La grave interferenza del governo sulla Città 30 a Bologna
C’è un tempo per ogni cosa, quello dei bilanci sui trenta all’ora a Bologna non è ovviamente ancora arrivato. Anche se, guardando agli esempi in Europa e nel mondo, è facile intuire come andrà a finire (bene). Al momento esistono due grandi mondi: quello dei social, dove piovono critiche non accompagnate da fatti concreti, e quello reale, fatto di persone che stanno già notando qualche piccolo ma significativo miglioramento. Nel mezzo c’è una cittadinanza comprensibilmente destabilizzata che va rassicurata e informata, non fomentata.
Il Comune amministrato dal sindaco Matteo Lepore – primo capoluogo di Regione italiano a scegliere questo modello, che va oltre la riduzione dei limiti di velocità urbani – ha iniziato il suo percorso verso la Città 30 a luglio 2023 con una campagna di ingaggio e comunicazione, fino ad arrivare al d-day di martedì 16 gennaio.
In quattro giorni è già successo di tutto. Dalle chat su Telegram che segnalano la presenza di nuovi controlli al “corteo” di protesta dei conducenti delle auto Ncc, passando dalle discussioni su un tema che non esiste: le multe. Le sanzioni amministrative della prima giornata di Città 30 – iniziativa che non prevede l’installazione di nuovi autovelox – sono state sette, un numero che nei giorni successivi è sceso sotto quota cinque. A Bologna, che ha quasi quattrocentomila abitanti, i controlli sulle strade sono aumentati ormai da un anno: ora si stanno semplicemente adattando ai nuovi limiti di velocità. Funziona così: c’è una pattuglia dei vigili con il pannello dell’infovelox e, centro metri più avanti, una seconda pattuglia con un telelaser. Il tempo per rallentare, insomma, c’è.
La prima multa, tristemente cavalcata da pagine social e grandi quotidiani, è tra l’altro avvenuta su una strada-simbolo (via Azzurra) del nuovo paradigma adottato dall’amministrazione bolognese: proprio lì, nel maggio 2021, una bambina di dieci anni è stata investita sulle strisce ciclopedonali da un’automobile che procedeva a velocità elevata. La vittima dello scontro, che era a bordo della sua bicicletta, fortunatamente non è morta e si è ripresa dopo un periodo in terapia intensiva. Quella collisione è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso, la scintilla che ha spinto cittadini e associazioni a portare il tema della Città 30 in Comune, che ha risposto presente con l’allora consigliere Andrea Colombo.
Il fatto più preoccupante è però un altro, e riguarda un’interferenza del ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (Mit). In un comunicato pubblicato nella mattinata del 19 gennaio, il dicastero di Matteo Salvini ha giudicato «non ragionevole» la misura sulla Città 30, che in Italia è già stata approvata a Olbia (amministrata dal centrodestra) e in Europa è applicata in decine di centri urbani di diverse dimensioni: da Graz ad Amsterdam, da Bruxelles a Zurigo. In Spagna, oltretutto, dal 2021 il codice della strada impone il limite dei trenta all’ora in tutti i centri urbani del Paese, fatta eccezione per le strade a due o più corsie per senso di marcia.
«I problemi per i cittadini (in particolare per i lavoratori) – prosegue la nota del Mit – rischiano di essere superiori ai benefici per la sicurezza stradale, che resta comunque una delle priorità assolute per il ministro Matteo Salvini». Un ministro che, nemmeno un anno fa, proponeva di alzare il limite di velocità in autostrada da centotrenta a centocinquanta chilometri orari. La Città 30 riduce il numero di incidenti gravi e mortali, non impatta sui tempi di percorrenza e l’inquinamento, non aumenta il traffico e spinge le amministrazioni a promuovere interventi urbanistici che mettono al centro le persone, non le auto.
