Perché sempre più treni merci in Europa stanno prendendo fuoco
«La sicurezza della circolazione ferroviaria, dei lavoratori e della popolazione è stata messa a repentaglio da un uso indiscriminato di una tipologia di freni che, ancora oggi, vengono impiegati malgrado gli eventi di allarme e rischio». Gli eventi di allarme e rischio, sono traducibili in: possono prendere fuoco. È quanto emerge dall’esposto sulla normativa Ue “Noise Tsi” – riduzione del rumore generato dai treni – presentato dalla sezione trasporti della Confederazione Unitaria di Base (Cub) alla Commissione Europea e all’Agenzia per la sicurezza ferroviaria europea (Era) più di un anno fa, il 31 gennaio 2022. E che ad oggi non ha ancora ricevuto risposta. Solo in Italia, questo problema che riguarda le suole dei treni merci – per intendersi sono tipo le bacchette per i freni della bicicletta – si è verificato anche recentemente, il 3 febbraio del 2023.
A Viareggio in provincia di Lucca, dove nell’incidente ferroviario del 29 giugno 2009 persero la vita 32 persone a seguito del deragliamento di un treno trasportante Gpl partito da Trecate in provincia Novara e diretto a Gricignano in provincia di Caserta, l’impianto frenante di due vagoni di un merci appena arrivato in stazione si è surriscaldato e ha dato vita a un principio di incendio subito domato dai vigili del fuoco. Il rischio è stato alto. Il treno era partito dalla vicina Livorno ed era diretto a Volpiano in provincia di Torino. Tra il 2019 e il 2021 questo tipo di incidenti si era verificato addirittura più di 40 volte compreso l’incidente di Sarzana (La Spezia) del 22 ottobre 2021 quando un treno trasportante 951 tonnellate di Gpl ha visto prima surriscaldarsi e poi prendere fuoco il suo impianto frenante rischiando una catastrofe.
Non è un problema nato oggi. In Europa è accaduto molte volte e sempre sui treni che sulla rete ferroviaria europea trasportano materiali come Gpl, prodotti chimici, metallici, petroliferi o scorie nucleari per citarne qualcuno. Nel 2016 in Olanda si è rischiato altrettanto quando un treno merci trasportante Gpl ha proseguito la sua corsa per circa 6 chilometri con i freni che prendevano fuoco e rischiando di deragliare. L’Era all’epoca ha indicato come causa l’errore umano in fase di progettazione mentre per l’agenzia ferroviaria olandese (Ilt) la colpa era della nuova suola che ha sostituito quella in ghisa. Gli esempi da fare sarebbero numerosi. E tutti riguardanti incendi, principi di incendio, fusione dei freni alla ruota e deragliamenti. E nel momento in cui, per accelerare la transizione verde e migliorare la qualità dell’aria, il traffico delle merci su rotaia in Europa è destinato a raddoppiare nel giro di pochi anni passando dalle attuali 420 miliardi tonnellate per chilometro ai mille miliardi preventivati per il 2030 e considerando che quotidianamente questi treni attraversano paesi e città, non è una bella notizia.
Il problema freni: meno rumore e sicurezza “sulla percezione”.
L’8 luglio del 2008 la Commissione al Parlamento europeo – misure antirumore per il parco rotabile esistente, affermò che «il rumore è una delle più diffuse minacce alla salute pubblica nei paesi» specificando che la rumorosità del traffico ferroviario interessa almeno 12 milioni di abitanti dell’Unione Europea durante il giorno e 9 milioni durante la notte, principalmente distribuiti in Germania, Svizzera e Italia. Per provare a risolvere il problema ha poi erogato cospicui sussidi economici agli stati dell’UE per sostituire le suole in ghisa – che irruvidiscono la superficie della ruota in fase di frenatura generando rumore e vibrazioni – con equivalenti più silenziosi realizzati in materiale organico o sinterizzato, ovvero polvere metallica compressa. Il regolamento UE 1304 del 2014 ha reso poi obbligatorio questo cambio. Le suole da poter utilizzare in sostituzione di quelle in ghisa sono di 3 tipi: una chiamata di tipo K e due di tipo LL che differiscono tra loro per composizione.
