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Biden e l’importanza di avere gli adulti responsabili alla Casa Bianca

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(@alessandro-cappelli)
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«Sono venuto in Israele con un unico messaggio: non siete soli. L’attacco di Hamas ha lasciato una profonda ferita tra gli israeliani, ma questo deve tornare a essere un posto sicuro per gli ebrei». Le parole di Joe Biden da Tel Aviv sono misurate e granitiche, inequivocabili. L’avvertimento che segue è rivolto ai Paesi ostili allo Stato ebraico: «Se pensate di attaccare Israele, rinunciate a quest’idea, non fatelo». E poi, ancora, un segnale all’Occidente: «Così come il mondo si è unito per sconfiggere il nazismo, e si è unito per sconfiggere l’Isis, dobbiamo essere uniti per sconfiggere Hamas».

In questa rapida tappa israeliana di Biden c’è tutta la forza diplomatica del presidente americano, un’abilità maturata nell’arco di una carriera politica ormai cinquantennale, che nell’ultima fase – quella del mandato presidenziale – lo ha reso attore principale in alcune delle situazioni più complicate sul piano internazionale, prima con l’aggressione della Russia all’Ucraina, poi con il terrorismo islamico di Hamas contro Israele. Lo scorso giugno, in un discorso in California, Biden aveva usato il suo umorismo da bravo ragazzo per racchiudere in una sola battuta tutta la sua esperienza in campo diplomatico: «Ormai di politica estera americana ne so più di chiunque altro, compreso Henry Kissinger. Questo è quel che ho fatto per tutta la vita, negli ultimi duecentosettanta anni».

Subito dopo essere atterrato in Israele, Biden ha incontrato il premier israeliano Benjamin Netanyahu, ha partecipato a una riunione del Gabinetto di guerra israeliano presieduto dallo stesso Netanyahu. Successivamente ha incontrato alcuni dei familiari delle persone uccise nei primi attacchi di Hamas, quelli dello scorso 7 ottobre e infine ha dialogato con il suo omologo israeliano Isaac Herzog, a cui ha espresso «grande empatia e profondo dolore per la tragica perdita di vite umane sofferta da Israele».

Biden era atterrato a Tel Aviv a poche ore dalla grossa esplosione che ha causato molti morti nell’ospedale di al Ahli, nella città di Gaza. Appena è stato possibile, il presidente americano ha fatto sapere che, in base alle informazioni in loro possesso, gli Stati Uniti ritengono che Israele non sia responsabile dell’esplosione. Poco dopo, l’esercito israeliano ha ribadito che il cratere causato dal razzo non è compatibile con le bombe che sgancia l’aeronautica israeliana durante un bombardamento, per cui i responsabili sarebbero da ricercare tra i fondamentalisti islamici. Nelle prossime ore e nei prossimi giorni dovrebbero arrivare ancora più informazioni su questo argomento.

Prima di ripartire, Biden ha tenuto una breve conferenza stampa in cui ha sintetizzato quanto emerso da questo viaggio in Medio Oriente: ha promesso che chiederà al Congresso statunitense un nuovo pacchetto di aiuti economici per la difesa di Israele, senza però quantificare la spesa, ha annunciato aiuti umanitari alla popolazione palestinese sia nella Striscia di Gaza sia in Cisgiordania, per un totale di cento milioni di dollari, ha detto di aver raggiunto un accordo con il governo di Netanyahu sulla creazione di aree sicure agli oltre due milioni di abitanti di Gaza che hanno urgente bisogno di acqua, cibo e assistenza medica. Accordo poi confermato da Netanyahu nel suo comunicato: «Alla luce di una richiesta del presidente Biden, Israele non ostacolerà l’ingresso nella Striscia di Gaza di forniture umanitarie dall’Egitto finché si tratta solo di cibo, acqua e medicine per i civili che si trovano nel sud della Striscia di Gaza o che si stanno spostando lì, e a patto che questi non raggiungano Hamas».

È andata esattamente come aveva anticipato il Segretario di Stato Antony Blinken martedì, quando aveva detto che la visita di Biden aveva lo scopo di mostrare un sostegno incrollabile a Israele e che avrebbe parlato con i leader israeliani di questioni urgenti, inclusi gli aiuti umanitari ai palestinesi a Gaza. E ovviamente alle Forze di difesa israeliane (Idf) è stato chiesto di non colpire obiettivi di Hamas nella Striscia di Gaza durante la visita del presidente americano a Tel Aviv.

Tra l’altro lo stesso Blinken in questi giorni è stato uno degli attori determinanti nell’evitare un ampliamento del conflitto. Il Segretario di Stato è stato in Medio Oriente dall’11 al 18 ottobre, ha viaggiato in Israele, Qatar, Giordania, Bahrein, Arabia Saudita, poi doveva tornare a casa ma ha fatto una seconda tappa in Israele fare pressione su Tel Aviv ed evitare bombardamenti sui civili, quindi una potenziale escalation. Non un viaggio diplomatico canonico, insomma.

L’ultima volta che Biden ha fatto un viaggio all’estero last minute era febbraio, quando era andato Kyjiv, in occasione del primo anniversario dell’invasione russa. Adesso, in questa tappa israeliana, il presidente ha rinviato degli appuntamenti in Colorado, cambiando programma all’ultimo. Lunedì sera, rimasto a Washington, ha parlato con il primo ministro iracheno, Mohammed Shia al-Sudani, per discutere di strategie per il contenimento della guerra e della fornitura di aiuti a Gaza. L’Iraq, che ha sia truppe statunitensi che forze iraniane sul suo territorio, è chiaramente uno di quegli Stati maggiormente sotto pressione quando scoppia un conflitto come quello di questi giorni.

Lo straordinario viaggio di Biden in Israele allora non serviva solo per affermare il proprio sostegno a un alleato storico degli Stati Uniti, per avvertire i nemici della democrazia nell’area. Serviva anche per mandare un segnale al mondo intero. Il ruolo che sta giocando Biden, di grande equilibratore nell’area, fa capire quanto è importante, per tutti, avere lui – con un Segretario di Stato come Blinken – lì, in questa fase, in questi giorni, ora, e non un rappresentante del Partito Repubblicano trumpizzato.

La sola presenza fisica di Biden sul territorio israeliano in questa crisi mediorientale ci ricorda cosa ci sarà in gioco, tra un anno, alle elezioni presidenziali. La politica internazionale non fa vincere le elezioni, gli elettori votano soprattutto di pancia e sulle questioni interne, però la politica internazionale contribuisce a formare il mondo in cui viviamo. L’America, l’Occidente e il mondo non possono permettersi di portare alla Casa Bianca un golpista, antidemocratico, violento e manipolatore, non possono permettersi Donald Trump. Uno che ha il culto della violenza, nessun rispetto per la vita umana, assenza totale di educazione diplomatica e conoscenza della politica internazionale. Non ora, non nel 2024, probabilmente mai. Avere l’uno o l’altro alla Casa Bianca può fare tutta la differenza del mondo.

 
Pubblicato : 19 Ottobre 2023 04:45
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