Nel caso specifico del Mit, però, il tema è politico. Nel comunicato ha sottolineato che è necessario, dopo un confronto con l’amministrazione, «verificare soluzioni alternative e prevenire forzature e fughe in avanti che poi rischiano di essere smentite anche dai giudici, come già successo a Milano a proposito dell’obbligo per i mezzi pesanti dei dispositivi per l’angolo cieco».
Il Piano per la sicurezza stradale del ministero dei Trasporti e delle Infrastrutture, però, indica i trenta chilometri orari come provvedimento cardine al fine di ridurre gli incidenti in città: «Se si vogliono limitare le possibili conseguenze degli incidenti, occorre limitare le velocità, tenendo conto dei possibili eventi, dei soggetti potenzialmente coinvolti e delle limitazioni fisiche del corpo umano. Sulla base dei risultati della ricerca si possono sintetizzare i seguenti principi di questo approccio: dove ci possono essere impatti che coinvolgono veicoli e pedoni, la velocità dovrebbe essere limitata a 30 km/h», si legge a pagina ventidue del documento.
Anche il codice della strada, inoltre, permette ai Comuni di abbassare i limiti di velocità ordinari (da cinquanta a trenta) per favorire la sicurezza della circolazione e la tutela della vita umana. E al netto degli interventi urbanistici annessi alla misura – mai menzionati dai detrattori –, la Città 30 si fonda proprio su un’estensione capillare delle strade con il limite a trenta chilometri orari.
La riduzione del limite da cinquanta a trenta chilometri orari fa parte del pacchetto di soluzioni sostenute dal ministero, che nel comunicato del 19 gennaio ha fatto un autogol impossibile da non notare. Come spiega a Linkiesta Simona Larghetti, consigliera comunale di Bologna, «i trenta all’ora fanno parte degli strumenti di pianificazione ministeriali, e noi li abbiamo applicati coerentemente. L’allergia alla democrazia di questa destra viene da qui: piegare i soggetti istituzionali a fini politici e distorcere le interpretazioni degli strumenti stessi».
«Nella conferenza per la presentazione dei candidati nella campagna elettorale delle amministrative, Fratelli d’Italia ha detto che l’obiettivo era cancellare il puntino rosso dalla mappa, che è Bologna. Ci stanno facendo la guerra: non ci danno i soldi per ripristinare le strade colpite dall’alluvione, la soprintendenza boccia i bagni accessibili per i disabili in zona universitaria in maniera immotivata e il ministero dei Trasporti contraddice sé stesso nell’applicazione dei trenta all’ora. La guerra ai poveri passa anche da queste cose, è un’operazione culturale in cui fomentano la persona che, in buona fede, prova difficoltà e sgomento di fronte a un cambio di abitudine radicale nel modo di guidare l’auto», aggiunge Larghetti.
Oltre a strumentalizzare i dubbi della cittadinanza, il governo è passato di fatto alle minacce menzionando un potenziale intervento dei «giudici». Ma, come confermano anche le esperienze di Olbia e altre città che si stanno avvicinando ai trenta all’ora (Parma, Milano), non c’è nulla di illegittimo in un provvedimento del genere, anche in termini di competenze. Il comunicato di ieri mattina non ha sorpreso nessuno, essendo in linea con la battaglia ideologica di Matteo Salvini contro la mobilità sostenibile nelle città.
Un’amministrazione comunale potrebbe estendere le Zone 30 senza annunciare la Città 30 e dotarsi di una pianificazione ad hoc, come punta a fare Milano. Sarebbe una scelta più comoda e popolare, ma anche meno coraggiosa e incisiva, dal momento che non metterebbe al centro il problema della violenza stradale e la necessità di un piano strutturato (anche in termini di comunicazione). Quella di Bologna è quindi una scelta anche politica, ma fondata su numeri ed esempi solidi. Quella dell’esecutivo, invece, è una posizione faziosa con il mero obiettivo di trasformare le critiche dei cittadini in voti.
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