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La dittatura di Siad Barre in Somalia e il gioco delle grandi potenze in Africa

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(@dipo-faloyin)
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Se Hollywood dovesse fare un film sulla vita e sui tempi del defunto dittatore somalo, il generale Siad Barre, cercherebbe di attribuire all’incidente d’auto del 1986 – e ai conseguenti dubbi sulla sua salute e sulla sua capacità di continuare a governare – il momento decisivo in cui egli sprofondò nella follia e cominciò a pianificare lo sterminio di un intero gruppo etnico. 

Ma in realtà Barre era molto squilibrato da tempo. Sono stati i calcoli politici di Washington e Mosca a garantire la sua permanenza in carica, e lo avrebbero lasciato orfano e senza potere quando non ci fosse più stato bisogno di lui. Il generale Barre prese il potere con un colpo di stato incruento nel 1969, nove anni dopo la conquista dell’indipendenza. Il suo predecessore, il presidente Abdirashid Ali Shermarke, era stato assassinato dalla sua guardia del corpo in quella che viene considerata un’aggressione per motivi personali. I militari approfittarono di quel vuoto di potere e Barre, che da ragazzo era un pastore ma aveva raggiunto la posizione di comandante in capo delle forze armate somale, fu messo a governare la neonata nazione dell’Africa orientale.

Barre fece subito quello che fanno i dittatori: bandì i partiti politici, sospese la costituzione e smantellò il sistema giudiziario. Sviluppò attorno a sé un culto della personalità, scegliendo di farsi chiamare «Leader Vittorioso». La sua amministrazione si impose nel pieno della Guerra Fredda. Gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica avevano valutato le loro opzioni e deciso che uccidere tutti gli abitanti del pianeta in una guerra nucleare senza quartiere probabilmente era una cattiva idea. I due paesi cercarono invece in tutto il mondo nazioni amiche da convincere (leggi corrompere) a stare dalla loro parte in una pseudoguerra combattuta con l’influenza. L’amore della Somalia era certamente in vendita al giusto prezzo, e Washington e Mosca erano pronte a fare un accordo per sostenere la dittatura di Barre, senza curarsi di chi avrebbe incassato l’assegno.

Barre scelse presto da che parte stare, dichiarando nel suo primo anno di governo che la Somalia era un paese socialista, basato su principi marxisti. Sviluppò un’ideologia di stato che lo mise al seguito dell’Unione Sovietica e costruì un forte sentimento nazionale somalo. Negli eventi pubblici il ritratto di Barre era affiancato a quelli di Marx e Lenin. Somalia e Unione Sovietica ufficializzarono il loro accordo nel 1974, firmando un «Trattato di Amicizia e Cooperazione» che garantiva a Mosca l’accesso a una base militare a Berbera, città costiera e porto importante della regione settentrionale, che in seguito sarebbe stata sviluppata per includere un impianto di stoccaggio missilistico. In cambio di questa proprietà di prim’ordine sull’Oceano Indiano, Mosca avrebbe contribuito a finanziare il rafforzamento delle forze armate somale, una necessità per qualsiasi dittatore che cerchi di conservare il potere in un paese frammentato. Imbaldanzita dai rubli che alimentavano le sue forze armate, nel 1977 la Somalia decise che era giunto il momento di ricorrere all’azione militare per risolvere la disputa sulla regione etiope dell’Ogaden, che rivendicava per sé. 

La zona, desertica, era popolata in larga misura da somali, ma i confini coloniali l’avevano assegnata all’Etiopia. Le truppe somale attraversarono il confine occidentale con l’Etiopia e il generale Barre dichiarò che il suo governo stava solo sostenendo un movimento di guerriglia interna che voleva la secessione. A quel punto l’Unione Sovietica aveva un problema: recentemente in Etiopia un nuovo dittatore militare comunista aveva buttato alle ortiche la lunga collaborazione con gli Usa, trasferendo la propria fedeltà a Mosca, in cambio, come sempre, di armi. Quindi due protetti di Mosca erano in guerra tra loro. E la Somalia, che l’aveva provocata, stava vincendo.

