo di tenere insieme un pezzo ampio di destra europea (epurato dai più estremisti), ma che comprenda pure leghisti, Meloni ha bisogno di più voti. E dove può raschiarli se non nell’opinione pubblica di centrodestra?
Già si è presa una bella fetta di voti tradizionalmente berlusconiani, ora alle europee vuole continuare a cannibalizzare sempre in quell’area di centro. Senza lasciare praterie al leader del Carroccio. È un’operazione di potere a “360 gradi” come direbbe lei stessa. Ora, mentre Salvini ha diverse frecce nella faretra (immigrazione, lavori pubblici, legge e ordine, balneari), Tajani è a corto di argomenti forti. Fare un brutto o esangue bottino elettorale, sarebbe esiziale per il ministro degli Esteri, soprattutto nel palcoscenico europeo dove ha molti amici nel Partito Popolare e ha costruito tutta la sua carriera politica (Commissario europeo, presidente dell’Europarlamento). Quando per esempio si tratterà decidere chi sarà il commissario italiano che sostituirà Paolo Gentiloni, la sua voce sarà debolissima se Forza Italia non dovesse almeno confermare le percentuali delle politiche (otto per cento). E debolissima, più di oggi, in tutte le scelte che il governo dovrà fare nel 2024.
Allora per Tajani di primum vivere, anzi sopravvivere, a tutti i costi. Per questo nell’intervista di ieri alla Stampa ha sconsigliato la candidatura dei leader del centrodestra. Il conto delle preferenze rispetto a quelle che prenderà Meloni sarebbe impietoso. Lo sarebbe anche per Salvini. Tajani sa che anche il leghista vuole evitare di fare una brutta figura: vuole anche evitare di far emergere il tonfo che avrebbe in particolare al Sud e al Centro. E probabilmente anche al Nord, preferendo infatti che a guidare le liste del Carroccio siano i governatori, Luca Zaia in testa. Per inciso, al doge la sfida europea non interessa, ma se non passa il terzo mandato alle regionali potrebbe percorrere questa via d’uscita – con la conseguenza, sciagurata per Salvini, di lasciare il posto a un esponete di Fratelli d’Italia. Il braccio di ferro sulle candidature alle regionali dei prossimi mesi, anche quella della Sardegna, nasconde il boccone grosso del Veneto il prossimo anno. Meloni non vuole farselo sfuggire e per Salvini perdere il Veneto, con tutto ciò che comporta in termini di potere politico ed economico, sarebbe mortale.
Insomma, gli alleati devono guardarsi le spalle perché la Sorella di Palazzo Chigi non fa sconti a nessun vassallo. Per questo Tajani, avendo capito la mala parata, dice: «O ci candidiamo tutti o non si candida nessuno». E, nell’intervista alla Stampa, precisa: «Se si candidano nello stesso momento la premier e i due vicepremier, credo ci sia il rischio che si perdano di vista le priorità del governo. E inoltre: io mi sono candidato cinque volte in Europa, non mi spaventa questo appuntamento elettorale, ma c’è prima il Congresso di Forza Italia da affrontare, e devo farlo con responsabilità».
Berlusconi non aveva di questi problemi. Del problema congressuale men che meno, non avendone celebrato mai uno. Di candidarsi non aveva paura. Tajani invece rischia l’osso del collo, anche la leadership di Forza Italia. Allora gioca la carta della tenuta del governo, del lavoro che il premier e i vicepremier sono chiamati a fare.
È il messaggio che il ministro degli Esteri recapita a Meloni, prima del vertice a tre per decidere se i leader dovranno candidarsi. Il problema è che alla premier conviene candidarsi, agli altri due no. E se lei dovesse dire fate quello che volete che io mi candido lo stesso? La politica cannibale ha sempre fame.
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