La suola di tipo K ha caratteristiche molto simili a quelle in ghisa anche nel consumo, dà un maggior risultato nel contenimento del rumore ma necessita di adattare le ruote ai carri e risulta più costosa nel complesso di quelle LL. Quelle LL sono compatibili con la struttura di quelle in ghisa e, seppur più costose singolarmente rispetto alle K, risultano nel complesso più economiche visto che non necessitano di adattare le ruote. Come le cialde compatibili per le macchine del caffè. La maggior parte delle imprese europee ha scelto di dotare i propri carri con le suole LL sia per costi che per adattabilità. Il problema è che, come si legge nell’esposto, «la suola in ghisa ha come difetto principale il rumore mentre nelle suole anti-rumore K e LL si verificano problematiche non solo nella mescola ma anche nel tipo K o LL, meno nella prima, maggiori nella seconda. Alcune di queste problematiche investono il surriscaldamento/incendi, una bassa efficacia in fase di frenatura a basse velocità e l’elevato consumo della ruota».
Anche Ansfisa, l’Agenzia italiana per la sicurezza, ha confermato il problema. Il 29 ottobre 2021, pochi giorni dopo l’incidente di Sarzana, seguendo quanto fatto nel 2017 dall’autorità olandese e nello stesso anno da quella svedese, ha inviato un avviso di sicurezza all’Agenzia europea e il 2 novembre ha emanato una direttiva che imponeva varie accortezze per i treni merci che montavano suole LL di tipo organico tra cui una sensibile riduzione della velocità massima per quelli che viaggiavano in Italia: fino a 60 chilometri orari se trasportanti sostanze pericolose. Il 24 gennaio 2022, FerCargo, associazione imprese ferroviarie private italiane, prese posizione. «Va assolutamente risolto il nodo della drastica riduzione dei limiti di velocità imposti da Ansfisa», ha scritto in un comunicato Emanuele Vender, componente del consiglio direttivo, puntualizzando che le scelte dell’agenzia erano «eccessivamente conservative e non corroborate da adeguate giustificazioni tecniche o scientifiche» e che «la sicurezza è il fattore più importante e facciamo di tutto per migliorarla però non si può non tenere conto che i livelli di sicurezza in ferrovia sono già molto più alti che nell’autotrasporto. Ogni ulteriore restrizione, non giustificata, rischia di spostare merci sulla strada».
Il 10 febbraio 2022 i limiti d’urgenza imposti da Ansfisa sono stati annullati da nuove disposizioni date dalla stessa Era. L’Agenzia europea – che non sembra abbia intenzione di mettere in discussione l’utilizzo delle nuove suole – ha eliminato la riduzione di velocità e, tra le varie cose, richiesto alle imprese ferroviarie di monitorare l’esecuzione delle prove dei freni e porre attenzione al comportamento dei propri macchinisti mentre ai gestori, oltre all’aumento del personale di controllo nelle stazioni in attesa di un miglioramento tecnologico, l’abbassamento delle soglie di allarme dei sistemi che rilevano la temperatura dei freni dei convogli facendoli così scattare prima. «L’unica soluzione adottata dalle imprese ferroviarie, d’accordo con Ansfisa – si legge in un comunicato del Cub del 19 maggio 2022 – è aver attribuito ai macchinisti ogni responsabilità tramite il ‘Test di avviamento’. Nessun dispositivo tecnologico verrà adottato sui carri per registrare anomalie. Non ci sarà nessuna implementazione di personale nelle stazioni. La ‘prevenzione’ e qualsiasi evento negativo che riguarderà le suole LL sono calibrati unicamente sul test di avviamento, il quale consiste nel ‘percepire la presenza di eventuali rumori anomali o sensibili riduzioni di velocità».
Stando allo studio presente nell’esposto, dove hanno analizzato svariati eventi con surriscaldamento delle suole LL, nel 79,3 per cento dei casi i treni sono stati fermati grazie al fattore umano come gli stessi macchinisti o personale in stazione e sui binari. «Tante stazioni oggi sono automatizzate – spiega l’ex capostazione Rossana Pezzini – e questo fa diminuire l’intervento umano e di riflesso la sicurezza. È un processo di riduzione del personale iniziato anni fa per risparmiare, lasciando tante stazioni controllate a distanza. Già quando accadde l’incidente di Viareggio se ne sentì il peso: fossero state presidiate le stazioni precedenti, probabilmente quel treno sarebbe stato fermato prima». Ad oggi, le stazioni italiane presenziate – che hanno in genere presenze fisiche come il capostazione – sono circa una ogni 40 chilometri. Per il resto, a parte sporadici casi, sono gestite in remoto dalle stazioni centrali operative limitrofe.
