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Il Pd va alle Europee guardando solo a sinistra

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(@mario-lavia)
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«Volete i voti? Allora tenete conto che c’è una parte della società italiana che non ha rappresentanza» e che «c’è energia a sinistra». La mitica “impostazione della campagna elettorale” che un tempo facevano i segretari del Partito l’aveva svolta Massimo D’Alema ai primi di febbraio, a Firenze, in una riunione di “compagne e compagni della Fgci”, l’organizzazione dei giovani comunisti di cui egli fu segretario nella seconda metà degli anni Settanta.

Stante la crisi della democrazia («Per il governo Meloni ha votato il ventisette per cento degli aventi diritto al voto») la sinistra deve recuperare chi non ha rappresentanza politica pescando innanzitutto nel mare magnum dell’astensionismo, ingrossatosi via via dopo «la vittoria dell’ideologia ultraliberale». Altro che conquistare il centro («Il gioco è cambiato»), qui si tratta di rifare la sinistra quella vera. Questa di D’Alema è la stessa analisi di Elly Schlein. Che infatti punta tutto sul recupero di quella sinistra innanzitutto pacifista che lei non intende regalare a Giuseppe Conte e Michele Santoro, i quali giocano la stessa partita della segretaria del Partito democratico, il primo per non farsi distanziare troppo, il secondo per rientrare in politica: tutti “per la pace”.

Schlein è convinta che solo una linea che sappia sfruttare l’onda “pacifista”, specie giovanile, può consentire al suo partito di superare l’asticella del venti per cento, al di sotto della quale nel partito potrebbe accadere di tutto, o quasi. Se in qualche modo dovesse tenere, Elly andrebbe avanti. Se poi sfondasse il ventidue, non avrebbe problemi per un pezzo.

Ma va sottolineato che la caccia ai voti “pacifisti” e di sinistra non risponde solo a una logica di marketing elettorale. Il fatto è che la lettura della fase in un certo senso tragica di D’Alema è proprio in sintonia con lei e il suo gruppo dirigente (molto coccolato: Schlein candida oltre sé stessa ovunque ben tre componenti della segreteria, Camilla Laureti, Sandro Ruotolo e Annalisa Corrado), e che si manifesta a perfezione con i volti del “pacifismo della bandiera bianca” (Marco Tarquinio), del volontariato laico (Cecilia Strada), dell’impegno giornalistico (Lucia Annunziata). Insomma, il Partito democratico gioca la sua campagna elettorale tutta a sinistra, che è come detto la koinè di Elly e anche il modo più agevole per catturare il voto anti-Meloni nella convinzione che alla fine un po’ di voti contro il governo ci saranno e che sulla scheda si esprimeranno con la croce sul simbolo del Partito democratico.

Si potrebbe dire che in questo modo Schlein intercetti lo spirito del tempo: tempo di radicalizzazioni e contrapposizioni sugli antichi crinali pace-guerra e sinistra-destra, come ai bei tempi. Siamo cioè a una specie di Pre-Pd. E infatti molti di quelli che hanno sostenuto Schlein in queste ore maledicono la scelta fatta. Sotto quest’aspetto sembra che anni e anni di “moderazione”, affidabilità, riformismo siano stati riposti nella soffitta della storia. E d’altra parte è innegabile che a pagare un prezzo per questa sterzata a sinistra siano i riformisti del Partito democratico che a giugno rischiano molto, gente come Pina Picierno, Irene Tinagli, Elisabetta Gualmini, Alessandra Moretti. Vedremo se reggeranno dinanzi alla potenza di fuoco di chi sa procurarsi un mare di preferenze.

In ogni caso, stando così le cose, è chiaro che i riformisti dem, perlomeno quelli che ancora hanno voglia di battersi, dovranno ripensare tutto. Anche chiedendosi se e come sia possibile stare in un partito neodalemiano.

 
Pubblicato : 28 Marzo 2024 05:45