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Grillo, Renzi e la paralisi di populisti e liberali

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(@francesco-cundari)
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C’è una sola storia al mondo più noiosa dello scontro tra Giuseppe Conte e Beppe Grillo su regole, valori, democrazia interna e leadership nel Movimento 5 stelle, ed è quella della conflittualità permanente tra i vari protagonisti del progetto liberaldemocratico a suo tempo molto ottimisticamente definito terzo polo. Più interessante mi sembra invece una strana simmetria che si può notare tra le due aree politiche. In entrambi i casi, alla base delle loro ultime convulsioni sembra esserci lo stesso fattore scatenante, vale a dire la forza di attrazione di una ricostituenda coalizione di centrosinistra guidata dal Partito democratico di Elly Schlein. La scarsa solidità dell’alleanza, di cui non sono ancora chiari nemmeno i contorni, e i molti legittimi dubbi che si potrebbero avanzare sulla credibilità del progetto e della leadership di Schlein non cambiano questo dato di fatto, semmai danno un’idea della china su cui appare avviato il governo Meloni (in particolare grazie all’ennesima crociata sulle riforme istituzionali, con la micidiale combinazione para-federalista e pseudo-presidenzialista). Se dall’opposizione persino una simile carovana, per usare un termine sfortunato ma temo non fuori luogo, riesce a esercitare una simile forza centripeta, il meno che si possa dire è che la maggioranza di governo è ben lontana dall’esprimere quell’egemonia di cui pure ama tanto discettare.

Nel merito, la polemica tra Conte e Grillo è cosa veramente troppo triste e troppo misera per perderci più di due righe, con l’Avvocato del popolo che scopre adesso la natura antidemocratica e il ruolo «sopraelevato» del fondatore, e con il comico-garante che ancora una volta, come ha sempre fatto, con una mano ammonisce gli altri a non tradire i valori originari e con l’altra incassa, nei giorni pari dichiara intangibile il limite dei due mandati per i parlamentari e nei giorni dispari si fa assegnare laute consulenze. Quanto al fu terzo polo, si potrebbero fare analoghe ironie su chi scopre solo oggi il fatto che Italia viva sia un partito personale, in cui, tendenzialmente, si fa quello che dice Renzi, il quale peraltro aveva già una certa tendenza a imporre la stessa logica da leader del Partito democratico, con il pieno sostegno di tanti scandalizzati di oggi, e figuriamoci dentro un partito oggettivamente costruito attorno a lui. Il che ovviamente non significa che Luigi Marattin e il gruppo di dirigenti di Italia viva che ieri hanno annunciato l’addio al partito, per la manifesta impossibilità di mettere democraticamente in discussione la linea del ritorno nel centrosinistra, non abbiano le loro buone ragioni, come ce le avevano, cambiando il poco che c’è da cambiare, Carlo Calenda ed Emma Bonino. Ma anche qui sarebbe arduo cercare di rintracciare una chiara ragione politica nella girandola di posizioni assunte in questi anni da ciascuno dei protagonisti, per dividersi e riunificarsi, allearsi e combattersi in tutte le combinazioni possibili (Calenda e Bonino contro Renzi, Renzi e Bonino contro Calenda, Calenda a favore dell’alleanza con il Pd e Renzi contro, Renzi per il ritorno nel centrosinistra e Calenda ostile).

Mi pare che il tentativo di eludere le difficili scelte della politica rifugiandosi nei temi, nel programmismo degli unici (presunti) competenti o nei provvedimenti-bandiera degli unici (presunti) autentici rappresentanti del popolo, si sia rivelato ugualmente velleitario quando le ragioni della politica sono tornate a imporsi. Per quanto riguarda i liberaldemocratici in particolare, sulla loro triste sorte pesano, secondo me, due (ulteriori) limiti: il non capire che il loro compito non è solo spiegare tutte le cose giuste che ci sarebbero da fare, ma anche perché non vengano fatte, e soprattutto perché chi le propone continui a oscillare tra il 2 e il 3 per cento (indizio: a volte anche perché quelle cose non sono poi così giuste) e il non riconoscere come il primo motivo di questo deplorevole stato di cose sia una conseguenza del sistema elettorale-istituzionale, che consente di fare scelte appena ragionevoli (come durante il governo Draghi) solo in condizioni di assoluta emergenza e all’esplicita condizione di ricominciare come prima e peggio di prima non appena sia passata la tempesta. Su questo punto – in breve, sulla necessità del ritorno al proporzionale – l’unico a essersi reso conto della contraddizione tra la proposta centrista-liberaldemocratica e il sistema bipolare-bipopulista è Calenda, e gliene va dato atto. Quando lo capiranno anche tutti gli altri sostenitori della democrazia liberale, nonché del primato della politica, dei partiti e soprattutto della razionalità, a destra e a sinistra, forse l’Italia potrà finalmente fare un passo avanti, fuori da questo ormai trentennale delirio.

Questo è un estratto di “La Linea” la newsletter de Linkiesta curata da Francesco Cundari per orientarsi nel gran guazzabuglio della politica e della vita, tutte le mattine – dal lunedì al venerdì – alle sette. Più o meno. Qui per iscriversi.

 
Pubblicato : 10 Settembre 2024 07:22