In UE diminuiscono gli incidenti ma alcuni dati potrebbero essere taroccati
Problema delle suole a parte, dal 2009 ad oggi, si sono succeduti decine di incidenti di merci sulle linee europee, spesso di carattere internazionale. Nel solo 2010 i dati forniti dall’Agenzia per la sicurezza ferroviaria europea parlavano di 2230 incidenti gravi tra treni passeggeri e merci avvenuti in Europa con 1245 morti e 1226 feriti. Molti di più rispetto a quelli registrati nel 2020, dieci anni dopo, quando secondo il Report on Railway Safety and Interoperability in the EU 2022 si sono verificati 1331 incidenti significativi che hanno causato 687 morti, 469 feriti gravi e in 17 casi hanno comportato il rilascio delle sostanze pericolose trasportate oltre a costare, nel totale, 3,2 miliardi di euro come sottolineato nel rapporto. In Italia nel 2010 gli incidenti significativi sono stati 103 e hanno causato 71 morti mentre nel 2020, 89 incidenti gravi hanno causato 68 decessi. Nel mezzo, non vanno dimenticati i tragici incidenti come quello di Andria e Corato del 12 luglio 2016 quando la collisione tra due treni causò la morte di 23 persone e ne ferì 57, o quello di Pioltello del 25 gennaio 2018, dove il deragliamento di un regionale causò 3 morti e 46 feriti. «Gli incidenti ferroviari in Italia sono in costante diminuzione – afferma Pierluigi Giovanni Navone, dirigente di Ansfisa – Per fare un esempio dal 2014 al 2017 sono calati del 28 per cento e dal 2017 al 2020 sono diminuiti del 10 per cento. Anche i dati preliminari relativi al 2021 ci prospettano un panorama confortante. Possiamo dire che da Viareggio a oggi è aumentata la consapevolezza degli operatori ferroviari».
Nonostante i dati statistici generali sembrino in miglioramento, nel rapporto stilato dall’Era spicca un dato: l’Italia è tra i paesi col maggior numero di incidenti precursori avvenuti nel quadriennio 2016-2020. Nello specifico questi incidenti sono guasti alla segnaletica, ruote, rotaie deformate, disallineate o assi rotti e simili che sono chiamati precursori perché è stato stimato che tra i 7 e 17 di questo tipo, ne accada uno grave. In tutta Europa di precursori se ne sono contati più di 12mila. Per farvi capire l’impatto che ha l’Italia su questa classifica e il loro aumento esponenziale, nel 2010 i precursori furono 958. Nel 2020, 3732 stando al rapporto presente sul sito di Ansfisa. La maggior parte di questi, riguardanti binari rotti, deformati o disallineati. I freni che prendono fuoco, non sono presenti nelle voci.
Va detto che è plausibile, come sottolineato nel rapporto dalla stessa Era, che alcuni paesi possano dare indicazioni al ribasso in merito ai precursori e che i dati italiani potrebbero essere in linea se non migliori di quelli di altri stati: «La sottosegnalazione – si legge – non è infrequente nel caso di incidenti in generale e per alcuni precursori di incidenti in particolare». E questo potrebbe aprire un paragrafo inquietante sulla attendibilità dei dati forniti dai vari paesi europei e porre il quesito di come sia possibile che l’Italia sia, numeri alla mano, tra i paesi più sicuri d’Europa per gli incidenti gravi e tristemente in vetta nelle statistiche degli incidenti non significativi con ampio margine di ‘vantaggio’ su stati come Grecia, Romania e Portogallo, paesi in testa alla classifica del maggior numero di incidenti mortali conseguiti sulle proprie linee nel biennio 2018-2020 rispetto ai milioni di chilometri percorsi. Se è stato stimato che ogni tot di precursori ne accada uno grave, è quantomeno strano e singolare che negli altri paesi europei accadano pochissimi incidenti ‘avvisatori’ e solo incidenti con epiloghi drammatici.
