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L’Italia è incapace di contrastare il sovraffollamento delle carceri

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(@david-allegranti)
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Sono passati oltre dieci anni dalla sentenza Torreggiani, adottata l’8 gennaio 2013, con la quale la Corte Europea dei diritti dell’uomo condannò l’Italia per violazione dell’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti umani (Cedu). Un caso che riguardava trattamenti inumani o degradanti subiti da sette persone detenute per molti mesi nelle carceri di Busto Arsizio e Piacenza, in celle triple e con meno di quattro metri quadrati a testa disponibili. Nel 2012/2013, prima della sentenza, nelle carceri italiane c’erano tra i sessantaduemila e i sessantacinquemila detenuti. Alla fine del 2012 il tasso di sovraffollamento era del 139,67 per cento. Dopo la condanna, il governo riuscì a far scendere la popolazione detenuta a 62.536, con un indice di affollamento del centotrentuno per cento.

Stando all’ultima rilevazione del Garante dei diritti delle persone private della libertà personale – datata 11 gennaio 2024 – attualmente i detenuti sono 60.304. Il dato purtroppo è in crescita dal 2020 a oggi. Uno studio del Garante, appena pubblicato, a cura di Emanuele Cappelli e Giovanni Suriano, analizza il sovraffollamento carcerario nei centonovanta istituti penitenziari e certifica che l’incremento, fra il dicembre del 2020 e l’ultima rilevazione, è di 8.031 persone. A fine 2020 i detenuti erano 52.273, a fine 2021 erano 54.157, a fine 2022 erano 56.167, a fine 2023 erano 60.152

«Se si si escludono i soli due casi dei Provveditorati del Piemonte, Liguria e Valle D’Aosta e del Lazio, Abruzzo e Molise relativi alla rilevazione nel periodo 2021, il dato è sempre stato in progressivo aumento. Ciò malgrado i diversi provvedimenti normativi varati nello stesso periodo pandemico al fine di ridurre la popolazione carceraria con l’obiettivo del contenimento dei contagi», scrivono i due ricercatori nel loro studio, che rileva «come il maggiore aumento del numero delle presenze di persone detenute negli Istituti penitenziari si sia registrato nel 2023, un dato quantitativo (3.985) che risulta quasi raddoppiato rispetto alle differenze tra i periodi precedenti (1.884 nel 2021 e 2.010 nel 2022)».

Entrando nel merito dei singoli Provveditorati regionali, si nota che l’aumento maggiore di detenuti è avvenuto in Lombardia (+1.184), seguito dai provveditorati di Lazio, Abruzzo e Molise (+1.175), Campania (+1.158), Sicilia (+1.106), Puglia e Basilicata (+1.028 persone).

Attualmente, l’indice di sovraffollamento carcerario è del 127,48 per cento, contro il 113,18 per cento del 2020. Tra i Provveditorati che registrano il maggior divario tra la capienza e i posti disponibili si evidenziato quelli della Sicilia, del Lazio, Abruzzo e Molise e della Lombardia. Su centonovanta istituti ben centoquarantasei sono interessati dal sovraffollamento della popolazione carceraria; tra gli istituti maggiormente interessati dal fenomeno, dicono ancora i ricercatori, ben dieci appartengono al Provveditorato della Lombardia, cinque a quello della Puglia e Basilicata, quattro ricadono nel territorio di competenza del Provveditorato del Lazio, Abruzzo e Molise, tre in quello della Toscana e Umbria e due in quelli del Triveneto e dell’Emilia-Romagna e Marche.

C’è poi il caso dell’istituto maschile di “San Vittore”, che evidenzia il più alto indice di sovraffollamento. Ma «è anche quello in cui si registra la presenza di persone detenute allocate in camere di pernottamento che risultano essere al di sotto dei tre metri quadri consentiti per ciascun individuo, secondo il parametro stabilito dalla Corte europea dei diritti dell’uomo».

Una nuova condanna per l’Italia insomma non sembra essere una possibilità remota. Il governo non ha grandi soluzioni, come spiegato da Linkiesta la settimana scorsa e come poi è emerso nel corso delle comunicazioni sulla giustizia del ministro Carlo Nordio: «Per quanto riguarda la riforma dell’amministrazione penitenziaria anche qui il tema centrale è stato e sarà la sicurezza nelle carceri, tanto nell’interesse degli operatori, quanto dei detenuti. In quest’ottica, l’azione è rivolta costantemente ad ampliare gli spazi delle carceri», ha detto Nordio, ex magistrato per quarant’anni. «Voi sapete che nelle carceri tanto minore è lo spazio a disposizione, tanto è maggiore la tensione che si crea all’interno e che spesso si traduce in atti di violenza contro se stessi e contro gli altri. Mi pare di averlo già accennato a suo tempo, è un po’ una mia idea fissa. Costruire nuove carceri è difficilissimo, per tutta una serie di ragioni: per i vincoli idrogeologici, per i vincoli urbanistici, per i vincoli ambientali, per il principio del not in my back yard, che nessuno vuole un carcere vicino. L’unica possibilità che abbiamo è quella di valersi di strutture che già siano esistenti e siano compatibili con la struttura di un carcere e io ho pensato subito alle tantissime caserme dismesse che abbiamo, che sono perfettamente compatibili con ristrutturazioni relativamente diverse, soprattutto per la detenzione di imputati di reati minori».

Come ha però replicato Roberto Giachetti, deputato di Italia Viva, durante il dibattito parlamentare, l’obiettivo non dovrebbe essere ampliare gli spazi: «Le caserme sono una cosa ridicola. Come lei sa perfettamente, poi il personale per trasformare le caserme dove lo prendete? Le caserme sono tutte da rimettere in uso, perché non sono a norma. Di che cosa parliamo? Che tempi sarebbero necessari? Il problema – e lei lo sa, perché ce l’ha spiegato per mesi e per anni – è che in carcere vi è una marea di gente che non ci dovrebbe essere. Le do un suggerimento: se il problema sono gli stranieri, fate un emendamento al decreto Albania che state facendo e mandate in Albania gli stranieri, così liberiamo le carceri. È questo il livello sul quale devo risponderle per come lei ha affrontato il tema delle carceri».

C’è insomma anzitutto un problema culturale. «Il carcere non può essere il surrogato dei servizi sociali», ha detto a RomaSette il Garante dei diritti dei detenuti per la Regione Lazio, Stefano Anastasìa, tra i fondatori dell’Associazione Antigone: «Se la cultura diffusa è una cultura che pensa che le devianze sociali debbano stare in carcere, più carceri abbiamo e più ne riempiamo». Aggiunge, a Linkiesta, il filosofo del diritto Emilio Santoro: «Che il problema siano le politiche penali lo rende chiaro un dato: all’epoca della Torreggiani c’erano in esecuzione pena esterna circa la metà delle persone detenute. Oggi sono 84.610, cioè quasi una volta e mezzo i detenuti. Vuol dire che in Italia abbiamo tra le quarantamila e le cinquantamila persone in più in misura penale. Questo a fronte del fatto che secondo una ricerca del Censis del dicembre 2022, il numero di reati denunciati sono circa settecentomila in meno di quelli denunciati nel 2012».

 
Pubblicato : 25 Gennaio 2024 05:45
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