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Da Londra a Bologna: piccole-grandi rivoluzioni per dare più voce alle donne in un mondo di rituali al maschile

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(@davide-burchiellaro)
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A volte basta una consonante per scoprire una rivoluzione possibile. Da Bar Mitzvah a Bat Mitzvah c’è soltanto una erre che diventa una t, ma quello che accade in una sinagoga di Bologna è qualcosa di più potente. È l’accesso all’età adulta di una ragazzina appartenente a una famiglia di ebrei progressivi. Intorno a lei altre ragazze che leggono la Torah in un contesto religioso che storicamente considera la donna che parla, canta e legge a voce alta, irrispettosa nei confronti di Dio.

Allo stesso modo, a volte basta uno dei più piccoli collegi accademici d’Europa, il Leo Baeck College di Londra, a fare luce su verità potenti e semi-sommerse nelle Scritture. Ancor più difficili da guardare se usiamo gli occhi di oggi con il fuoco che domina il Medioriente. Che il Corano riconosca il legame speciale tra il popolo ebraico e la Terra d’Israele per il fanatismo armato potrebbe sembrare una bestemmia. Ma a spiegarlo, e a citare il versetto 5:21 è un imam, proprio al Leo Baeck, centro per la formazione rabbinica. 

Dice Muhammad Al-Husseini «i commentatori che dall’ottavo e nono secolo in poi hanno interpretato il Corano concordano nel dire che Eretz Yisrael è la terra data da Dio al popolo ebraico come terra del Patto. Non c’è alcuna rivendicazione islamica da nessuna parte nel corpus dei commenti». Se le cronache ci riportano all’odio del conflitto arabo-israeliano, questo racconto per immagini arriva dagli stessi occhi che hanno scattato la sinagoga bolognese, quelli delle fotografe Isabella Franceschini e Fiorella Baldisserri. Immagini di un luogo in cui si può sognare che l’antisemitismo sia curabile. Il Leo Baeck College, fondato nel 1956 come simbolo del giudaismo progressista e della sopravvivenza ebraica, è intitolato a Leo Baeck, rabbino tedesco del ventesimo secolo. Si tratta dell’unico seminario rabbinico le cui classi includono donne e uomini, che insieme studiano i testi sacri e quelli giuridici classici e affrontano le esigenze e le grandi domande dell’attualità.

La cerimonia Bat MItzvah dell’adolescente Noa, in una sinagoga di rito riformato a Bologna (ph Isabella Franceschini e Fiorella Baldisserri)

Per entrare nello spirito dell’ebraismo progressivo o riformato, non c’è bisogno di sciogliere la matassa delle etichette di cui la confessione è stata ricoperta negli ultimi cento anni. Ebraismo liberale, riformato, masoretico, ricostruzionista, laico-umanista: in tutti i casi al centro c’è la Torah, fondamento di vita e rivelazione continua di Dio per il popolo di Israele. Un documento elastico al punto da permettere ai fedeli di adattare gli insegnamenti alla quotidianità del 2024. Basti sapere che per duemila anni la carica di rabbino è stata esclusiva dei maschi. 

L’integrazione delle donne nel rabbinato al Leo Baeck è iniziata nel 1967. Ci sono voluti sette anni per l’ordinazione della prima donna rabbino, Jacqueline Tabick, nel 1975. Tabick ha aperto la strada a un’evoluzione in tema di inclusione, in tempi in cui la parola non c’era. Dal 1978 il movimento ha aperto a una visione che include l’omosessualità. L’ebraismo progressivo a oggi conta milleduecento comunità in quaranta paesi e raccoglie un milione e mezzo di ebrei su un totale stimato di quindici milioni. In pochi decenni ha portato nelle comunità millecinquecento rabbine.

Tra Londra a Bologna c’è soltanto un’ora di fuso orario, ma anche secoli di ebraismo europeo che evolve in modo discreto, se non segreto. Questa è una fotocronaca da un mondo comunque solare e pacificato, gioioso, capace di offrire agli occhi di chi lo celebra e di chi sbircia e scatta, una prospettiva inattesa e di buon auspicio. Sono fotogrammi che vagano intorno a Dio, che poi entrano nei pensieri di queste ragazze così simili a Esty Shapiro, protagonista di “Unorthodox”, prima serie in yiddish di Netfilx. Dove la fuga dalla rigida comunità Satmar di Williamsburg non scaturisce dalla negazione delle radici ma dall’auto-isolamento della comunità stessa, che opprime. Le scene di questa liturgia bolognese invece parlano, hanno una voce. Femminile e plurale. La voce è il centro del riscatto: Esty si libera grazie al canto perché è l’unico modo per essere ascoltata. La voce è integrazione. È parità.

ph Isabella Franceschini e Fiorella Baldisserri

In un testo come la Torah, scritto senza vocali, le consonanti t ed r distinguono, differenziano. Ma è la lettura a voce alta a unire nel ritmo: un messaggio antico e contemporaneo. Per chi crede, questa capacità di adattamento è un fatto di elezione divina, per tutti gli altri è il prodotto della Storia, che ha obbligato gli ebrei a integrarsi con le realtà in cui la Diaspora li ha inseriti. Le comunità hanno appreso a compensare, ad adeguare continuamente la loro spiritualità. È il pastrami che emula gli insaccati di maiale rimanendo kosher. È lo Shabbat che trasforma i frenetici commercianti di Brooklyn in creature crepuscolari e distaccate qualsiasi cosa accada il venerdì sera. Ed ecco il filo che lega Londra e Bologna, il contatto con Dio a zero tasso digitale, lo stato d’animo che predispone al contatto con gli altri e con le altre, le donne, custodi delle energie matrilineari di cui l’ebraismo è permeato.

Leo Baeck College, Londra, East End. Preghiera del mattino, con la Rabbi Rachel Benjamin, un’aspirante rabbina e la figlia (ph Isabella Franceschini e Fiorella Baldisserri)

Volti assorti, raso turchese nei vestiti e sui tavoli che ospitano i rotoli della Torah per il Bat Mitzvah. Il blu marino delle kippah (il copricapo obbligatorio) rende accettabile l’azzurro chirurgico delle mascherine. Palloncini nella penombra, dolci tradizionali da cucine kosher tra poster della pop art. E poi, cappelli sontuosi che donano sguardi principeschi, scarpe argentee che non sanno dove posarsi mentre come una regina, tu, ragazzina, siedi su un trono sorretto dai grandi della comunità.

Stesso mood nel college di East End, dove si sperimentano i riti in modo inedito, uomini e donne insieme. Non tragga in inganno la naturalezza: queste sono scene non vissute per millenni, rivoluzionarie. Minigonna e scialle tallit, All Stars e kippah nella Prayer Room per il rito della Shacharit. E infine l’arte, come preghiera: il canto della rabbi Deborah Kahn Harris sulla chitarra di Rachel Benjamin, le lezioni di pittura di Julia Burton. Come può un mondo scomparso diventare novità? Soi tratta di microcosmi sospesi e riportati in vita, con un’ austerità gioiosa. Qualcosa di simile al “Vanished World” cantato dalle voci femminili del gruppo Klezmer Oi Va Voi:

 «E la città sorgerà, mentre la voce sta cambiando/riesco a sentirne l’eco/Ciò che non c’era ora riempie l’aria e ne sento l’eco. Un mondo scomparso che posso vedere/Un mondo scomparso che posso respirare».

 
Pubblicato : 9 Agosto 2024 04:45