I giovani che stanno riscrivendo i codici della “bistronomia” parigina
A Parigi soffia una brezza di rivoluzione discreta. È una generazione di giovani professionisti ristoratori che la incarna. Accomunati da una contagiosa voglia di fare, senza quasi rendersene conto, scombussolano i codici della ristorazione convenzionale. Sedersi a un tavolo ben apparecchiato per ordinare entrée, piatti principali e dessert è come siamo stati abituati a consumare un pasto al ristorante. Eppure, a chi non è capitato di trovarsi in bilico su uno sgabello di fronte al bancone per condividere più piattini e una bottiglia di vino naturale, scambiando anche due parole con lo chef che spunta dalla cucina a vista?
Un localino dall’identità grafica ben curata, con i muri spesso scrostati a cui sono appesi specchi da mercatino dell’usato, che probabilmente è aperto solo la sera, o chiuso il fine settimana. È una nuova ristorazione che prende piede e si propaga ben oltre i confini dell’undicesimo arrondissement, patria della “bistronomia”, merito del leggendario Chateaubriand di Inaki Aizpitarte.
Oggi capita sempre più spesso che chef, sous-chef, sommelier e responsabili di sala – dopo anni di gavetta in ristoranti rinomati – si associno per aprire “il loro posto”, quello dove ci si sente come a casa, con l’obiettivo di coniugare aspirazioni, carriera e vita privata. Sono loro a scegliere come gestire gli orari di apertura, i servizi ed il personale, spesso ridotto all’osso. Si inventano anche nuove idee per fare comunicazione coinvolgendo amici fotografi e grafici, finita l’era delle gratuità per sua maestà “il giornalista”. Puntano a unire le forze a suon di pop-up, residenze, festival e passaparola, invitandosi a vicenda ai propri eventi e fidelizzando i clienti.
Trouble (15 rue Hippolyte Lebas, 75009, Parigi – @trouble.winebar)
La strategia sembra funzionare. È quella che hanno messo in atto Stefano De Carli e Nicolas Phillips, proprietari della neonata Trouble, una cave à manger a South Pigalle, non lontano da Montmartre. Per farsi conoscere, hanno organizzato due serate prima dell’apertura ospitati dai loro ex datori di lavoro, rispettivamente Passerini e Fulgurances. Giovanni Passerini si è lanciato in un entusiasmante servizio a quattro mani con il suo ex chef di cucina da Passerina, la cave à manger di fronte al ristorante.
Da Fulgurances en Face (enoteca dell’istituzione avanguardista in materia di pop-up nell’undicesimo arrondissement, trapiantata anche a New York) invece hanno avuto il locale a disposizione per sperimentare un servizio pre-apertura. A giudicare dal pienone che si è riversato anche in strada, con calici e piattini appoggiati su auto e scooter a mo’ di tavoli, l’operazione pare riuscita in entrambi i casi. Oggi Trouble è aperto. «La mia cucina gastronomica comincia dalla tradizione, esaltando la semplicità̀ dei piatti», afferma Stefano. Il surf & turf (letteralmente, “onde e prato”, ossia un piatto che combina prodotti del mare e carne) è ciò che più lo diverte: «Ecco come le trippe, frattaglie della tradizione romana, incontrano l’ostrica, un mollusco che i francesi adorano. Insieme si sgrassano, complici la freschezza della salicornia e l’acidità di un fungo asiatico sott’aceto», ci confida lo chef.
Dalla milanese di seppia all’animella, passando per i culurgiones al nero di seppia e nduja, per terminare in dolcezza con il tiramichux (bignè ripieno di tiramisù) il viaggio si preannuncia succulento. Accanto a lui il suo socio stappa bottiglie a go go: «Vogliamo lavorare il più possibile nel rispetto delle filiere corte, continuando a collaborare con produttori appassionati che, col tempo, sono diventati amici. È il caso di Victor Blondin nel Beaujolais, Benoit Courault – un monumento del vino naturale nella Loira – o ancora del Podere Pradarolo in Emilia-Romagna, che ho scelto per tessere ancora più legami con la cucina transalpina di Stefano», conclude Nicolas con il sorriso stampato in faccia. Qui c’è la playlist di Trouble, per fare un po’ di casino
Buttes Snack Bar (10 Rue Pradier, 75019, Parigi – @buttes.snackbar)
Pierre Forest, Benoît Baud et Clément Vezat sono tre amici con un passato nella ristorazione: «Avevamo l’idea di aprire un posto in fase con le nostre convinzioni, nel rispetto dei prodotti e del territorio», ci racconta Ben di fronte a un caffè fumante poco prima di attaccare il servizio. Dopo la pandemia facevano fatica a trovare un locale, le banche erano meno propense ad accordare prestiti. Tra una visita e l’altra, proposte non accettate e tempi latenti, il loro progetto ha preso una forma sempre più definita. Fino a che un giorno, grazie a una soffiata, non hanno visitato il caffé che Margot Lecarpentier, proprietaria del Combat -cocktail, bar hip e femminista di Belleville, aveva messo in vendita.
«Non era il posto che cercavano, ma è stato un colpo di fulmine», ricorda Ben. Il loro locus amoenus, premiato dalla celebre guida gastronomica popolare Le Fooding, si chiama Buttes Snack Bar. È qui che hanno deciso di unire le forze, in cima a una collina del 19° arrondissement, a due passi dal parco Buttes de Chaumont. Tutto ruota intorno al bancone e alla cucina a vista. Anche la loro è un’offerta ibrida: «Non siamo una cave à manger, non siamo un ristorante (il servizio è più rilassato), né un bar. Il nome Buttes Snack Bar viene da questa difficoltà che abbiamo incontrato nel definirci. Abbiamo scelto di appropriarci del luogo come ci pare, per spingere i confini della ristorazione e promuovere il format della condivisione nei piatti ma anche ospitando regolarmente amici chef per pop-up, come Cavan Power O’Keeffe, ex Brawn 49 di Londra o partecipando ad iniziative come il Refugee food festival», conclude Pierre, precisando che sin dal primo giorno hanno partecipato attivamente alla vita del loro quartiere popolare, dove si procurano direttamente fiori, pane e spezie.
Minibar (23 rue de Lancry, 75010, Parigi – @minibar.paris10)
In rue Lancry – a due passi dal Canal Saint Martin, nel cuore del decimo arrondissement – Sébastien Fleury, ex sommelier del Martin et Matt Hiltemann, ex Quo Vadis di Londra, hanno fatto di Minibar un locale disinvolto, dove “provare piatti gastronomici alla carta o in un percorso degustazione senza dover necessariamente pagare il decor di un ristorante stellato” ci racconta Sébastien mentre rassetta la sala. Lui se ne intende di vini.
Per Minibar ha immaginato una carta con referenze prevalentemente francesi o Europee, che, come i piatti del menù, cambiano regolarmente: «Mi sembra un’evidenza concentrarmi sul territorio francese ed europeo, anche per ridurre le emissioni di CO2. I clienti del quartiere capiscono il nostro approccio, non vengono da Minibar per provare ricercate bottiglie neozelandesi o californiane». Lo chef Matt non è mai a corto di piattini: tarama maison e bottarga, pancake all’anguilla affumicata, porri e shiso o ancora un indimenticabile kebab al midollo servito su un ossobuco: «Ho aperto Minibar per i curiosi, con la speranza che tornino per provare un piatto diverso ogni volta». Forse lo chiamano minibar per gli spazi ridotti, ma è un grande posto per la sazietà. Attenzione, una piacevole sorpresa ci aspetterà nei prossimi mesi. Stay tuned!