La causa contro la ritardataria Madonna (e tutte quelle che dovrei vincere io)
Quando è successa la cosa più incredibile nella storia dei concerti, io non c’ero. Non sono mai dove dovrei, figuriamoci. Era l’estate del 2012, Bruce Springsteen suonava a Hyde Park, e un certo Paul McCartney era salito sul palco per un duetto su “Twist and Shout”.
Senonché alle dieci e mezza, con una puntualità che ho visto solo a Londra, un posto dove il rispetto dell’orario dopo il quale fare silenzio è una cosa seria, gli organizzatori hanno staccato i microfoni. Silenziando i due vegliardi che twistavano e shoutavano.
L’allora sindaco Boris Johnson disse che, se l’avessero chiamato, lui avrebbe detto di lasciarli finire. Ma non lo chiamarono: non esitano mai a sciupare il divertimento e fare i dispetti al pubblico, in quella città rigorosa sugli orari dopo i quali non devi rompere i coglioni a chi vuole dormire.
Me ne sono ricordata una mattina d’ottobre, quando sui giornali londinesi ho scoperto cos’era successo la domenica sera al concerto di Madonna. Ero stata a vederla il sabato, e il concerto mi sembrava compiuto, ma anche se non lo fosse stato non avrei avuto modo di saperlo: era il debutto, nessuno sapeva cosa fosse previsto suonasse.
La seconda sera, però, era domenica, e il concerto doveva finire ancora prima: il coprifuoco era ancora più da galline. Madonna aveva cominciato tardi, come già era accaduto il sabato, e a un certo punto, raccontavano i tabloid, aveva capito che non ce l’avrebbe fatta a finire quella che tecnicamente viene chiamata la scaletta, cioè le canzoni che era previsto cantasse.
Per non essere l’ennesima vegliarda cui staccano i microfoni, aveva deciso di tagliare quattro canzoni. Tra cui “Like a virgin”, che oltre a essere “Like a virgin” (direbbero in tv: una canzone che non ha bisogno di presentazioni) era anche l’unica idea di quel concerto, eseguita in duetto virtuale con Michael Jackson.
I fan se ne sono accorti non solo perché non fai un concerto riepilogativo della tua carriera senza fare la tua canzone più famosa, ma anche perché ormai è impossibile farsi cogliere di sorpresa dalla seconda sera d’una tournée in poi: è pieno di siti dove puoi leggere che canzoni vengono fatte, in che ordine, e già decidere prima d’arrivare al concerto a che punto andrai a prenderti da bere e quando sarà il momento migliore per la pausa-cesso. Quindi, sapevano d’essere stati privati di “Like a virgin”.
I tabloid inglesi, che come i quotidiani prestigiosi italiani prendono tre tweet e ne fanno una notizia, riportavano la furia del pubblico, che rivoleva i soldi del biglietto. Ma, finché succedeva in Inghilterra, erano tre vongole che strepitavano senza conseguenze. Poi sono arrivati gli americani, che se possono farti causa son solo contenti.
Adesso, sono arrivati quelli che sono andati a vedere Madonna a Brooklyn, all’arena Barclays; della quale è importante sapere due cose: che è di proprietà di Jay Z, e che io ci sono entrata la prima volta per un concerto di Eros Ramazzotti. Anche se anni dopo ci ho visto Springsteen che, pochi giorni dopo la morte di Prince, faceva “Purple Rain”, per me quello sarà sempre il posto di “Un’altra te” (che peraltro non sentii perché era un bis e mi trascinarono via prima, ma ora non fatemi parlare di questi momenti dolorosi).
Vulture ha analizzato i termini della causa che il pubblico vuole fare a Madonna e agli organizzatori e alla Barclays, e par di capire che non abbia tagliato canzoni (dice Vulture che, se non avesse cantato canzoni che era ragionevole aspettarsi, si tratterebbe di truffa, e io vorrei tantissimo assistere alle udienze: vostro onore, era ragionevole aspettarsi “Material Girl”, mi percepisco truffata come donna e come ex bambina degli anni Ottanta).
