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Le reazioni dei partiti italiani alla riconferma di Ursula von der Leyen

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(@francesco-bortoletto)
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Come tutti si aspettavano, Ursula von der Leyen è stata incoronata di nuovo alla guida della Commissione. Il Parlamento europeo, riunito in plenaria a Strasburgo, le ha dato un’ampia fiducia spianandole la strada per altri cinque anni al Berlaymont, il palazzo di Bruxelles dove ha sede l’esecutivo comunitario. È la terza volta che un presidente della Commissione fa il bis: prima era successo al socialista Jacques Delors (che di mandati in realtà ne ha fatti tre, dal 1985 al 1995) e al popolare José Manuel Barroso (2004 e 2009). 

Non senza una certa ironia, il numero di voti favorevoli raccolti dalla presidente in pectore è stato di quattrocentuno, esattamente gli stessi che vengono dalla somma dei tre gruppi che sostengono ufficialmente la “piattaforma” della sua maggioranza: i Popolari (Ppe) di centro-destra, i Socialisti (S&D) di centro-sinistra e i liberali di Renew Europe. Ma quei voti non sono arrivati tutti dalla coalizione che l’aveva sostenuta nel suo primo mandato. 

Lo scrutinio è stato segreto, dunque non si possono fare calcoli troppo precisi, ma è evidente che il gruppo dei Verdi ha fornito un appoggio fondamentale alla riconferma di von der Leyen. Sommando i cinquantatré eletti degli ambientalisti ai quattrocentouno della piattaforma, si arriva a quota quattrocentocinquantaquattro voti. Ma la politica tedesca ha raccolto quattrocentouno “sì” (tra i quali ci sono stati quelli del Partito democratico, di Forza Italia e appunto della componente ecologista di Avs): significa che ci sono stati una cinquantina abbondante di franchi tiratori tra le fila della maggioranza Ppe-S&D-Renew. 

L’apporto dei Verdi è stato dunque decisivo, dato che la soglia da superare era fissata a trecentosessanta: la metà più uno dei settecentodiciannove deputati dell’emiciclo (dovrebbero essere settecentoventi, ma l’indipendentista catalano Antoni Comín ha avuto dei problemi giuridici e non si è ancora potuto insediare).  I voti contrari sono stati duecentottantaquattro (più quindici astensioni e sette voti invalidi), tra i quali si sono registrati quelli di Fratelli d’Italia (ventiquattro eletti) e della Lega (otto deputati), nonché quelli del Movimento 5 stelle (che pure aveva votato a favore di von der Leyen cinque anni fa, risultando all’epoca decisivo). 

Tutte e tre queste delegazioni hanno rivendicato la propria scelta, a partire dai meloniani: con la riconferma del capo della Commissione: «Non viene dato seguito al forte messaggio di cambiamento uscito dalle urne del 9 giugno», ha dichiarato a caldo il capopattuglia di FdI a Strasburgo, Carlo Fidanza. Che ha giustificato il voto contrario dei suoi sulla base del fatto che le linee programmatiche presentate dalla presidente questa mattina in Aula non rappresentano quella discontinuità che invece il governo italiano si aspettava.

«Noi restiamo quello che siamo: moderati nei toni, ma estremamente fermi nei principi», gli ha fatto eco il co-capogruppo dei Conservatori (Ecr), il meloniano Nicola Procaccini, secondo cui «votare a favore di von der Leyen avrebbe significato andare contro alcuni nostri principi». Un voto di coerenza, quindi, con l’astensione di Meloni al Consiglio europeo di fine giugno. Lo ha ribadito Fidanza, per il quale «gli sconfitti del voto dell’8 e 9 giugno oggi determinano una maggioranza che non è quella che hanno chiesto i cittadini europei». Si è trattato secondo lui di «un accordo all’interno di quest’Aula, naturalmente legittimo sul piano democratico e politico, ma non è quel segnale di discontinuità che Giorgia Meloni ha ritenuto evidenziare astenendosi»il mese scorso.

L’eurodeputata leghista Susanna Ceccardi ha chiosato in questi termini l’esito del voto di oggi: «Il grande inciucio è compiuto. L’hanno voluto, l’hanno fatto. Ne risponderanno. Non a noi, che non abbiamo votato chi ha distrutto e continuerà a distruggere l’Europa. Ne risponderanno alle famiglie e alle imprese, ai cittadini che alle ultime elezioni europee hanno bocciato senza appello le politiche della maggioranza Ursula, a partire dalla follia del Green deal. Noi della Lega, noi Patrioti per l’Europa ci siamo opposti», ha continuato, «e ci opporremo anche per i prossimi cinque anni a Ursula von der Leyen e alla sua maggioranza, nel nome della democrazia, dell’Europa e delle sue Nazioni libere e sovrane»

Dal versante delle opposizioni italiane, il voto contrario è arrivato anche dai Cinquestelle e dai due eletti di Avs finiti nel gruppo dei pentastellati, la Sinistra. «Quello di von der Leyen è stato un discorso da libro dei sogni privo di contenuto», ha dichiarato alla stampa il capodelegazione del Movimento 5 stelle ed ex direttore dell’Inps Pasquale Tridico, il quale si è detto sorpreso «che per la prima volta nella storia delle elezioni dirette del Parlamento europeo abbiamo un governo in carica di un Paese fondatore, appunto il governo Meloni, che non ha votato la presidente della Commissione candidata, nella cui Commissione appunto arriverà anche un commissario italiano»

Il ragionamento, un po’ contorto, funziona così: finché si è all’opposizione si può votare contro tranquillamente, ma se si è al governo (come i grillini nel 2019) tocca sostenere i candidati per questioni di responsabilità. Insomma, la coerenza politica è una prerogativa esclusiva delle opposizioni, mentre i governi devono accaparrarsi le poltrone migliori – come quella ottenuta dall’esecutivo giallorosso cinque anni fa, cioè il commissario all’Economia nella persona del dem Paolo Gentiloni. 

