Il problema di affidabilità del giornalismo italiano
Il Reuters Institute for the Study of Journalism elabora a cadenza regolare un rapporto in cui analizza l’affidabilità e la diffusione dei media online, denominato Digital News Report. Tra i parametri misurati c’è la fiducia del pubblico, misurata tramite interviste a campione e altri metodi statistici, verso questo o quel canale informativo. Per quello che concerne il contesto italiano, il quotidiano più apprezzato a livello di brand è Il Sole 24 Ore, Ansa come agenzia stampa e SkyTg24 come emittente televisiva.
Sebbene le percentuali premino questo o quell’organo di stampa, però, gli stessi ricercatori del Reuters Institute sottolineano che in linea generale la fiducia per i media in Italia è particolarmente bassa. «Questa tendenza di lunga data – spiegano – è dovuta principalmente alla natura faziosa del giornalismo italiano e alla forte influenza degli interessi politici e commerciali sulle organizzazioni giornalistiche. I marchi che godono di maggiore fiducia sono generalmente quelli noti per i livelli più bassi di partigianeria politica». In altri termini, la certezza di affidabilità non è mai possibile al cento per cento.
Si può affermare che la categoria fake news rischia di diventare eccessivamente ampia, arrivando a comprendere notizie «semplicemente» distorte, imprecise, deboli. Può accadere, ad esempio, che un organo di stampa prestigioso e accreditato dia una notizia utilizzando una fonte coperta ritenuta solitamente attendibile, una di quelle «gole profonde» che danno informazioni in forma anonima, ma che la news in questione risulti imprecisa o debole.
Può succedere, in altre circostanze, che un organo di stampa pubblichi semplicemente un comunicato rilasciato da un’istituzione, un partito, una realtà qualsiasi. Se il testo contiene qualche stortura, la colpa è del media che ha passato il comunicato, o di chi ha fatto circolare quel comunicato?
Insomma, gli errori capitano. Chi scrive è convinto che avesse ragione Carmelo Bene quando, in una storica puntata del Maurizio Costanzo Show, parafrasò il filosofo francese Jacques Derrida dicendo che «il giornalismo non informa sui fatti o dei fatti, ma informa i fatti».
La notizia, in questo senso, non è solo frutto di una scelta, di una prospettiva di interpretazione, ma anche di una vera e propria creazione in cui l’intenzione di chi scrive, il fatto scritto e la visione di chi legge non combaciano quasi mai. E nel processo creativo, questo è evidente, gli inghippi inevitabilmente capitano. Ciononostante, in linea con il proposito di questo libro, non è del tutto impossibile distinguere le fonti affidabili – che talvolta commettono qualche svista – dalle fonti chiaramente parziali e da quelle di propaganda vera e propria.
Il tutto, specie per quello che riguarda l’informazione sugli Esteri, si basa sul binomio media-argomento: se l’organo di stampa in questione è legato ad attori che godono di determinati interessi in un dossier, le informazioni che propone andranno vagliate con una certa attenzione. Questo vale soprattutto per i media di parte, perché quelli di propaganda osservano un’adesione totale all’agenda politica da cui nascono.
Da “Atlante delle bugie – Come gestire le fonti estere e distinguere una notizia vera da una fake news” di Francesco Petronella, Paesi Edizioni, 144 pagine, 13 euro
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