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Il patatrac del Terzo Polo tiene in vita l’illusione Forza Italia

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(@beppe-facchetti)
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Tra i tanti effetti collaterali negativi della sciagurata frattura tra Azione e Italia Viva, dovrebbe essere considerato anche quello di aver alimentato l’illusoria impressione che abbia un senso e una funzione politica l’attuale posizionamento di Forza Italia come componente moderata della maggioranza di governo. Già, perché gli errori e gli autogol degli altri possono dare la consolatoria impressione che si è fatto bene a non abbandonare la navicella azzurra, come molti avevano già fatto nel settembre 2022, ancora vivente Silvio Berlusconi. E cosi si resta al calduccio delle glorie passate, avvinghiati alla memoria del fondatore, congelando un patrimonio di voti piccolo ma forse utile per dare un segnale in elezioni proporzionali come quelle europee.

In realtà di radicati veri, appartenenti allo zoccolo che romanticamente non molla, ci sarà al massimo la metà di quel sette per cento che sondaggi benevoli misurano ancora. L’altra metà è da giudicare in bilico, tentata di fare un salto, che poteva essere immaginato in direzione terzo polo ma che a questo punto sarà all’ultimo momento verso il più ragionevole dei partner di centrodestra. E allora non potrà che essere il partito meloniano, non certo la Lega che fa una sgangherata concorrenza alla presidente del Consiglio, proprio su temi sui quali un disperato Antonio Tajani tenta mediazioni sistematicamente ignorate.

Già nel 2022 personaggi importanti, sedicenti liberali, come Carlo Nordio e Marcello Pera, hanno ceduto al vento del vincitore, sia pur in cambio di un posto (non operativo alla prova dei fatti) da ministro e alla promessa fasulla di una presidenza del Senato, perché non fare altrettanto ora, ingigantendo – a propria rassicurazione – l’europeismo di Meloni? Poi magari ti frega sul Meccanismo europeo di stabilità e su tanti altri nodi importanti, infischiandosene dei liberali ex di massa, ma insomma – da qui a giugno – basterà poco per salutare mestamente il taglio del traguardo finale di un liberalismo in rotta.

Se avesse ragione “Repubblica” che negli ultimi tempi insiste molto nel descrivere un partito in totale default, sotto la soglia europea del quattro per cento, non varrebbe forse la pena di parlare di Forza Italia, ma proprio l’aiuto involontario che viene dal disastro dei vertici del Terzo Polo ci induce invece a pensare che questo terrà ancora a galla il partito eternamente berlusconiano. Vero è che le vicende interne del trio di Governo (di Maurizio Lupi non parliamo, perché è un’invenzione consentita solo da una legge elettorale da cancellare) potrebbero aggravare il quadro, togliendo agli azzurri l’unica residua forza di cui dispongono, il potere governativo, sottoposto però a gravi sfide di credibilità in una fase prelettorale.

Che senso ha un ministro degli Esteri in carica che si astiene sull’approvazione di un Trattato internazionale? Abbiamo tutti pensato all’imbarazzo del prossimo incontro tra Giancarlo Giorgetti e i suoi colleghi europei dell’Economia, ma che dire della faccia tosta necessaria per spiegare se non altro ai colleghi del Partito Popolare, questo voltafaccia italiano? E cosa dire della farsa della legge sulla concorrenza gestita impietosamente dal capogruppo Maurizio Gasparri in barba a tutte le già operanti sanzioni europee?

Da qui alle elezioni, ogni giorno l’alternativa tra irrilevanza e brutte figure sarà sempre più il copione da recitare, per i malcapitati liberali di Forza Italia, fino al limite del ridicolo. La storiella che sono lì, in questo primo governo di destra-destra della Repubblica, per moderare e controbilanciare, poteva reggere in presenza del carisma berlusconiano, ma è oggi insostenibile e lo sarà sempre più quando la lotta implicita nel proporzionale si farà ancora più dura. Si veda la vicenda della proroga del superbonus, con un comunicato stampa dell’Economia che ne certifica la morte e contestuali dichiarazioni euforiche del solito Tajani che esalta i risultati ottenuti.

Trattandosi non di scelte ideologiche, come quella su Mes, che apparentemente non toccano interessi immediati e sembrano materia per addetti ai lavori, ma di questioni che toccano da vicino il portafogli di molti, non tarderà a manifestarsi il rigetto per la presa in giro perpetrata con la promessa di un decreto-povertà senza fondi (una manciata di milioni contro miliardi in gioco) che riguarderebbe ristrutturazioni di case coraggiosamente intraprese da soggetti con Isee sotto i quindicimila euro! Ma quanti sono? Chi sono?

L’elettorato di Forza Italia festeggerà come il suo leader? Avrà forse ragione Repubblica nel prevedere la triste fine anticipata del fu partito liberale di massa per manifesta impotenza, ma certo c’è qualcosa di sprecato in questo tuffo azzurro nell’impossibile. Vaso di coccio nella triade governativa, Forza Italia – con il suo accanimento terapeutico attorno al feticcio del centrodestra – si chiama fuori anticipatamente da qualsiasi ristrutturazione del sistema politico. Sia quella che poteva ruotare attorno alla ricostruzione di un centro riformista ed europeo, che se avesse avuto un minimo di credibilità avrebbe potuto quanto meno scuotere la rassegnazione degli spaventati riformisti del Partito democratico, che dopo aver vinto un Congresso, partecipano ora intontiti al surreale dibattito su improbabili federatori della sinistra. Sia quella che Forza Italia sostanzialmente incoraggia astenendosi, ovvero la maggioranza anti Mes, che mette insieme i due veri poli di reciproca attrazione che navigano sotto il pelo dell’acqua: Lega e Cinquestelle, vecchi amori da rinverdire.

Davvero c’è da augurarsi che le elezioni europee vadano bene, e non siano il primo atto di un 2024 di marca trumpiana. Se i sondaggi dicono che due elettori su tre sono disposti a cambiare partito, tutto è possibile, magari solo in funzione di stati d’animo ed emozioni emergenti nell’ultima settimana prima del voto. Se nei mesi precedenti non c’è stata razionalità e realismo, e si è passato il tempo tra un capriccio e la coltivazione di rivalità tra simili, sarà ancor più probabile che quella prospettiva si alimenti.

Tra le opzioni possibili c’è insomma la caduta sotto il quattro per cento di Azione, Italia Viva, Forza Italia, +Europa portandosi via qualche milione di voti buoni per il riformismo europeo, e se questo accadrà vorrà dire che da altre parti in Europa avranno vinto estremisti tedeschi e francesi, oltre a olandesi e nordici vari, parzialmente controbilanciati da polacchi e forse spagnoli. Ma non sarà più l’Europa che sogniamo da decenni e che è oggi necessaria nella geopolitica mondiale. Sarà allora troppo tardi per ripensare gli errori e le superficialità di questa presente fase preparatoria, abbaiando alla luna perché una serie di perfidi zero virgola avranno impedito di arrivare al quattro per cento.

 
Pubblicato : 3 Gennaio 2024 04:45
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