L’Europa deve seguire l’esempio dei Paesi baltici contro la Russia
«Nessuno conosce l’esatta tempistica della follia russa, ma sappiamo che l’Ucraina ci sta facendo guadagnare tempo e lo sta pagando con il sangue. Se l’Ucraina vincerà, l’espansionismo russo sarà fermato. In caso contrario, vorremmo aver usato il tempo guadagnato in modo più efficiente». Queste sono le parole del ministro degli Esteri lituano Gabrelius Landsbergis, che deve spiegare ancora una volta che tipo di minaccia la Russia rappresenti per l’Europa.
Non è sorprendente sentire queste parole da parte di un funzionario governativo lituano, ma è piuttosto sorprendente rendersi conto che gli Stati baltici continuano a essere un’eccezione nel loro costante e chiaro sostegno all’Ucraina. L’eccezione di Estonia, Lettonia e Lituania era chiara già nel 2008, al momento dell’aggressione russa contro la Georgia – quando l’Unione europea si astenne dall’imporre sanzioni alla Russia. Se gli altri Stati membri dell’Unione europea avessero ascoltato i loro avvertimenti e avessero assunto una posizione più ferma contro la Russia nel 2008, avrebbero potuto prevenire l’aggressione russa nel 2014 e nel 2022. Ora che Vladimir Putin ha mostrato il suo vero volto imperialistico attaccando l’Ucraina – il prossimo 24 febbraio saranno due anni – dobbiamo davvero imparare ad ascoltare questi tre Paesi.
Prima di tutto, l’Unione europea dovrebbe essere chiara nella sua comunicazione e dichiarare apertamente il suo desiderio che l’Ucraina vinca la guerra: non c’è tempo per essere vaghi e per combattere senza indicare obiettivi chiari e dare tutto ciò che serve per il raggiungimento di quegli obiettivi.
Sulla pagina X – ex Twitter – di Landsbergis c’è un’immagine con una scritta: le parole “as long as it takes” sono state cancellate, al loro posto c’è “whatever victory takes”. Il ministro Landsbergis parla molto chiaramente e fornisce un esempio pratico di cosa occorre a Kyjiv per la vittoria. Confronta i recenti ordini della Polonia per la sua difesa con la quantità di equipaggiamento che il mondo ha fornito all’Ucraina. I numeri parlano da soli: milletrecentocinquanta carri armati polacchi contro centotrenta carri armati ucraini, quattrocentosessantotto Himars polacchi contro venti Himars ucraini, novantasei contro zero elicotteri e settantasei contro zero caccia a reazione. «Tenendo conto che l’Ucraina ha dimensioni simili alla Polonia e una popolazione simile, se la Polonia pensa che siano necessari più di mille carri armati e centinaia di Himars per difenderesi allora perché chiediamo agli ucraini di liberare il territorio con meno di un decimo di questi mezzi? “Whatever victory takes” è molto, molto di più di quanto abbiamo dato», dice lo stesso Landsbergis.
Un italiano potrebbe dire che i lituani stanno esagerando, ma i lituani ricordano ancora quel 13 gennaio 1991 commemorato come la “Giornata dei difensori della libertà”. Per sintetizzare il significato di questa giornata, basta dire che l’11 marzo 1990 è il giorno in cui il Consiglio Supremo della Repubblica di Lituania dichiarò l’indipendenza, e nel 1991 quando l’Unione Sovietica non poté più contrastare questa decisione, le unità militari sovietiche cercarono di impadronirsi della torre televisiva di Vilnius. Per proteggerla pacificamente, i manifestanti lituani formarono uno scudo umano, ma durante l’attacco delle truppe sovietiche alla torre televisiva quattordici persone innocenti persero la vita e quasi mille rimasero ferite. Nel trentesimo anniversario della Giornata dei difensori della libertà in Lituania nel 2021, Ursula von der Leyen ha ricordato che «la nostra Unione è in debito con i difensori della libertà della Lituania. Perché l’Europa di oggi sarebbe diversa senza il loro coraggio». Si potrebbe dire che l’Unione europea sarebbe diversa oggi se non ci fossero gli ucraini che combattono ai confini occidentali dell’Unione europea. I lituani sanno che saranno i prossimi se gli ucraini falliranno. Non a caso nel 2022 il Seimas lituano ha approvato una strategia di preparazione alla resistenza civile.
Insomma, ascoltare Estonia, Lettonia e Lituania non farebbe male, anzi aiuterebbe l’Europa a pensare alla propria sicurezza in un momento in cui l’Europa dovrebbe prepararsi a vivere in un mondo in cui la Russia proclama che «i suoi confini non hanno limiti». I Paesi baltici lo sanno meglio di altri, perché hanno vissuto forzatamente all’interno dei confini sovietici. “Whatever victory takes”, qualunque cosa serva per vincere, dovrebbe essere il mantra di tutta l’Unione europea, e non solo a parole. Ascoltiamo chi conosce il nostro nemico meglio di noi.
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