forum

Il mito tossico del...
 
Notifiche
Cancella tutti

Il mito tossico della velocità dietro al dramma irrisolto della violenza stradale

1 Post
1 Utenti
0 Reactions
63 Visualizzazioni
(@fabrizio-fasanella)
Post: 21
Trusted Member Registered
Topic starter
 

Nel 2005, anno in cui le Nazioni unite hanno proclamato la Giornata mondiale in memoria delle vittime della strada (19 novembre), in Italia sono morte 5.426 persone a causa di un incidente. Diciassette anni dopo, nel 2022, i decessi segnalati dall’Istat sono stati 3.159 (+9,9 per cento rispetto al 2021), mentre nel primo semestre del 2023 hanno toccato quota 1.384. Numeri inferiori, certo, ma ancora drammaticamente alti, nonché figli di scelte politiche autocentriche e di un impianto culturale che concepisce la velocità come un valore. 

«In questi anni non è cambiato moltissimo, perché continuiamo a migliorare molto più lentamente degli altri Paesi europei. L’aspetto normativo è ovviamente utile, ma da solo non cambia la cultura. Servono investimenti, educazione, impegno nei controlli, cambiamenti infrastrutturali. Una cosa che è cambiata in questi anni, nella quale abbiamo investito, è il discorso dell’omicidio stradale, per cui è stato introdotto un reato che dà maggior giustizia alle vittime», racconta a Linkiesta Stefano Guarnieri, che nel 2010 ha perso il figlio Lorenzo, ucciso a diciassette anni da un uomo in stato di alterazione alla guida di un’automobile; pochi mesi dopo, assieme ad amici e familiari, ha fondato l’Associazione Lorenzo Guarnieri Onlus, che sta contribuendo in maniera concreta a rendere più sicure le strade di Firenze. 

Al di là del singolo evento, la velocità elevata rimane la principale causa dei sinistri stradali mortali, e spesso è la concausa che ne aggrava altre. Per un pedone, come recita un report dell’Ufficio prevenzione infortuni (Upi), la probabilità di decesso in una collisione con un veicolo che viaggia a cinquanta chilometri orari è sei volte superiore rispetto allo scontro con un mezzo che procede a trenta chilometri orari. Nei contesti urbani, stando ai numero forniti da Aci e Istat, gli incidenti scatenati dall’eccesso di velocità provocano il 43,9 per cento dei decessi e il 69,7 per cento dei feriti. La velocità è l’elemento tossico alla base di una strage quotidiana e silenziosa, anche se negli ultimi anni l’attenzione mediatica verso i singoli incidenti sta fortunatamente crescendo. 

«A considerare la velocità un valore è tutto ciò che ruota attorno al mondo dell’auto. Con le pubblicità veniamo bombardati da elementi che riguardano sia la velocità, sia la percezione di un mezzo che è solo, sicuro. Le pubblicità vengono girate in ambito urbano, senza pedoni, senza semafori e senza ciclisti: la strada sembra una pista. E questo condiziona fortemente il nostro sistema intuitivo. Ovviamente c’è anche un discorso legato al linguaggio sbagliato per descrivere ciò che accade sulle strade», dice Stefano Guarnieri.

«Un bambino – aggiunge – cresce e pensa che l’auto non sia un mezzo di trasporto, ma la realizzazione del proprio ego e della propria personalità. Purtroppo, questa è una percezione che non sta cambiando con le auto e le moto elettriche, perché i costruttori continuano a fare scelte di prestazioni che in sostanza sono inutili: in città non superi mai una certa velocità». L’ottantaquattro per cento degli spostamenti in ambito urbano, infatti, avviene a meno di trenta chilometri orari. 

I dati sugli incidenti, inoltre, mostrano altri tre aspetti fondamentali, che dovrebbero essere la bussola della politica locale e nazionale. Primo: la stragrande maggioranza dei sinistri avviene in città (il settantatré per cento, stando a un report Istat del 2021). Secondo: ciclisti, pedoni e motociclisti sono gli utenti più esposti al rischio di morte lungo le strade urbane. Terzo: gli incidenti sono la prima causa di decesso (trentacinque per cento) tra i giovani della fascia d’età 15-29 anni. 