Par di capire che siano incazzati solo perché la vecchia ha iniziato con due ore di ritardo e quando sono usciti dalla Barclays era l’una di notte e si sono trovati di fronte «trasporti pubblici limitati, il car sharing non disponibile, e gli accresciuti costi dei trasporti pubblici e privati».
Ora, io ritengo la Barclays un baluardo della civiltà da quella volta che non avevo il biglietto stampato e all’ingresso lo pretendevano cartaceo, e scoprii che un genio dell’imprenditoria si era piazzato lì fuori con una stampante e per soli cinque dollari ti risolveva la vita: fuori dai palazzi dello sport italiani al massimo ti consolano con un panino alla salamella.
Tuttavia, mi chiedo se anche in Italia si possano fare cause del genere, perché questa descrizione di difficoltà notturne di ritorno mi ha dato delle idee.
Sono ancora in tempo a fare causa a Jovanotti per quando, una decina d’anni fa, fece un concerto al palasport di Casalecchio, e io e la mia amica Isa praticamente pernottammo in mezzo alla strada, in attesa d’un taxi che non arrivava neanche pregando in tutte le religioni del mondo?
Sono ancora in tempo a fare causa a Paolo Conte per quando, direi un paio d’anni fa, io e le mie amiche passammo due ore in mezzo alla strada davanti agli Arcimboldi, e io dico capisco Casalecchio che è nel mezzo del nulla e poi io e Isa eravamo uscite dal palazzo a notte fonda quando non c’era più neanche l’impresa di pulizie, ma in città a neanche mezzanotte come diavolo è possibile che non ci siano i taxi fuori da un teatro alla fine d’un concerto?
Sono ancora in tempo a fare causa a Checco Zalone, il cui spettacolo vidi in un teatro tenda fuori Firenze, così in mezzo al nulla che c’era solo gente che cercava taxi e neanche un taxi, e alla fine mi sono buttata su un tassista fuori servizio e l’ho costretto a riportarmi in albergo e già mi vedevo improvvisare un falò e darmi alla prostituzione, forse unico modo certo di venire caricata in mezzo al nulla?
Il che mi fa capire che la risposta alla gente del Barclays è Tommaso Zorzi (chiunque egli sia) che scatena indignazione social perché scopre che i biglietti per Taylor Swift che non ha pagato costano un rene. Le tredicenni fan di Taylor che già così stanno dando di matto avranno modo d’indignarsi ulteriormente quando scopriranno che a Zorzi gli sponsor avranno dato un pass per il parcheggio interno di San Siro, mica dovrà aspettare ore il metrò come loro.
Le tredicenni, che almeno hanno l’attenuante d’esser tredicenni, sono indignate come, mesi fa, lo erano stati i commentatori (adulti) d’una psicologa di Instagram che aveva raccontato dei suoi biglietti omaggio per i Måneskin.
C’è tutto un mondo, là fuori, che ignora che esistano i biglietti omaggio, la gente che parcheggia all’interno perché il cantante le ha fatto avere un pass, gli ospiti dell’organizzazione col loro bravo bar gratuito e privato, i privilegiati contenti. Finché sono le tredicenni che trovano inaccettabile che uno cui non frega niente di Taylor Swift abbia biglietti migliori dei loro, posso pure capirlo; ma il guaio è che è pieno di adulti che pensano che, se Madonna comincia tardi perché si è attardata con Donatella Versace, loro abbiano diritto di redarguirla. Sembrano Beppe Grillo quando diceva che i politici sono nostri dipendenti: teneri.
Le tredicenni no, le tredicenni hanno ragione, le tredicenni mi ricordano me alla loro età. Quando la leggenda diceva che la figlia d’un famoso conduttore televisivo venisse portata nel camerino di Simon LeBon da un noto intervistatore di cantanti. E noi no, noi fuori a morire d’invidia. Ora che siamo tutte cresciute, speriamo non sia intervenuta la prescrizione, e si possa far causa per quei camerini mancati di quarant’anni fa. Quando almeno non avevamo il problema del taxi o del metrò: ai concerti venivano a prenderci i genitori.
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