Armare entrambe le parti chiaramente sarebbe stato assurdo. Così l’Urss fece pressioni perché si arrivasse a un accordo di pace. Quando Barre respinse le richieste di cessate il fuoco, l’Unione Sovietica scelse una delle due squadre: prese l’Etiopia e la sua nuova giunta militare, con l’entusiasmo di collaborare con una nazione che era stata per tanto tempo un alleato chiave degli Stati Uniti in quella regione. Insieme a Cuba, i sovietici tagliarono i rifornimenti militari alla Somalia e li aumentarono all’Etiopia. Senza la Russia, la Somalia fu infine costretta a un’imbarazzante ritirata dall’Ogaden.

Probabilmente vi starete chiedendo: a cosa serve avere un dittatore militare se non riesce a vincere una guerra? Bella domanda. Lasciato a piedi dall’Urss, Barre era debole e rischiava un colpo di stato, dato che i suoi stessi generali cominciavano a rivoltarsi contro di lui. Per rimanere al potere aveva bisogno di un nuovo padrino. Per sua fortuna, ce n’era sul mercato uno che era appena stato scaricato. «Voglio che si attivino in ogni modo possibile per far sì che la Somalia diventi nostra amica», ordinò il presidente degli Stati Uniti Jimmy Carter al suo Dipartimento di stato.

Barre accettò l’offerta di amicizia di Washington, e per renderla ufficiale inviò letteralmente all’amministrazione Carter la lista delle armi che gli servivano. Intanto, nel novembre 1977, per rappresaglia, il governo somalo cacciò le forze russe dal paese, dando loro sette giorni per evacuare migliaia di persone dalle basi militari di Berbera e Kismayu, sulla costa meridionale. Non ebbero molta strada da fare – appena al di là del confine con l’Etiopia – per raggiungere i nuovi soci. Agli Stati Uniti fu offerta la possibilità di rilevare le basi, e così, nel giro di pochi mesi, Mosca e Washington si erano ufficiosamente scambiati due governi autoritari dell’Africa orientale.

Il generale Barre era di nuovo al suo posto, e più forte che mai. Nel 1982 incontrò il presidente Ronald Reagan, a Washington, per assicurarsi che l’intesa con la nuova amministrazione americana fosse ancora buona. Lo era. Barre, anzi, era così sicuro del proprio valore strategico nella Guerra Fredda per gli Stati Uniti che si lamentò con i giornalisti americani perché i quasi centoventi milioni di dollari all’anno in aiuti militari, economici e per i rifugiati che gli giungevano dall’amministrazione Reagan – un aumento di circa venti milioni di dollari rispetto all’anno prima – non lo soddisfacevano. Ma quando gli venne chiesto di descrivere il tono dell’incontro, rispose che «l’atmosfera era eccellente» ed espresse fiducia in «una nuova fase di cooperazione più stretta». Sei anni dopo Barre lanciò il suo tentativo di epurazione degli isaaq nel Nord della Somalia.

La campagna militare prevedeva la distruzione quasi totale delle due maggiori città della regione, Hargheisa e Burao. Si stima che siano stati uccisi circa duecentomila civili somali, mentre la guerra civile creò circa trecentomila rifugiati. Durante questo genocidio, Reagan continuò a finanziare il regime militare di Barre, sostegno che proseguì fino al collasso dell’Unione Sovietica nel 1991, dopo il quale Washington, non avendo più bisogno della Somalia, cominciò a lamentarsi del rispetto dei diritti umani da parte di Barre. Il governo degli Stati Uniti lo abbandonò rapidamente, ritirando i finanziamenti.

Senza il sostegno di un benefattore straniero, Barre – come molti altri dittatori dell’epoca – divenne debole e isolato. Le voci secondo cui non si era mai del tutto ripreso dall’incidente automobilistico di anni prima non lo aiutarono. Per salvarsi si affrettò a promettere elezioni democratiche, ma era troppo tardi. All’inizio del 1991 fu rovesciato da truppe ribelli e fuggì dal paese per non farvi più ritorno. Morì in esilio, quattro anni dopo, per un attacco di cuore.

Tratto da “L’Africa non è un paese. Istruzioni per superare luoghi comuni e ignoranza sul continente più vicino” (Altrecose) di Dipo Faloyin, pp. 480, 22 €

 
Pubblicato : 5 Settembre 2024 04:45