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L’economia cinese forse non raggiungerà mai quella americana

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(@gianni-balduzzi)
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È trascorso un secolo dalla pubblicazione della celebre opera di Oswald Spengler “Il tramonto dell’Occidente”, in cui si guardava alla civiltà occidentale come l’ennesima civiltà entrata in decadenza dopo quelle del passato, la romana ed ellenistica, l’araba, la cinese e altre ancora. Si tratta di un topos ripreso poi innumerevoli volte, in modo molto meno alto, da tanti intellettuali ed è entrato nella cultura di massa. A cento anni da allora il declino dell’egemonia occidentale fa parte del patrimonio di argomentazioni che sono diventate ormai luoghi comuni, soprattutto in un Paese che, come l’Italia, in declino lo è veramente.

Un secolo fa non era possibile immaginare che a rappresentare la presunta rivalsa del resto del mondo contro lOccidente sarebbe stata la Cina. È la capofila di quella strana creatura chiamata Brics, un gruppo di Paesi senza nulla in comune se non l’opposizione di facciata al mondo occidentale, e si candida a superare l’unica superpotenza rimasta dopo il 1989, gli Stati Uniti. Ma è veramente così? A guardare l‘indicatore per eccellenza, quello che nonostante le mille critiche rimane il principale punto di riferimento per misurare la forza economica di un Paese, il prodotto interno lordo, il declino occidentale dovrebbe essere rimandato ancora una volta.

Secondo il Fondo Monetario Internazionale si è fermata la convergenza, che dai primi anni Duemila era stata piuttosto veloce, tra il Prodotto interno lordo cinese e americano. Il divario tra il primo e il secondo è sceso, nel 2021, al 23,83 per cento, era del 51,97 per cento dieci anni prima e dell’87,4 per cento venti anni prima, ma ormai l‘inseguimento di Pechino sembra essersi quasi fermato. A causa di dinamiche sfavorevoli del cambio e una crescita inferiore a quella del passato il Pil cinese dovrebbe superare i ventimila miliardi di dollari correnti, che gli Stati Uniti hanno toccato nel 2018, solo nel 2026, e neanche nei prossimi anni la differenza tra le due maggiori economie del mondo dovrebbe scendere sotto il venticinque per cento.

Dati Fmi, Pil corrente e differenza tra Pil cinese e americano

Ci sono vari modi per misurare il Pil, innanzitutto mettendolo in relazione al numero di abitanti, e poi sterilizzando l’effetto delle diverse inflazioni, considerando quindi i dati a prezzi costanti. È possibile poi paragonare le diverse economie parificando, per quanto possibile, il potere d’acquisto dei singoli beni: in un Paese più povero il prezzo di alcuni, soprattutto se sono prodotti internamente, è inferiore e in relazione ai redditi in fondo questi costano come in quello più ricco. In ognuno di questi casi la distanza tra Stati Uniti e Cina rimane ampia. Il Pil pro capite corrente cinese, che di fatto non riesce quasi più a convergere verso quello americano, rimane di più dell’ottantaquattro per cento inferiore a quest’ultimo. Il gap è intorno all’ottanta per cento anche se il Pil pro capite è in termini costanti. Se lo misuriamo a parità di potere d’acquisto (Ppp), il recupero di Pechino continua e si prevede proseguirà anche in futuro e la differenza tra le due economie diminuisce, ma è e sarà comunque enorme. Che si tratti di dollari correnti o costanti parliamo oggi di un divario di circa il settanta per cento. Ci sono buoni motivi per utilizzare ognuno di questi metodi di misurazione, anche se, è giusto sottolinearlo, le classifiche internazionali usano il primo analizzato, il Pil nominale corrente.

Dati Banca Mondiale e differenza tra Pil cinese e americano

Siamo davanti a un evidente rallentamento del principale sfidante del predominio americano, a causa di un tasso di crescita sempre più simile a quello degli Stati Uniti e della vecchia Europa. Le stime ufficiali di Pechino parlano di un aumento del Pil del 5,2 per cento per il 2023, due decimali in più di quanto ha previsto il Fmi pochi mesi fa. È comunque l’incremento più basso in questo secolo dopo quelli del 2020 e del 2022 e per i prossimi anni gli analisti internazionali vedono un ulteriore peggioramento, nel 2028 sarà del 3,4 per cento. Troppo poco per un rapido aggancio degli Stati Uniti.

