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Adrian Appiolaza è il Messi della moda

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(@giuliana-matarrese)
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Questo è un articolo del nuovo numero di Linkiesta Etc dedicato al tema del tabù, in edicola a Milano e Roma e negli aeroporti e nelle stazioni di tutta Italia. E ordinabile qui

Quando è apparso nella sua nuova veste ufficiale per la prima volta, sul finale della sfilata d’esordio come direttore creativo di Moschino, a gennaio, Adrian Appiolaza ha salutato il pubblico indossando un jeans voluminoso, una t-shirt bianca che riportava stampata la grafica usata per l’invito, e un cappello in lana verdone, da marinaio infreddolito dai climi rigidi della capitale lombarda. Sulle braccia nude e sul collo si notavano i tatuaggi, sul volto un baffetto alla messicana – anche se lui è argentino, di Buenos Aires – e degli occhialini tondi, da riflessivo intellettuale autore di una qualche rivoluzione nell’architettura. Ad accompagnarlo, il suo bulldog francese, Nena – ne ha un’altra Panchita «ma è una vecchia signora e non si sposta da Parigi» spiega lui stesso – con al collo un doppio filo di perle, rimando all’ossessione di Franco Moschino per certi stereotipi del buon gusto, che durante la sua carriera ha sempre dissacrato.

Eppure, nonostante questa apparenza “vistosa”, Adrian Appiolaza è, sostanzialmente, un timido. «Se ci penso credo che il modo nel quale ho creato la mia immagine negli anni sia stato uno stratagemma per dissimulare la mia timidezza» ammette lui stesso quando lo raggiungiamo in videocall nel quartier generale milanese del brand. «So che può sembrare contraddittorio, perché la gente mi percepisce diversamente, ma è solo uno scudo. Sono una persona ambiziosa e, nonostante la timidezza, volevo proiettare sicurezza in me stesso, anche se poi non parlo molto, sì insomma, è tutto un po’ complicato» conclude ridendo. E in effetti di traguardi, nonostante la timidezza, Appiolaza ne ha raggiunti, anche se fino a ora il pubblico generalista poco sapeva del suo nome. Diplomato alla Saint Martins con una collezione che incuriosì all’epoca la stilista Phoebe Philo – che lo volle nel suo team da Chloé, nel 2002 –, negli anni ha prestato servizio in maison estremamente diverse, da Miu Miu a Louis Vuitton, fino ad arrivare a Loewe, dove ha passato la scorsa decade, divenendo design director per il ready-to-wear della collezione femminile. 

Courtesy of Moschino

Quando Moschino lo ha nominato direttore creativo a gennaio 2024 – dopo la scomparsa di Davide Renne, a soli dieci giorni dalla sua nomina ufficiale – annunciando che, nella stessa stagione, avrebbe presentato la sua “Collezione 0” (l’autunno-inverno 2024-2025), tra gli addetti ai lavori è circolato il dubbio che quel tempo non fosse abbastanza per approcciarsi con la giusta cura a una maison il cui creatore è stato uno tra i più sovversivi e rivoluzionari intellettuali capaci di sfidare un sistema di cui pure faceva parte. Timori sconfessati da una collezione che ha messo in fila, in passerella, il vocabolario stilistico di Moschino, dall’ossessione per l’abbigliamento maschile e le cravatte, tramutate in scialli o intrecciate a formare turbanti, a quella per il “completo Chanel” rivisitato, fino alla lingerie trasformata in trompe l’oeil sulle t-shirt, passando per la stampa nuvole e denim stonewashed contrapposti a completi dalla sartorialità rilassata. Gli accessori hanno fatto da contrappunto ironico: ci sono gli smiley sulle tote-bag, le borse a forma di michetta, e quelle in suede da portare a mano, avvolte da cinture. 

«Vengo da un posto (Loewe, ndr) dove gli accessori sono molto importanti, e dove la libertà creativa è sempre stata considerata prioritaria», spiega Appiolaza. «I risultati economici positivi hanno poi dimostrato che è possibile essere creativi e anche commercialmente di successo: un teorema che spero di poter dimostrare anche qui». Un compito gravoso a cui però Appiolaza sembra esser pronto, visto il coraggio che ha dimostrato nel confrontarsi con una figura mitologica come quella di Franco Moschino. «Sono ancora agli inizi di questo percorso ma Moschino ha affrontato diversi tabù nella sua carriera: ha parlato di sessualità, politica, anche con un certo gusto per la provocazione» spiega. 

