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Dogman racconta i margini e la loro identitaria solitudine collettiva

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(@massimiliano-sortino)
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Mai come ora le storie portate sul grande schermo ci svelano che tempi non facili stiamo vivendo. All’ultima Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, da “Comandante” di Edoardo De Angelis a “Ferrari” di Michael Mann, da “Adagio” di Stefano Sollima a “Dogman” di Luc Besson, tutto ruota intorno a una nuova idea di nucleo familiare che sfida stereotipi e convinzioni. Del resto, questi sono tempi in cui tutto viene messo in discussione a partire proprio dalla famiglia nella sua accezione più tradizionale.

Ma nella nuova opera del regista francese non si parla solo di questo: all’origine c’è una storia vera, quella di un bambino maltrattato dal padre e costretto a vivere nel recinto dei cani. La madre fugge non riuscendo ad aiutare il figlio, mentre il fratello, soggiogato dai deliri pseudoreligiosi paterni, è complice della segregazione.

Douglas è il nome del protagonista, che cresce e trova la sua via di fuga nell’amore e nella sintonia che sviluppa con gli animali, suoi unici compagni di vita. Il racconto (quasi surreale) su come si possa sopravvivere ad abusi e umiliazioni è una storia non molto lontana dalla realtà, da questi tempi non facili dove la solitudine diventa un rifugio e dove il circondarsi di simili – umani o animali che siano – diventa l’unica strada percorribile. Come potrà crescere un ragazzo che ha subito per anni questo genere di soprusi?

Luc Besson, Dogman. Courtesy of Shana Besson

Besson nel lungometraggio racconta il dominio dei padri sui figli, i silenzi delle vittime, l’animalità e il disumano, l’accettazione, la vendetta e la sua espiazione. E ancora, la violenza sistemica che si trasmette di generazione in generazione o quella che tiene insieme il branco, il gruppo dei cattivi, che conoscono un unico linguaggio: quello della paura. A interrompere questa catena di oppressioni sarà proprio il protagonista della pellicola: l’oppresso che attraverso martirio e redenzione, riscatto e sacrificio, cercherà di ristabilire la pace in un mondo brutale e di superare i traumi del passato. Il dolore ne farà una perfetta Edith Piaf, un antieroe in versione queer.

Fin dall’inizio del film è chiaro da che parte stia il regista, che conquista l’empatia dello spettatore già dai primi minuti facendoci capire come in una società corrotta e spietata, dove vince il più forte, gli animali siano decisamente meglio degli uomini. Un racconto per immagini sopra le righe in cui da subito si prende una posizione netta e chiara: quella dei cani certo, ma anche quella degli offesi e si gioisce per le loro piccole vendette.

Ci si schiera dalla parte del protagonista, sapientemente interpretato da Caleb Landry Jones, in odore di Oscar, straordinario interprete di un miscuglio di tristezza e senso di sopravvivenza che lo rende commovente e tremendamente credibile. Besson adotta una narrazione che corre veloce tra il presente grigio e piovoso e i flashback dai colori accesi con un’abilità da maestro attraverso uno sguardo profondo, attento e brutale sulla società, sull’identità collettiva e su quella individuale degli umiliati consapevoli della loro condizione di emarginati alla ricerca di una giustizia sociale che tarda ad arrivare. Douglas diventa il difensore di esclusi e diseredati, in un percorso a ostacoli che viene svelato a poco a poco, seduta dopo seduta, attraverso i ricordi che affiorano durante gli incontri con una psichiatra a cui è stato dato il compito di valutarlo.

“Dogman”, al cinema con Lucky Red, è sicuramente uno dei film più belli di Luc Besson che dopo “Nikita”, “Il Quinto Elemento” e “Léon” e a soli cinque anni da “Anna”, si cimenta a raccontare il mondo degli esclusi unendo azione e melodramma in una pellicola in cui fonde in un solo attore le sue identità maschili e femminili: un angelo vendicatore in sedia a rotelle violento e al tempo stesso dolcissimo. Quello che a prima vista appare come un serial killer in un travestimento necessario, guidato da una follia lucida, poi si dimostra essere un giustiziere fragile e delicato.

Un Jocker in versione queer che trova il proprio posto nel mondo scegliendo la propria famiglia al di là dei legami di sangue spesso ingannevoli. E poco importa che la scelta ricada su una muta di cani abbandonati, emarginati e affamati come il loro padrone: questi esseri viventi (come sostiene il protagonista nel film) hanno tutti i pregi degli uomini senza averne i vizi, con un solo unico grande difetto: si fidano degli umani.

 
Pubblicato : 10 Novembre 2023 05:45