Dati Fmi, Pil corrente

Nel 2028 la Cina dovrebbe arrivare a un Pil pro capite corrente di poco meno di diciassettemila euro, inferiore, per capirci, a quello turco, messicano, malese, analogo a quello del Kazakhstan e della Serbia. Se lo valutassimo per parità di potere di acquisto tra quattro anni sarebbe sopra i trentunomila euro, ma rimarrebbe, per esempio, più basso di quello argentino e, soprattutto, ancora molto lontano da quello americano ed europeo.

Dati Fmi

Il punto centrale è che la Cina i prossimi anni dovrebbe raggiungere stabilmente tassi di crescita simili a quelli europei e americani degli ultimi decenni, ma a un livello di Pil pro capite che è stato superato da Unione europea e Stati Uniti da una trentina d’anni. In sostanza sta arrivando a un grado di maturità della propria economia senza avere prima agguantato un benessere paragonabile a quello dell’Occidente. È un fallimento strategico che ha alla sua base anche e soprattutto la demografia. Il dato qui è ancora più eclatante: il tasso di fertilità cinese ha subito un crollo che l’ha portato a un livello più basso di quello americano e dell’Europa occidentale, un solo figlio per donna nel 2023, nonostante il reddito pro capite, è bene ribadirlo, sia ancora molto inferiore, al livello di quello degli anni Ottanta sulle due sponde dell’Atlantico.

Non si tratta di un’eccezione, in tutta l’Asia avanzata ormai la fertilità scende a un ritmo superiore a quello occidentale, e anche quella emergente si avvia sulla stessa strada. In India, dove da poco la popolazione ha superato quella cinese e la crescita economica è superiore, si fanno non più di due figli per donna, la metà che a inizio anni novanta, non di più di quelli che venti e trent’anni fa si facevano negli Stati Uniti, dove però i redditi erano già molto più alti.

Dati Fmi e delle Nazioni Unite

Il calo della fertilità di Cina e India si accompagna a quello del ritmo di crescita della popolazione, che nel primo caso, quello cinese, recentemente è stato addirittura inferiore a quello dell’Europa Occidentale. Nel 2022 e 2023, anzi, la Cina ha perso abitanti per la prima volta da moltissimo tempo, rispettivamente ottocentocinquantamila e 2,75 milioni. Non si tratta solo delle minori nascite, ma anche dell’assenza quasi totale di un fattore che, piaccia o meno ad alcuni, ha rivitalizzato e sotto alcuni aspetti salvato l’Occidente, l’immigrazione. La Cina e l’India hanno avuto nel 2021 un tasso migratorio addirittura negativo, ovvero hanno sofferto un deflusso netto di abitanti, mentre negli Stati Uniti ed Europa occidentale è stato rispettivamente di 1,67 e 2,54 persone ogni mille abitanti. I livelli di benessere raggiunti, molto diseguali e ancora ridotti rispetto a quelli occidentali, stimolano un’intensa migrazione interna, per esempio dalla provincia alla città, ma non dall’estero.

Dati delle Nazioni Unite

Probabilmente per molti fan dei Brics questa assenza di immigrati è una virtù. Non è così, assieme alla dinamica demografica e alla discesa dei tassi di crescita economica cinese è il sintomo che il declino dell’Occidente è una chimera ancora lontana. Così come il sorpasso di Pechino su Washington, potrebbe non esserci mai, forse anche perché non contano solo i miglioramenti economici nel produrre il successo di un Paese, ma, quando si arriva a un certo livello di sviluppo, anche un modello di società.

Quello occidentale, pur tra mille difetti che in Italia conosciamo bene, è fatto di democrazia, libertà, concorrenza, libera iniziativa coniugata a coscienza sociale e non ha ancora trovato un sostituto valido in Asia. Al massimo imitatori, e chissà, se mai in Cina volessero imitarlo forse non parleremmo più di sorpasso sugli Stati Uniti e sull’Occidente, perché anche Pechino, autonomamente, senza colonizzazioni, sarebbe essa stessa un nuovo pezzo di Occidente. Ma questa per ora è utopia.

 
Pubblicato : 24 Gennaio 2024 05:45