Mille sfumature di legumi
Si parla tanto di proteine alternative a quelle animali, di cambio di rotta nell’alimentazione e di sostenibilità del pianeta. E spesso lo facciamo volgendo sguardi e attenzione solo verso le soluzione più tecnologiche e contemporanee del cibo, come per esempio le proteine derivanti dagli insetti o dalla carne coltivata in laboratorio. Dimenticandoci invece che assumere il quantitativo quotidiano corretto di proteine non implica necessariamente il consumo di carne, pesce o latticini. I legumi possono essere la soluzione e, senza dubbio, rappresentano quella che sarà l’alimentazione del futuro, nonostante in realtà facciano parte di una tradizione storica e cultura appartenente alla generazione dei nostri avi. Pare infatti che nel ‘700 avessero un valore anche economico. Lo vogliamo ricordare proprio oggi che si celebra la loro giornata mondiale. Una giornata istituita per volere delle Nazioni Unite e promossa dalla Fao, che mira a rendere i consumatori più consapevoli a tavola e consci di quello che è un sistema agroalimentare sostenibile.
Da qualche anno Slow Food Italia e Slow Food Youth Network, il ramo che riunisce i giovani del movimento internazionale, partecipano attivo, attraverso l’iniziativa Aggiungi un legume a tavola, grazie alla quale 160 cuochi dell’Alleanza Slow Food di ogni regione italiana in questa data creano dei menu ad hoc, cercando di valorizzare i legumi, partendo anche da quelli meno noti, protagonisti di antiche ricette tradizionali.
Il tema scelto dalla Fao per l’edizione di quest’anno è particolarmente evocativo. I legumi: nutrimento per il suolo e per le persone. Un modo per far capire nell’immediato quanto il consumo di questa tipologia di alimento possa far bene alla salute non solo degli esseri umani, ma anche al pianeta. A patto però di rispettare le buone pratiche agricole, in grado di preservare le colture senza sfruttamenti eccessivi. Il rischio, infatti, è quello di perdersi per strada alcuni legumi, che ormai sono a rischio di estinzione proprio perché la loro cultura non è redditizia come altre; è il caso per esempio dei ceci neri della Murgia, un tempo usati come ricostituito per le donne in gravidanza e portati anche in orbita da Samantha Cristoforetti in una delle sue ultime missioni.
D’altronde il nostro paese possiede una varietà di legumi tali da poter riuscire a variarne il consumo giorno dopo giorno, andando a costruire un’alimentazione sana ed equilibrata. D’altronde le linee guida ci suggeriscono di inserirli nella data almeno quattro volte alla settimana. E così, accanto ai più famosi fagioli borlotti, lenticchie e piselli, abbiamo un ventaglio infinito di possibilità per gustare legumi con storie antiche quanto i nostri avi e ormai rari da trovare al mercato.
Tra quelli più particolari ci sono i lupini, citati addirittura dal capolavoro letterario di Giovanni Verga, I Malavoglia: oggi li conosciamo soprattutto perché vengono consumati come snack, ma non tutti sanno che da alcuni lupini, quelli altoatesini della Val di Fiemme si può preparare una bevanda simile al caffè, ma ovviamente priva di caffeina: questa varietà è stata recuperata una ventina di anni fa, grazie ad un’azienda agricola che ancora custodiva alcuni semi di questo raro legume.
In Val d’Aosta c’è invece un piccolissimo paesino di tremila anime in cui si coltivano ancora dei fagioli e delle fave particolari, che prendono il nome proprio dal loro luogo di origine, Nus. Così come sono famosi anche i Fagioli di Cuneo, riconosciuti con il marchio I.G.P., quelli lombardi della Val Vestino e di Brebbia, quelli trentini chiamati fagioli dei frati, salvati dall’estinzione qualche non fa dall’impegno di un gruppo di agricoltori, e i fagioli di Lemon della Vallata Bellunese, che cambiano colore in base alla terra in cui sono coltivati.
Le colline e le montagne liguri che si affacciano sul mare sono un vero spettacolo per gli occhi, ma non solo. Qui si trovano anche legumi rari e pregiati come i Mochi della Val Bormida, parenti stretti della cicerchia, dalla forma irregolare e dalla buccia bianca sporca. A Pignone, in provincia di La Spezia, un vivace villaggio di soli cinquecento abitanti, si coltiva il Fagiolo Arlecchino: la buccia si divide nettamente a metà, una parte avvolta dal bianco, l’altra impreziosita da sottili striature.
In Toscna, nel suggestivo territorio di Pescia, in provincia di Pistoia, la pregiata varietà del Fagiolo di Sorana IGP incanta con la sua forma sia schiacciata, dalla buccia perlata dal bianco a sottili striature, sia cilindrica. Mentre a Siena ci imbattiamo nella rara Fagiola di Venanzio (o Fagiola di Murlo), un legume antico dalle dimensioni ridotte e dalla sagoma piatta con la buccia candida. A Roma è possibile gustare tesori locali come i Fagioli del Purgatorio e i Fagioli di Sutri: la leggenda narra che fossero i favoriti di Carlo Magno. Mentre in provincia di Viterbo si coltivano ancora i Fagioli del Purgatorio, una varietà locale, le cui tracce si ritrovano fin dal 1600E in Umbria custodiscono un tesoro colorato ed antico: dalla Fava cottora dell’Amerino fino al Fagiolo Secondo del piano di Orvieto, passando per la Roveja di Cascia o la Lenticchia di Castelluccio di Norcia I.G.P. Proseguendo verso sud incontriamo il Cece di Cicerale in Campania, eccellenza del borgo che da generazioni raccoglie i frutti dei chicchi rotondi, e in Calabria il Fagiolo Poverello Bianco, o il Fiocco di Neve di Capracotta in Basilicata. E in Puglia abbiamo il Cece di Cicerale, arrivato in occidente dall’Asia miglior di anni fa. Così come in Sardegna troviamo i pregiati Fagiolini Tianesi, coltivati con orgoglio dai suoi abitanti nel pittoresco paesino Tiana in provincia di Nuoro.
Un viaggio questo alla scoperta di una mappa ricca e frastagliata di legumi che disegnano una storia antica e ricca di tradizioni. E che sarebbe bene riscoprire, nonostante anche i legumi seguano una sorta di mainstream, alla stessa stregua di altri alimenti, costringendoci ad un’omologazione gastronomica, che invece dovrebbe seguire la terra e i gusti personali.
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