Città, mobilità leggera, giovani. Per proteggere un ragazzo di 25 anni che pedala nella periferia di Torino non esistono bacchette magiche o singole norme. Tuttavia, il passo più importante sarebbe l’approvazione di una misura di ampio respiro, che abbia come punto cardine la riduzione del limite di velocità urbana. Parliamo della Città 30, un contenitore di azioni volte a ricalibrare lo spazio pubblico, cambiare il volto delle strade e proteggere chi si muove in modo sostenibile. 

Città 30, presente in Italia a Olbia, Lodi e Bologna, non significa solo abbassare il limite da cinquanta a trenta e realizzare nuova segnaletica (orizzontale e verticale), ma adattare l’intero contesto urbano a un’idea più sana ed etica di velocità. Una misura del genere, come dimostrano numerose città europee (da Bruxelles a Zurigo, passando per Amsterdam, Parigi e molte altre), si fonda su due tipi di interventi. I primi – come le Ztl, gli autovelox, le restrizioni sui parcheggi – servono a disincentivare direttamente l’uso del mezzo a motore privato, mentre i secondi sono di natura urbanistica: alberi, panchine, chicane, sopraelevazioni, pavimentazioni specifiche, marciapiedi più larghi, piste ciclabili e doppi sensi ciclabili, zone pedonali. 

La Città 30 è la richiesta alla base delle manifestazioni di domenica a Roma, Milano, Napoli, Trento, Cagliari, Lecce, Modena e Alessandria: attivisti e cittadini scenderanno in piazza non per domandare la Luna, ma per pretendere una città che non sia pensata esclusivamente per accogliere le auto. A Milano, nel 2023 sono morti quattordici pedoni e cinque ciclisti: numeri impressionanti al di là dei trend, perché l’unica cifra accettabile sarebbe lo zero. Statistiche, testimonianze ed esperienze dirette confermano che nelle aree urbane la violenza stradale è un problema centrale, che andrebbe assimilato al grande tema della sicurezza e trattato con un approccio bipartisan.

«Nei nostri comportamenti siamo guidati dalle infrastrutture, infatti la Città 30 non è solo un discorso di velocità ma di redistribuzione degli spazi. È però un percorso lungo, quindi secondo me è importante partire da un semplice aspetto: misurare la velocità. Bisogna fare in modo che in città ci siano dei misuratori di velocità e che le auto possano – grazie a una tecnologia disponibile nelle nuove auto dal 2024 – avere dei sistemi automatici di controllo della velocità», spiega Guarnieri. 

Non solo autovelox, quindi, ma anche limitatori di velocità che dal luglio 2024 saranno obbligatori su tutte le nuove auto: «Paradossalmente, questo già avviene con i monopattini elettrici. Siamo bravi a limitare la velocità di un mezzo che pesa trenta chili ma non vogliamo limitarla su un mezzo che pesa due tonnellate», dice. Un’altra soluzione sarebbe produrre auto elettriche più piccole, che – oltre ai vantaggi in termini ambientali e di sicurezza – possono ridurre la domanda di metalli critici. La realtà, però, è grigia: il cinquantatré per cento delle nuove auto vendute è rappresentato dai Suv (nove per cento nel 2010). 

L’iper-regolamentazione dei monopattini (targa, assicurazione e, forse, casco obbligatori) e i limiti per installare nuovi autovelox sono due misure contenute nel disegno di legge sulla sicurezza stradale, che potrebbe essere approvato entro Natale. La norma prevede un unico punto in favore dei ciclisti (divieto di sorpasso a meno di 1,5 metri di distanza, ma solo «ove le condizioni della strada lo consentano») e omette l’importanza delle politiche di prevenzione. Basato sull’inasprimento delle sanzioni pecuniarie, il Ddl voluto da Matteo Salvini non presenta misure per la riduzione della velocità. Ecco perché la risposta a un intervento così miope sarebbe una legge nazionale sulla Città 30, che al momento è una splendida utopia. 

Anche i Comuni, però, hanno le loro responsabilità. Spesso, come sta succedendo a Milano, consiglio comunale e giunta viaggiano a due velocità diverse: il primo approva un ordine del giorno sulla Città 30, la seconda tergiversa. Inoltre, secondo Guarnieri, «i Comuni non sfruttano bene i proventi delle multe, perché quei soldi vengono usati per interventi di manutenzione ordinaria e altre spese fisse, come quelle per la polizia municipale, l’energia e altre cose che non hanno niente a che fare con la sicurezza stradale. Parliamo, secondo una mia analisi, di mezzo miliardo di euro per le venti città più grandi d’Italia». 

 
Pubblicato : 18 Novembre 2023 05:45