Il Pd va in piazza un po’ a casaccio, ora gioca la carta della “pausa umanitaria”
Come se sentisse il bisogno di arricchire la sua pietanza sempre con nuove spezie per farle più saporite (che in cucina è un difetto), ogni giorno Elly Schlein aggiunge un nuovo punto alla piattaforma della manifestazione dell’11 novembre a Piazza del Popolo. Adesso insiste molto sulla «pace», cioè sulla richiesta come minimo di una «pausa umanitaria» a Gaza, rendendosi conto che un vero e proprio cessate il fuoco è un’ipotesi irrealistica a causa degli scontati no di Hamas e Gerusalemme.
Il gruppo dirigente del Partito democratico ovviamente sa di giocarsi molto in questa manifestazione e dunque cerca di suonare tutti i tasti che possano risvegliare la partecipazione, ma proprio tutti, dall’opposizione alla legge di Bilancio – sulla quale però stenta a imporre una parola d’ordine forte, una narrazione che faccia facilmente intendere che un’altra manovra sarebbe possibile – al no al premierato, dai pannolini alla casa al salario minimo e via elencando, un accumulo di questioni che può produrre una legittima incertezza nel dare una risposta alla domanda: ma su che è, ‘sta manifestazione?
Dunque è da vedere se l’arcobalenizzazione della piazza funzionerà, se i giovani pacifisti per questi andranno a sentire Elly, se la parola d’ordine della pace avrà insomma un effetto mobilitante, guardando soprattutto a sinistra e alla micidiale concorrenza di Giuseppe Conte che, furbo, sarà a piazza del Popolo: se la cosa andrà bene sarà stato anche per merito suo, se va male sarà un problema di Schlein, senza fare sconti, tanto di accordo strutturale non si parlerà almeno fino alle elezioni Europee.
Il Pd in questi giorni è mobilitato. Dal centro Italia arriveranno i famosi pullman, la Cgil darà una bella mano, semmai l’incognita semmai è legata ai “romani” e a un clima politico che tra una cosa e l’altra non sta montando. Ecco dunque la carta pacifista gettata però su un tavolo che scotta e che è sempre molto difficile tenere in equilibrio. Il Pd sta con Israele ma anche contro il suo governo, sta con i palestinesi ma contro Hamas che è contro i palestinesi, sta su questo tema con il governo ma anche con Antonio Guterres, apprezza gli articoli di Maurizio Molinari ma anche Zoro e Zerocalcare, è il Pd di Laura Boldrini ma anche di Lele Fiano che dietro l’unanime richiesta di una «tregua umanitaria» nasconde una seria divisione culturale e politica che finora è stata ben governata dalla segretaria anche grazie agli esponenti perlopiù riformisti che guidano la politica estera, anche se qualcosa si muove anche tra loro nel senso della crescente critica a Israele.
Ma il punto è che un pezzo di Pd guarda più al pacifismo di Arci, Acli, Amnesty e compagnia, pericolosamente pencolante contro “Israele in quanto Israele” mentre un’altra parte, più piccola, nutre pochi dubbi sulla necessità di costruire una forte deterrenza intorno al paese ebraico pur nella non semplice prospettiva di una ridefinizione della questione palestinese.
Per questo la parola d’ordine della «pace» può significare cose molto diverse, addirittura contraddittorie. Si spera che non arrivi qualcuno a rovinare la festa, a fare il giochino della conta delle bandiere palestinesi o israeliane. Ma al Nazareno pensano che serva correre il rischio pur di riempire la piazza.
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