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La demonizzazione di Milei alimenta lo storico pregiudizio statalista sul capitalismo

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(@iuri-maria-prado)
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Sono due i profili dell’atteggiamento politico-giornalistico europeo, e italiano in particolare, verso l’Argentina che si è affidata alle cure presidenziali del loco, Javier Milei, l’esponente di «estrema destra e ultraliberista» (e ultraliberista è evidentemente molto peggio) che si è fatto strada in campagna elettorale agitando la motosega e preconizzando un panorama ministeriale sfoltito di dicasteri da mettere afuera.

Il primo profilo di quell’atteggiamento è prevedibilmente strapaesano: titoli come quelli («estrema destra», «ultraliberista») sono ripescati dalla retorica da distacco sindacale che denuncia le aberrazioni cileno-yankee-capitaliste rispetto alle realtà castriste, venezuelane e lulan-brasilere che farebbero di mezzo Sudamerica un paradiso se non fosse assediato dalle cospirazioni liberal-golpiste dell’Occidente predatorio e guerrafondaio. 

Fuffa, insomma: ridicola e ignobile fuffa, che finisce lì. E che, naturalmente, non si pone neppure il dubbio che la storia statal-dirigista e assistenziale che ha conosciuto quel Paese nei decenni passati c’entri qualcosa con un’economia devastata e una società in ginocchio, con il centottanta percento di inflazione, con quasi metà della popolazione in stato di miseria (non dieci percento, non quindici, non venti: quasi il cinquanta), con la sopravvivenza in povertà di milioni e milioni di persone garantita non da sia pur miserrime attività produttive, ma da sussidi, con una burocrazia rigonfia milioni di dipendenti pubblici allocati non per far girare la macchina dello Stato, ma per legalizzarli in una specie di baraccopoli istituzionalizzata.

Macché. Questo disastro sociale, economico e civile è l’effetto di non si sa che cosa, presumibilmente dei rettiliani di Washington D.C., e sarebbe bastato agli argentini un po’ di coraggio supplementare, la forza di coltivarsi un Fidel due punto zero o uno Chávez della pampa, e vedevi che andava meglio. Mentre il nazista coi basettoni prepara l’inferno.

Poi c’è il secondo profilo di quell’atteggiamento, che non è più serio ma è definito da cose più serie. E si tratta di questo: che Milei – cui pure è addebitabile qualche buffoneria, che pure in certi ambiti dice e sostiene cose discutibili, per esempio quando ripete certe inconcludenze del presunto libertarismo anti-abortista e reitera alcuni tic di un confessionalismo da Tea Party transnazionale – squaderna in faccia al pregiudizio statalista le cose semplici e giuste su cui si è costruito il progresso e il benessere delle società libere. 

E cioè che la giustizia sociale è un simulacro; che è la libertà di iniziativa privata a garantire il benessere comune; che è la libertà d’impresa a creare ricchezza; che l’accumulazione capitalistica è la premessa, non la negazione, della diffusione della ricchezza; che nella produzione di beni e servizi lo Stato fa peggio, e a costi maggiori, rispetto al privato; che la concorrenza, non il calmiere, tiene bassi i prezzi e aumenta la qualità dei prodotti e dei servizi; che i sistemi in cui prevalgono il mercato e le libertà economiche sono quelli in cui più e meglio sono protette le libertà civili e politiche e che in questi sistemi, non negli altri, non in quelli dello Stato-imprenditore, non in quelli dell’economia subordinata alla giustizia e alla utilità sociale, ci sono meno poveri, si vive meglio, si vive più a lungo.

Inutile dire che quest’abc liberale non è avversato qui da noi sulla scorta di qualche appunto serio circa i correttivi che lo stesso pensiero liberale, almeno da trent’anni, offre al dibattito in argomento. Piuttosto, si assiste qui al rigetto addirittura demonizzante di quel basico orientamento non ugualitarista, non collettivista, non statalista, in un sacerdozio non diverso dal collegio inquisitorio che giudica la pericolosa eresia di uno secondo cui la terra non è piatta.

Che poi Milei sia capace di mettere in pratica ciò che propugna, e che le soluzioni che propone siano tutte buone, e che il consenso che gli ha concesso di vincere fosse di ripulsa per le alternative più che di condivisione di quei programmi e del classico formulario liberale che li sostiene, ebbene tutto questo è un altro, diversissimo discorso. Che non c’entra niente con gli interdetti da corteo terzomondista che han fatto il grosso della pubblicistica de noantri da qualche settimana in qua.

 
Pubblicato : 3 Gennaio 2024 05:45
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