«La mia riflessione principale è proprio su come riportare in vita quello spirito, al netto di una consapevolezza e di una sensibilità diverse nel pubblico di oggi rispetto a quello di allora. C’è la necessità di essere più “sottili”, occorre procedere a piccoli passi. Ovviamente il mio desiderio non è soltanto realizzare dei vestiti, ma raccontare delle storie: Franco denunciava le storture del capitalismo e del sistema, ma il capitalismo non è forse il motivo per il quale siamo qui oggi? Sono domande che mi faccio continuamente, e con la prima collezione ho tentato di saggiare le acque, capire fino a dove è possibile arrivare, scorgere un orizzonte». 

Courtesy of Moschino

E a giudicare dalla prima collezione, andata in scena al Museo della Permanente di Milano lo scorso marzo, lo stesso dove fu organizzata la prima mostra dedicata al brand (Moschino, X anni di Kaos, 1983-1993), a giocare un ruolo rilevante sarà anche la musica, ossessione di Appiolaza arrivato dall’Argentina a Londra anche per via della passione per il Britpop e la scena Madchester (nota anche come baggy), guidata dai veri antenati di Blur e Oasis, i mancuniani Stone Roses. 

«La musica è la colonna sonora della mia vita. Con Frédéric Sanchez (sound artist e music producer, ndr) che si è occupato della soundtrack della sfilata abbiamo tentato di riportare in vita quell’attitudine massimalista alla teatralità tipica di Franco Moschino, aggiungendoci dell’ironia. Mi è venuto subito in mente Fellini, ed essendo Sanchez un maestro dell’astrazione, ha estrapolato delle battute da Giulietta degli spiriti, (film del 1965, diretto da Federico Fellini, ndr), per veicolare un senso di mistero, privo però di pericolo: la situazione mondiale odierna è drammatica, mi piaceva l’idea di portare della gioia nella stanza, senza risultare irrispettoso». E tra i timori che Appiolaza ha dovuto affrontare, venendo da una carriera passata dietro le quinte, c’è stata sicuramente quella di esporsi alle critiche degli addetti ai lavori, così come allo sguardo dei social, oggi più che mai feroce. 

«Sono andato in terapia prima di decidermi» ride lui. «Avevo timore dell’esposizione, ci sono state altre volte in passato nelle quali ho rifiutato ruoli importanti perché mi spaventava la situazione nella quale mi sarei trovato. Anche dopo la prima sfilata, non ho voluto leggere le recensioni, i ragazzi e le ragazze della squadra lo hanno fatto per me, e mi hanno rassicurato. Il problema è che nella mia testa ho l’idea chiara del percorso che devo seguire e temo di farmi involontariamente influenzare dal parere degli altri, anche se sono aperto alle critiche costruttive». 

Courtesy of Moschino

E per adesso il percorso che Appiolaza deve seguire, lo ha portato ad aggiungere un altro importante tassello al puzzle, ovvero alla prima sfilata sia maschile, dove ha presentato la collezione primavera-estate 2025) che femminile con la resort donna 2025. Dopo, c’è probabilmente una vacanza in Argentina, dove la notizia della sua nomina è stata accolta con entusiasmo. «Gran parte della mia gioia riviene anche da come i miei connazionali hanno preso la notizia: ci sono state riviste che mi hanno chiamato “il Messi della Moda” trasmissioni televisive che mi hanno invitato come ospite», ammette tra l’ironico e l’incredulo. 

«Magari quando torno a casa per l’estate, ci vado». L’ora di conversazione è finita, Appiolaza si congeda, seppur con un po’ di dispiacere «proprio ora che ci stavo prendendo gusto», sorride. D’altronde, a un mese dalla sfilata, il suo calendario è febbrile, ma il designer pare essere dotato di una calma assai zen. «La realtà è che sono una persona che può essere molto ottimista o molto pessimista, a seconda del momento, e credo che il modo migliore per combattere i propri demoni sia osare, essere positivo, avere speranza nel domani, per quanto possa apparire difficile». Difficile è non essere d’accordo con lui.

 
Pubblicato : 17 Luglio 2024 18:00
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