Questa mossa danneggerà l’Italia? Chi a Roma sta sui banchi della minoranza ne è certo. Quella degli eurodeputati meloniani e leghisti è stata «una scelta che indebolisce il Paese e mostra una destra divisa su tutto», secondo il capodelegazione uscente del Pd a Strasburgo Brando Benifei, per il quale «il risultato netto di von der Leyen, che le dà la forza per agire con autorevolezza, potrebbe portare a indebolire l’Italia nei negoziati per formare la prossima Commissione»

Col voto di oggi tra Meloni e von der Leyen, nella sua lettura, si è verificato uno strappo: «Le loro traiettorie politiche sono ormai diverse», ha dichiarato a Linkiesta, e questo renderà più complesso muoversi in Europa per la presidente del Consiglio. Di avviso contrario Procaccini, secondo il quale l’Italia otterrà comunque un commissario di peso «perché questo è ciò che le spetta», al netto del colore politico del governo o di come votano gli eurodeputati del Belpaese. Niente da temere, insomma, «perché l’Italia è uno dei Paesi principali, ha uno dei governi più stabili d’Europa ed è un interlocutore prezioso e necessario» per Bruxelles. 

In effetti, ha fatto notare ai cronisti fuori dall’emiciclo, «il governo italiano sta già influenzando la politica europea», ad esempio sui temi dell’immigrazione e dell’azione esterna (vedi gli accordi con i Paesi terzi per bloccare le partenze ed esternalizzare la gestione dei confini). E ora, con un Consiglio in cui molti Stati membri sono guidati dal centrodestra e una Commissione in cui questa tendenza dovrà necessariamente riflettersi, andranno fatti i conti coi nuovi numeri della destra anche all’Eurocamera: «Credo che nel merito delle singole questioni ci saranno molte possibilità per noi di affermare il nostro punto di vista», ha concluso. 

Ma è stata la stessa von der Leyen, in conferenza stampa al fianco di Metsola, a confermare che il voto di oggi ha rafforzato la linea di demarcazione tra maggioranza pro-Ue e opposizioni: «Il risultato mostra che il nostro approccio è stato giusto», ha dichiarato, aggiungendo di aver «lavorato duramente per una maggioranza democratica e il voto di oggi ne è la dimostrazione». Una maggioranza che, come si diceva, includerà ora – formalmente o informalmente che sia – anche i Verdi, che pure erano stati aspri critici della politica tedesca nella legislatura appena conclusa (e che non l’avevano votata nel 2019). 

Lo avevano chiesto loro esplicitamente a più riprese, ribadendo che i loro voti si dimostreranno fondamentali per stabilizzare la coalizione europeista e dimostrando la loro buona fede nel voto a favore della rielezione di Roberta Metsola, dal quale hanno ottenuto in cambio l’elezione al primo turno di uno dei loro tra i vicepresidenti dell’Aula. E, oggi, l’ha confermato anche la neo-rieletta presidente: «Lavorerò il più possibile con coloro che mi hanno sostenuto, che sono pro-Ue, pro-Ucraina, pro-Stato di diritto. Sono molto grata alla piattaforma, Ppe-S&D-Renew, ma sono anche molto grata al gruppo dei Verdi per il sostegno»

Un assegno in bianco dagli ambientalisti? Non proprio, almeno a sentire gli eurodeputati italiani del gruppo: su alcuni temi c’è sintonia, su altri meno. «Manterremo la nostra autonomia per ogni voto futuro, promuovendo politiche di Pace come dimostrato nel voto di ieri sull’invio di armi anche d’attacco in Ucraina», si legge in una nota di Europa Verde. Che prosegue: «Oggi abbiamo votato per fermare l’alternativa non dialogante e distruttiva a Ursula Von Der Leyen. Consentiamo una maggioranza che non scenderà a compromessi con chi viola diritti fondamentali o commette crimini di guerra. Il sostegno del gruppo dei Verdi europei e della delegazione italiana impedirà alle destre di distruggere il Green deal. Noi Verdi italiani vogliamo migliorare questa visione per la pace, la giustizia sociale e climatica e i diritti umani, dentro e fuori l’Europa»

Insomma, il sostegno non è certo arrivato in nome di un’affinità ideologica con la Spitzenkandidatin dei cristiano-democratici (che ha promesso ad esempio il pugno duro sull’immigrazione), ma piuttosto per un senso di pragmatismo: l’alternativa all’appoggio a von der Leyen, per gli ecologisti che sono crollati da settantaquattro eletti nel 2019 a cinquantatré nell’emiciclo attuale, è una condanna all’irrilevanza politica. E stare dentro alle stanze dei bottoni è l’unico modo per provare a salvare quello che resta delle ambizioni green dell’Ue. Del resto, ha ricordato Benifei a Linkiesta, erano stati proprio i socialdemocratici a spingere per l’inclusione degli ecologisti nella “piattaforma” per cristallizzare la maggioranza europeista, e secondo le sue previsioni nella legislatura appena cominciata si approfondirà la collaborazione tra i due gruppi parlamentari.

 
Pubblicato : 19 Luglio 2024 04:45
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