«A differenza dell’industria aeronautica e marittima – precisa Josef Doppelbauer, direttore esecutivo di Era – le ferrovie non hanno ancora un modo sistematico di segnalazione degli eventi di sicurezza in tutta l’UE che ci consentirebbe di imparare non solo dagli incidenti gravi, ma anche da quelli senza vittime. Diverse aree in cui la sicurezza ha ristagnato, come sicurezza dei lavoratori, passaggi a livello o incendi del materiale rotabile, trarrebbero beneficio da una più ampia segnalazione e condivisione di informazioni tra paesi». Se vi chiedete perché questo tipo di incidenti potrebbero non essere segnalati dagli altri paesi, l’eventuale beneficio della non segnalazione sarebbe in teoria multiplo. In prima battuta registrarli li obbligherebbe a inserirli nel sistema gestione sicurezza con la conseguenza di dover prendere provvedimenti concreti e tracciabili monitorandone nel tempo l’efficacia. Poi ci sarebbero eventuali ritorni di immagine dati dal minor numero di incidenti, vantaggi sulle polizze assicurative e allo stesso tempo farebbe scendere la possibilità di responsabilità future in caso di incidenti “prevedibili”.
La situazione nel resto d’Europa e una possibile soluzione
Per quanto riguarda gli incidenti gravi, l’Italia è in una miglior luce rispetto alla“locomotiva d’Europa” Germania che ha chiuso il 2020 con 160 morti, circa un quarto di quelli avvenuti in tutta l’UE. «In Germania – spiegano dal sindacato dei trasporti e delle ferrovie tedesco (EVG) – c’è un problema con l’abuso di contratti subappaltati. Questo mette in competizione i lavoratori incidendo su orari e rispetto degli stessi, esponendo tutti a pericoli». Non se la passerebbero bene nemmeno in Francia che nel 2020 ha registrato 105 incidenti gravi, causa di 44 morti. Nell’ottobre 2022 la giustizia francese ha condannato la SNCF, società nazionale delle ferrovie francesi, a pagare una multa di 300mila euro per gravi mancanze nella gestione della linea nell’incidente di Brétigny-surOrge in cui il 12 luglio 2013 deragliò un Intercités causando la morte di 7 persone e più di 400 feriti.
«Qualcosa non va sulla rete francese ed europea – sottolinea Thierry Gomes, presidente dell’associazione dei familiari delle vittime di Brètigny (Edvcb) – sembra che il lucro e non la sicurezza sia la cosa più importante». La maglia nera europea rispetto al numero di persone che hanno perso la vita in relazione ai chilometri percorsi nel decennio 2010-2020, va invece alla Spagna che nel 2013 registrò il tragico incidente avvenuto a 3 chilometri dalla stazione di Santiago de Compostela dove un treno con 222 persone a bordo deragliò, comportando la morte di 79 persone. Secondo Giorgio Tuti, presidente della sezione ferroviaria della Etf, la federazione europea dei lavoratori dei trasporti, i problemi in Europa sarebbero dovuti alla «concorrenza spietata che fa scendere i costi in un primo momento ma poi li fa aumentare perché abbassa la qualità» e che insieme alla liberalizzazione «porta situazioni di pressione su investimenti e manutenzione del materiale e dei binari».
Restando sui binari, analizzando i dati, molti dei più gravi incidenti ferroviari accaduti negli ultimi anni in Europa, sono stati spesso dovuti a deragliamenti. Un modo per evitare o rendere meno gravi questo tipo di incidenti, potrebbe essere l’installazione dei rilevatori di deragliamento sui vagoni. In pratica si tratta di un meccanismo che impedisce al treno di deragliare e si attiva immediatamente bloccando tutti i suoi componenti se rileva movimenti anomali. In Svizzera è già presente su molti treni dal 1999 e dalla fine del 2018 è obbligatorio sui merci che portano sostanze pericolose come il cloro in aggiunta a una velocità massima di 40 chilometri orari. A giugno 2022, l’associazione Il Mondo che Vorrei composta dai familiari delle vittime dell’incidente di Viareggio insieme ai sindacati ha sfruttato la finestra aperta dall’Era in cui le parti sociali potevano proporre modifiche sulle condizioni di lavoro ferroviarie e ha presentato la proposta di rendere obbligatorio il rilevatore entro un anno sui treni che portano sostanze pericolose e due anni su tutti i merci.
«È un meccanismo che costa meno di 800 euro – spiega Marco Piagentini, presidente dell’associazione – non ha bisogno di accorgimenti tecnologici e aumenta la sicurezza in modo esponenziale. Per capirsi funziona come i vecchi flipper che si bloccavano se mossi in modo inconsueto. Fosse già stato in uso, tanti incidenti si sarebbero evitati. Vogliamo salvare vite, per questo vogliamo che il rilevatore di deragliamento sia obbligatorio. Speriamo ci ascoltino».
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