A New York molte case hanno stanze per nascondersi in caso di emergenza
La prima a risvegliare l’animo irrequieto dei newyorchesi è stata Julia Roberts. È successo un anno fa quando Netflix ha lanciato “Leave The World Behind”, un thriller catastrofista in cui una coppia di facoltosi professionisti (Julia ed Ethan Hawke) decidono di trascorrere un weekend coi figli, affittando una villa in un lembo isolato a Long Island, un paio d’ore dal loro appartamento di Manhattan. Solo che nella trama “lasciarsi il mondo alle spalle” corrisponde a uscire da New York poco prima che scoppino una serie di disordini che toglieranno di mezzo internet, connessioni satellitari e strade percorribili senza il rischio di venire ammazzati. Fantascienza?
Non così tanto date che solo a Manhattan negli ultimi diciotto mesi le richieste da parte di privati cittadini di dotarsi di una panic room sono aumentate del trecentoquaranta per cento. Restando nel campo dell’intrattenimento, l’uscita pochi mesi fa di “Civil War”, super produzione che racconta di un’America travolta da una guerra civile in un futuro piuttosto vicino, ha fatto il resto. E i riferimenti all’assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021 da parte dei sostenitori di Donald Trump, sono per niente causali.
Paranoia? Suggestioni? La sensazione che il prossimo novembre con l’elezione della Casa Bianca possa scoppiare il finimondo? Oppure è colpa della percezione secondo cui New York, dove si è arrivati a sparare in metropolitana in quartieri piuttosto chic, sia una pentola pronta ad esplodere?
Per Bill Rigdon è semplicemente una manna piovuta dal cielo, perché con la sua azienda di “servizi” sta realizzando fatturati da favola: «Non ho mai lavorato così tanto. Ogni giorno ricevo una decina di telefonate di gente che s’informa sui costi relativi all’istallazione di una panic room in casa». Bill, che ha iniziato quarant’anni fa in Nevada costruendo bunker antiatomici per i Mormoni, sostiene che una febbre del genere non s’era mai vista. Commercia anche in opere d’arte e yacht e dunque sembra avere il polso della situazione e degli umori dei super ricchi. Anche se poi ci sono panic room per tutte le tasche. Il listino prezzi varia, cinquanta mila dollari (circa quarantasei mila euro) per un rifugio all’interno di un bilocale con cibo stoccato per sopravvivere trenta giorni, ma anche un milione di dollari per un lavoro fatto a regola d’arte, con possibilità di resistere al riparo da tutto per mesi.
Rigdon avrebbe voglia di condividere dettagli succulenti, ma i proprietari lo obbligano al vincolo della riservatezza. Così al massino si lascia scappare che ha lavorato per un certo musicista britannico, quello che porta sempre «occhiali eccentrici», costruendogli un fortino privato da tre milioni nell’Upper East Side.
Luciano Gandolfi, un italiano che vive a New York da trent’anni e si è specializzato nell’immobiliare segmento “lusso”, non scarta l’ipotesi che si tratti di una moda (passeggera) più che di un giustificato bisogno di protezione: «In verità scatta anche un po’ la psicosi da emulazione. Se il tuo vicino di casa ha installato mura dotate di congegni che sparano spray urticante in caso di intrusioni, tu subito t’informi su cosa propone il mercato per fare qualcosa di meglio. Quasi tutti parlano di una città che è diventata insidiosa come non mai, ma non è vero. Funziona un po’ come il mercato delle auto di lusso. Se ti vedo a bordo di una Bentley faccio subito un giro alla concessionaria Rolls-Royce. Così funziona la psiche con certe persone».
Gandolfi ha ragione. A New York nel 2023 il crimine ha subìto una flessione importante: mille cento sessantasei sparatorie contro le mille cinquecento sessanta del 2022. Il numero di omicidi (trecento ottantasei) è in calo del dodici per centorispetto all’anno prima. Salgono sensibilmente i furti d’auto (il tizio della Bentley è avvisato…) e l’unica voce in salita vertiginosa sono le aggressioni, un terzo delle quali rappresentano la categoria “violenze domestiche”. Una panic room per difendersi da un marito molesto?
Ma la forza delle suggestioni, e della corsa all’ultimo gadget, è più forte delle statistiche. Dal ripostiglio rivestito di materiali a prova di razzo anticarro, fino alle maniglie elettrificate ad alta tensione, le diavolerie per tenere il “nemico” a distanza sono innumerevoli. Le librerie a scomparsa come nei film di spie vanno forte così come cresce il numero dio quelli che chiedono l’istallazione delle “gabbie di Faraday”, piccoli spazi isolati a riparo dalle onde elettromagnetiche. Ce n’è una di cui si parla tanto a New York, ed è quella costruita nel cuore della Henry Block House, una sontuosa palazzina da cinquanta milioni di dollari tra la settantaseiesima strada e Fifth Avenue. Ma lì ci ha vissuto Grace Kelly e fu poi comprata, secondo voci attendibili, dal Presidente iugoslavo Josip Broz Tito.
Va poi detto che il mito della panic room non è nuovo. Nel 2002 “Panic Room” era il titolo di un fortunato thriller di David Fincher con una Jody Foster costretta a difendersi semplicemente da una manica di rozzi rapinatori. E anche allora a qualcuno parve un’ottima idea dotarsi di un “posto sicuro”, solo che ci fu chi (ad esempio Gwyneth Paltrow) trasformò la sua panic room nel West Village, nel deposito per centinaia di vestiti.
Dunque, forse la guerra civile non è così imminente come qualcuno immagina. Se così sarà, come tutti auspichiamo, resteranno comunque un sacco di storie bizzarre da raccontare. Tipo quella di Roger Ailes, il giornalista geniale e malefico, fondatore di Fox News, la rete che in fatto di prevedere catastrofi più o meno giustificate, non è seconda a nessuno. Roger che si presentò da un noto costruttore di sistemi di sicurezza, con progetto disegnato da lui stesso medesimo. Una panic room da sogno da installare a casa sua. Nulla era lasciato al caso: dalle mura isolanti a prova di attacco nucleare, fino al sistema satellitare che garantiva di restare in contatto col mondo là fuori. Uno spazio capace di ospitare fino a dodici persone per oltre sei mesi. Con un unico inconveniente: nel progetto non era prevista la toilette.
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